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June 26, 2025

C’è qualcosa che solo tu puoi fare. E quel qualcosa è unico, irripetibile, insostituibile

Fernando Lozada

Si avvicina la fine di questo viaggio. Un’esperienza che, dall’altra parte del mondo, ha cercato – e forse riuscito – a cambiare la vita di tante persone. Di chi ha ricevuto qualcosa di concreto: uno spazio dove giocare, crescere, vivere. E di chi, in cambio, ci ha donato accoglienza, sorrisi, abbracci. I nostri ragazzi hanno dato tutto: si sono messi in gioco, hanno superato la fatica, hanno portato gioia e testimoniato con il loro duro lavoro, giorno dopo giorno. E da quelle stesse persone hanno ricevuto sorrisi, abbracci, accoglienza.

“Perché piangi?”, ho chiesto ieri a una ragazza, scoppiata in lacrime dopo l’abbraccio di una bambina. “Perché mi vuole bene”, mi ha risposto. Non serve aggiungere altro.

Dopo la colazione, i ragazzi si dedicano all’ultima riflessione personale. Hanno ricevuto di nuovo il “lavoro” sulle cavità del cuore: quel cuore che contiene gioie e dolori, paure e desideri. Lo stesso esercizio lo avevano fatto il primo giorno, appena arrivati. Il nostro desiderio è che, rifacendolo ora, al termine dell’esperienza, ogni cavità sia più piena, più consapevole, più vera. Ma soprattutto che la parte destra – quella delle gioie e dei desideri – sia diventata più salda. Perché è da lì che si costruisce la vita. Dolori e paure restano, fanno parte del cammino. Ma sono le gioie e i desideri a indicarci la direzione, a darci il coraggio di trasformare il dolore in qualcosa di bello e buono. In quella perla che nasce da una ferita. In quell’oro che riempie una crepa, rendendola preziosa.

Poi si parte, e comincia la corsa contro il tempo. La benedizione delle case è fissata per le 13. Alcune hanno ancora il tetto da completare, altre sono pronte per le ultime rifiniture e una mano di vernice. Le famiglie ci aspettano, impazienti, con gli occhi pieni di emozione. Ieri, parlando con una signora, mi ha raccontato un momento che mi ha stretto il cuore: il giorno prima, quando solo una stanza della sua casa era finita, ci hanno buttato dentro un vecchio materasso, hanno appoggiato qualche lamiera sul tetto… e hanno dormito lì. “Al caldo”, mi ha detto, abbracciata a suo figlio di 10 anni e alla sua bambina di appena 5 mesi, in attesa del giorno dopo. Il giorno in cui la loro casa sarebbe diventata davvero casa.

Casa per casa, dalle 13 in poi, padre Gonzalo passa con l’acqua benedetta. Recita una breve preghiera insieme a tutti, benedice ogni abitazione, i ragazzi che l’hanno costruita e la famiglia che la abiterà. Alle parole dei proprietari – parole colme di gratitudine e gioia – seguono spesso le lacrime. Lacrime di emozione, ma anche di un dolore sottile: quello del distacco. Perché il vuoto che i ragazzi lasceranno si farà sentire. Con le loro vite, la loro instancabile fame di frutta, il correre da una parte all’altra, la loro allegria contagiosa… hanno riempito non solo questo luogo, ma soprattutto queste vite. Vite che, troppo spesso, si sentono dimenticate e abbandonate.

Arriva l’ora del pranzo. Sono ormai passate le 14 e la fame si fa sentire. Con la loro umiltà e generosità, ci hanno cucinato ogni giorno: grandi pentoloni sul fuoco acceso con la legna, la loro cucina quotidiana, semplice e autentica. Oggi, però, hanno voluto farci un regalo speciale: dei dolci. Ogni membro della comunità ha contribuito con qualcosa, anche solo con quei 5 soles – poco più di un euro – che per noi non sono nulla, ma che per loro possono rappresentare un pasto intero per tutta la famiglia. Eppure li hanno spesi volentieri, pur di offrire ai ragazzi dei dolci tipici peruviani. Un gesto che vale più di mille parole. Dopo pranzo, restiamo ancora un po’ con le famiglie: c’è chi gioca con i bambini, chi chiacchiera con gli adulti, chi continua a sgranocchiare gli ultimi pezzi di frutta rimasti… Nessuno ha fretta.

Alle 16 ci raduniamo tutti insieme: gli 81 ragazzi, noi 14 dello staff e le famiglie del villaggio, per celebrare la messa di fine missione, che abbiamo scelto di vivere proprio qui, a La Florida. Intorno a noi, volti segnati dalla fatica e dalla gioia. Sullo sfondo, un sole giallo intenso che lentamente inizia a calare, tuffandosi nell’Oceano Pacifico.

Una volta rientrati a casa, i ragazzi si dirigono direttamente in auditorio. Ad ognuno viene consegnata una busta, alcuni fogli e una penna. Il compito è scrivere una lettera a sé stessi. Ma prima, viene letta loro ad alta voce una lettera di fine esperienza:

"Cañete, Perù, 25 giugno 2025

Eccoci qui. È arrivato il momento di tornare a casa. Quel posto sicuro dove non si ha paura di nulla, dove si è liberi — o almeno si dovrebbe esserlo. Casa non è solo un luogo fisico: è una rete di legami, di affetti, di volti familiari. Casa sono le persone: la mamma, il papà, i fratelli, gli amici veri. Casa è dove il cuore può finalmente riposare, dove l’ansia si placa e il dolore trova, o dovrebbe trovare, consolazione. Ed è proprio per questo che, forse, anche Wecare — in queste due settimane — è stata una casa. Una casa un po’ speciale, una famiglia improvvisata, eppure vera. Perché anche qui ci siamo sentiti voluti bene, accolti, ascoltati. Da persone inizialmente sconosciute, così diverse da voi; e da compagni di viaggio che sono diventati amici, fratelli, sorelle in questa avventura condivisa. Qui vi siete raccontati. Avete aperto il cuore: le ferite, le paure, i sogni, le gioie. Avete avuto il coraggio di mostrare la parte più vera di voi. E quella, ragazzi, è libertà.

Ora, alla fine di quest’esperienza, arriva il momento di guardarvi dentro: Quanto hai vissuto davvero tutto questo? Quanto ne hai fatto tuo? Io spero tanto. Perché ciò che avete vissuto in questi giorni è raro, prezioso. Forse irripetibile. Non so quanti di voi torneranno ancora con noi — le statistiche dicono che il 40% lo fa, e un 20% partecipa anche a tre o più missioni. Ma ciò che conta davvero è un’altra cosa: che cosa avete fatto con il vostro tempo, con le vostre mani, con la vostra vita in questi 14 giorni? Oltre ogni valutazione personale, oltre ogni voto mentale su quanto “hai dato” o “hai ricevuto”, vorrei che tornaste a casa con una certezza: Siete immensamente amati. Siete unici. Ed è meraviglioso essere proprio voi. Giorni fa, a messa, il Salmo che abbiamo letto diceva: “Hai fatto di me una meraviglia stupenda.” Da qui deve partire tutto: ogni scelta, ogni sfida, ogni passo. Dalla consapevolezza profonda che nulla — per quanto difficile o doloroso — potrà mai cancellare questa verità: Tu sei tanto amato. Tu sei unico. Non sei solo. Non sei sola.

Ogni volta che ti sei donato, ogni sorriso regalato, ogni istante in cui hai superato la stanchezza — magari con la febbre, col mal di testa — ogni volta che è emersa la tua parte più bella, tenera, piena di vita…hai donato qualcosa di immenso a chi ti era accanto. Hai lasciato una traccia.

Sapete, ragazzi, in questi giorni è stato chiaro: la vita è fatta di tante cose belle. Avete tanti privilegi — e oggi ne siete più consapevoli che mai. Ma i privilegi, ciò che è materiale, non bastano per una vita piena. Perché si può avere tutto… e sentirsi vuoti. Niente di materiale, nessuna ricchezza, nessuna opportunità potrà mai toccare il cuore. Il cuore si riempie solo donandosi. E nel donarsi, si scopre di essere amati. È qui che si gioca tutto: quanta verità, quanto amore, quanta vita ci metti in ciò che fai? Quanto amore dai alle persone che incontri? Quanto amore sei disposto ad accogliere? Adesso tocca a te. Capire come portare con te, a casa, le emozioni vissute in missione. Come farle vivere ancora, ogni giorno, nella tua quotidianità. Perché proprio lì, nella tua vita di tutti i giorni, sei chiamato a far emergere la parte più bella di te.

Vuoi sapere come? Ogni volta che ti troverai a dire o fare qualcosa, chiediti: “Come vorrei che venisse detto a me?” “Cosa mi farebbe sentire accolto, amato, visto?” E poi… fallo anche tu con gli altri. Questa è la logica del dono. C’è più gioia nel dare che nel ricevere. Perché ogni volta che doni un po’ di gioia, ogni volta che fai sentire qualcuno a casa…un pezzetto del tuo cuore si riempie.

Tra poche ore sarete di nuovo nelle vostre belle case, con le vostre vite piene di attività, viaggi, programmi. Pamplona, Cañete, il Perù saranno solo un ricordo. Un ricordo bello, certamente. Un ricordo pieno di sfide, che spero vi riempia di orgoglio. Ma soprattutto sarà la memoria di un viaggio in cui avete visto il meglio di voi. In cui con la vostra vita avete riempito la vita di tante persone. Con quel tempo che spesso sprecate tra social e videogiochi, avete fatto la differenza nella vita di tante persone. Con quei sorrisi che nella nostra società a volte sembrano essere schiacciati dalle preoccupazioni adolescenziali e dalle insicurezze, avete portato gioia, vita pura. Con le vostre mani, avete trasformato la realtà.

Forse penserete a Patty e alla sua famiglia, la nostra cuoca a Pamplona, che con fortuna mangia due volte al giorno, ma che grazie a voi oggi può dare il latte necessario al suo bambino. O penserete a Jacinta, che ora non ha più il senso di colpa di dire “no” ai figli ogni volta che volevano giocare nel campetto, perché il campetto ora ce l’hanno dietro casa. O ricorderete quella famiglia che già al secondo giorno di costruzione — quando voi, dopo una giornata quasi disperata per le difficoltà col pavimento, siete riusciti a chiudere una o due stanze — ha appoggiato le lamiere alle pareti, buttato un materasso per terra, e dormito lì dentro, abbracciati, sognando la loro futura casetta. Ricorderete quei bambini o anziani che vi hanno chiamato per nome, che già dopo poche ore sapevano chi foste, e che avete riempito di gioia semplicemente con la vostra presenza.

Ogni volta che vi sentirete stanchi, persi, scoraggiati. Ogni volta che vi confronterete con gli altri e vi sentirete “meno”. Ogni volta che penserete di non valere abbastanza, di non vedere il bello che c’è in voi.  Ogni volta che penserete di essere soli e vi sembrerà di non avere nulla da dare e di non poter dire nulla a nessuno pur di non sentirvi un peso. Ogni volta che penserete di non essere abbastanza belli, alti, forti, simpatici. Ogni volta che non vi accorgerete di quanto siete amati. Pensate al vostro Perù. Perù per voi non è più un Paese lontano visitato una volta in adolescenza. Perù deve essere per voi il ricordo di una certezza: che quando siete ciò che siete chiamati a essere — uomini e donne che scelgono la vita, scelgono di amare — siete capaci di fare grandi cose. Perché le cose grandi non sono solo cose o grandi strutture. Le cose grandi, quelle vere, sono quelle che riempiono il vostro cuore di pace e serenità, sono quelle che vi fanno essere, anche ai vostri 14, 15, 16 anni, salvezza per gli altri.

E allora, ragazzi, per finire: non sprecate la vostra vita rincorrendo le aspettative degli altri. Abbiate il coraggio di essere voi stessi. Di seguire le vostre passioni. Di dare un nome ai vostri desideri più profondi, e di fare di tutto per realizzarli. Ricordate: il vostro cuore ha una fame e una sete troppo più grandi di ciò che questo mondo può offrire. Anche le cose più belle che il nostro mondo ci offre, l’amore umano nelle sue forme più belle, da solo non basta, sarà insufficiente. Non smettete mai di cercare ciò che lo possa veramente riempire, ciò che da un senso a quel pezzo di storia personale che chiamiamo vita.  Non smettete mai di essere fieri di chi siete, della vostra unicità.

Vi ricordo, come vi ho detto giorni fa: ci sono persone che solo tu puoi amare, abbracci che solo tu puoi dare, sguardi che solo tu puoi donare, mani che solo tu puoi prendere. Non devi essere altro. Devi solo essere tu. Nella tua versione più vera, più buona, più bella. E la felicità, quella vera…è una garanzia."

Alla fine della lettera, i ragazzi cercano il posto più adatto per scrivere la lettera la loro stessi. Una lettera in cui cercano di ricordare al proprio io del futuro quanto vissuto e imparato in questo viaggio. Ceniamo verso le 21.30, anche se un bel po di ragazzi sono ancora lì, a scrivere pagine su pagine. Domani si parte all’alba, alle 4, per evitare il traffico in entrata verso Lima e soprattutto verso l’aeroporto. Sarà una lunga notte!

La foto del gruppo al completo:

La foto dello Staff:

Le 10 case costruire dai ragazzi per 10 famiglie: