
Avere tutto e non avere mai abbastanza, come si fa a essere pienamente felici?
Si tratta di una domenica particolare per noi di Wecare. La giornata di sabato si è chiusa con alcuni ragazzi, del gruppo B, che vomitano senza presentare nessun altro tipo di malessere. Procediamo come da manuale seguendo le indicazioni mediche con del “plasil” sperando che si tratti solo di una cosa passeggera e abbastanza comune quando uno parte, cambia la dieta, ed è soggetto a tanta fatica fisica. La domenica invece si apre con poco più di un terzo dei ragazzi malato e 5 su 10 membri dello staff nelle stesse condizioni. Sappiamo a questo punto che la cosa più probabile è un’intossicazione alimentare e procediamo a fare venire un medico per fare le visite e fare di tutto il necessario affinché i ragazzi stiano meglio il prima possibile. Il dottore, insieme a un’infermiere, arriva verso le 8:00 e inizia con un lungo giro, e dopo aver visatato tutti ci suggerisce la cura più efficace.
Ovviamente dobbiamo sentire prima tutti i genitori coinvolti, dividiamo quindi la lista dei malati in tre (23 ragazzi e 5 membri dello staff) e Filippo, Eugenia e il sottoscritto iniziamo con le chiamate. Approffito queste righe per ringraziare di cuore la comprensione che abbiamo ricevuto. Anche se è vero che sono cose che purtroppo in questi contesti possono accadere, e che abbiamo agito in maniera tempestiva e scrupolosa, non è detto che la comprensione da un genitore dall’altra parte del mondo sia scontata. Quindi a tutti i coinvolti sappiate che vi siamo molto grati, la vostra fiducia ci ha dato la serenità necessaria, e anche la forza, per affrontare questa giornata.
Il gruppo A invece parte da casa verso le 9:45, perché questa mattina dopo la prima colazione ha partecipato alla conferenza sulla felicità e in seguito fatto la seconda riflessione personale. Il gruppo B parte invece verso le 8:30, in due pullman anziche tre vista la situazione medica!


I cantieri vanno avanti spediti, e siccome è domenica, lavorano mano a mano con le persone del posto, i beneficiari diretti di questo progetto. Il che aiuta ai ragazzi a capire quanto quello che stanno facendo è qualcosa a cui i beneficiari per primi ci tengono tantissimo. Sono persone che lavorano speso da lunedì a sabato, in lavori tutt’altro che leggeri dal punto di vista fisico, con orari anche molto demandanti. Vederli qui, spalla con spalla insieme ai ragazzi, nella loro giornata di riposo, è qualcosa che ha del commuovente. Il tempo poi non è particolarmente di aiuto. Anche se oggi fa meno freddo e non c’e stata la pioggia, le nuvole ci precludono ancora della possibilità della luce del sole, e soprattutto del suo calore. Il tutto però non è mai impedimento affinche i ragazzi lavorino, duro e sodo, e anche con tanta gioia.







Dopo la pausa pranzo, che inizia alle 13:15 e finisce alle 14:15, i ragazzi si rimettono a lavoro. Girano un po i compiti, e i beneficiari stanno sempre lì sostenendoci in ogni modo possibile. Alle 16:00 parte il gruppo B, che torna presto per l’attività che il gruppo A ha fatto invece questa mattina. Il gruppo A invece riparte alle 17:00, 18:00 ce il momento della merenda, e alle 19:30 partecipa alla messa di inizio missione.







Continuando sul nostro viaggio interiore oggi è il momento della felicità. Intesa non come sentimento passeggero, ma come qualcosa di più profondo, uno stato e allo stesso tempo un percorso, che affonda le radici su qualcosa di saldo, garantendo che niente di quanto succede al di fuori di noi ce la potrà mai strappare. Una felicità intesa come pienezza, come esperienza di pace interiore.
Una prima cosa che mi sento di dire ai ragazzi è che per essere felice ci vuole una corrispondenza tra le nostre azioni, e quindi le nostre scelte, con la nostra identità. Delle volte facciamo delle scelte che rispondono più alle aspettative degli altri o a partire da ciò che la società di oggi reputa di valore, piuttosto che scelte che rispondano a chi noi siamo, il che delle volte ci porta a tradire noi stessi. E tradire noi stessi, chi noi siamo, il più delle volte si traduce in frustrazione, dove può pure andare tutto bene a livello di risultati, ma che in fin dei conti uno rimane vuoto lo stesso perché non si compie, o si realizza, la propria identità. Il che ci riporta un po alla domanda di ieri, ovvero il chi sono. E serve prendere consapevolezza a questo punto della nostra unicità, che nasciamo come originali, e che delle volte, per le scelte della vita, andiamo finire uno come la fotocopia, brutta, di un altro, come se tutti fossimo chiamati a essere “uguali”. Invece già la nostra sola biologica ci parla di un unicità, del fatto che non ce stato, non ce e non ci sara mai nessuno identico a noi. Basta pensare all’impronta digitale, che sta alla superficie del nostro corpo, che è e rimane unica. O al nostro DNA, che per quanto simile in un altissima percentuale a tutti gli altri, rimarrà sempre quel 0,000001% che ci distingue. E se a questa differenza biologica aggiungiamo il carattere, che si forgia con le esperienze che facciamo, le nostre sofferenze, i nostri successi, le nostre relazioni, l’ambiente nel quale siamo cresciuti, abbiamo davanti a noi che è veramente impossibile pensarci uguali agli altri.
E in questo percorso verso una pace interiore, penso che è essenziale non solo il conoscersi, ma anche l’accettarsi (che non vuol dire rassegnarsi, si può sempre migliorare, ma sulla base della propria identità), e soprattutto amarsi. Perché solo chi si ama è capace di amare. Certo non siamo in una lezione di matematica, non è proprio così rigida questa dinamica dell’amare, però è molto probabile che noi non potremo mai dare ciò che prima non abbiamo ricevuto.
Crediamo anche che nella nostra vita la felicità ha bisogno di nutrirsi da ciò che è vero, buono e bello, e che li dove manca uno di questi elementi anche la felicità ne viene a meno. Cerchiamo quindi, con ogni nostra azione, e delle volte sbagliando di brutto, una felicità che rimanga, che non dipenda da come vanno le cose, ma che affondi le sue radici nella nostra identità e che da lì si traduca in azioni coerenti con i propri sogni, con i propri desideri.
Un ultima cosa però va detta… sembrerebbe che l’essere umano può pure raggiungere tutto quanto questo mondo ha da offrirli, non parlo solo di cose materiali, ma proprio di tutto ciò che il creato ci dona ogni giorno, e sembrerebbe che pur possedendolo tutto, ce sempre qualcosa che manca. Mi piace pensare l’interiorità dell’uomo come qualcosa di eterno, e quindi infinito, e l’infinito, per quanto uno si possa affanare, non potrà mai essere riempito da ciò che è finito, ne da mille finiti, e via dicendo. Mi sento di dire che dentro di noi ce un principio di eternità a cui solo l’eternità potrà saziare, solo l’eternità potrà soddisfare la fame e la sete più profonda di ogni uomo e di ogni donna.
Dopo questa sorta di conferenza sulla felicità, è il momento dei ragazzi, perché dovranno fare la seconda riflessione personale. Quest’anno, oltre i soliti testi di autori vari per approffondire ogni tematica, decidiamo di dare un filo conduttore a tutto il discorso tramite un libro. Abbiamo scelto il “Miguel Mañara” di Oscar Milosz. Il testo inizia così:
“La storia di Don Miguel Mañara comincia in una notte che sembra perfetta: è il giorno del suo trentesimo compleanno e il palazzo dei Mañara, una delle famiglie più potenti e rispettate di Siviglia, è colmo di ospiti. Tra tavole imbandite, musica, vino e risate, tutti sono lì per lui: Miguel è l’uomo del momento – giovane, affascinante, colto, ricco, sicuro di sé, celebrato per le sue conquiste amorose. Vive nella superficialità, circondato da lussi e ammirazione. Ha tutto. Eppure, niente è “abbastanza”. Sotto questa maschera, qualcosa inizia a scricchiolare.
Nel pieno della festa, qualcosa in lui si incrina. Dietro i sorrisi, le lodi, e l’ebbrezza della notte, emerge un’inquietudine. Le parole vuote degli amici, i racconti delle sue imprese amorose, la musica di sottofondo… tutto gli appare improvvisamente stanco, inutile:
“Il tempo scorre lento, signori, spaventosamente lento, e io sono inspiegabilmente stanco di questo schifo di vita.”
Una domanda sembra attraversarlo in silenzio: “È tutto qui?”
In quel momento, il suo cuore comincia a gridare. E Miguel, pur senza capirlo fino in fondo, avverte un vuoto che nessun piacere riesce a colmare.
Questo è il dramma eterno del cuore umano: abbiamo tutto, eppure manca qualcosa. Quel “qualcosa” è il desiderio.”
Il testo prosegue, approffondendo l’esperienza di insoddisfazione di un uomo che ha apparentemente tutto e che tutto ciò non è mai abbastanza. Nel libretto i ragazzi trovano cinque domande per scavare dentro di sé, e cercare di rispondere a questa domanda così fondamentale della nostra vita: cosa devo fare per avere una vita piena e felice?