
“Che cosa siamo venuti a cercare?”
Partiamo da quattro città diverse, tutte dirette verso Roma, punto di partenza del nostro volo… anzi, del volo lungo. Lunghissimo. Ma il “panico” inizia già da subito: da Torino ci segnalano un ritardo di 90 minuti, da Firenze quasi un’ora. A Bologna va anche peggio: il volo viene cancellato e il nostro unico rappresentante bolognese è costretto a prendere un treno ad alta velocità fino a Termini. Solo Genova si salva, senza intoppi. Nonostante tutto, i torinesi — con appena un’ora scarsa per lo scalo — riescono ad arrivare in tempo, e così ci ritroviamo tutti al gate pronti per affrontare le 13 ore e 40 minuti che separano Roma da Buenos Aires. Si parte puntualissimi, alle 19:20, con la speranza di dormire il più possibile. Impresa non facile, viste le poltrone tutt’altro che comode. I più fortunati riescono a racimolare cinque ore di sonno. A un certo punto del volo, però, veniamo chiamati dalle hostess: pare che uno dei nostri ragazzi abbia acceso una sigaretta elettronica. Un episodio che mi fa già pensare alle “future sanzioni”, nel caso qualcuno decida di non rispettare le regole durante la missione.
Atterriamo a Buenos Aires con 20 minuti di anticipo, alle 04:20 ora locale. Siamo l’unico volo in arrivo e, sorprendentemente, il controllo passaporti è rapidissimo. Quando raggiungiamo il nastro numero 7 per recuperare i bagagli, le valigie sono già lì che ci aspettano, pronte a essere prese. Il passo successivo è dividerci in due gruppi per salire sui pullman che ci porteranno dall’aeroporto internazionale di Ezeiza a quello di Aeroparque, situato praticamente nel cuore di Buenos Aires. Optiamo per la divisione più semplice: i 32 ragazzi di Milano più 4 membri dello staff su un pullman, mentre sull’altro salgono “il resto d’Italia” e gli altri membri dello staff. Sistemiamo le valigie come possiamo e iniziamo il nostro trasferimento. A quell’ora le strade sono praticamente deserte, così in poco più di un’ora — alle 06:10 — siamo già ad Aeroparque. Non possiamo ancora imbarcare i bagagli, bisogna aspettare le 07:30. Così lasciamo ai ragazzi un po’ di tempo libero per fare colazione.
Alle 07:30 riaprono i banchi del check-in: ci mettiamo in fila, consegniamo le valigie, superiamo i controlli e ci mettiamo in attesa del nostro volo, previsto per le 09:55. Le ore da passare qui non sono poche, e mi viene spontaneo chiedermi se non sarebbe stato meglio fare come l’anno scorso: appena atterrati a Ezeiza, affrontare direttamente 15 ore di pullman. Ma il dubbio svanisce in fretta. Meglio aspettare qui, comodi (più o meno), che distruggersi la schiena in un viaggio interminabile su strada — soprattutto dopo quasi 14 ore in volo. Povera colonna vertebrale!
L’imbarco del volo per Posadas tarda un po’, ma alla fine decolliamo quasi in orario. Atterriamo addirittura con qualche minuto di anticipo: sono le 12:00, contro le 12:20 previste. Mentre mi occupo delle pratiche per l’affitto dell’auto — indispensabile in ogni missione, per qualsiasi emergenza o necessità del gruppo — lo staff guida i ragazzi fuori dall’aeroporto e li divide nei due pullman che ci aspettano appena oltre l’uscita.
Il tragitto fino alla casa di spiritualità di Fátima dura solo una mezz’oretta. Al nostro arrivo, lasciamo valigie e zaini nell’auditorium, poi iniziamo uno dei momenti simbolici della missione: la consegna dei cellulari e di ogni dispositivo elettronico. “Ultima occasione per consegnare tutto senza conseguenze” — ricordiamo a ciascuno. I ragazzi si avvicinano uno a uno: c’è chi ci consegna due cellulari, chi aggiunge anche un iPad, e chi — con aria un po’ rassegnata — deposita un laptop, un iPad e uno smartphone.
Ad accoglierci alla casa di spiritualità Fátima c’è Néstor, il responsabile, con un pranzo spettacolare: un risotto al pomodoro con polpette, accompagnato da una generosa quantità di frutta locale. Un benvenuto semplice ma pieno di cura, che ci fa subito sentire a casa. Dopo pranzo, sono già le 14:30. Assegniamo le stanze ai ragazzi e concediamo un po’ di tempo libero fino alle 16:30. Alcuni scelgono di riposarsi, mentre un nutrito gruppo di ragazzi si lancia subito in una partita a calcio (perdendo quasi subito il pallone… per fortuna solo per qualche minuto!). Altri si radunano in cerchio per giocare a carte, ridere e chiacchierare.
Alle 16:30 ci ritroviamo tutti in auditorium. È il momento di dare inizio davvero alla nostra avventura. A ciascun ragazzo consegniamo due magliette: una con il grande cuore di Wecare sul petto, l’altra con la mappa dell’Argentina. Insieme, ricevono anche il libretto per le riflessioni personali. La prima “conferenza” di questo viaggio è dedicata al senso delle missioni. Vogliamo condividere con i ragazzi i pilastri su cui si fondano le nostre esperienze di volontariato all’estero e la cornice dentro cui si svolgerà questa avventura. Conoscere e comprendere i pilastri ci aiuta a vivere questa esperienza nel modo più pieno possibile: ci dà direzione, ci permette di coglierne il significato profondo e ci offre la consapevolezza necessaria per non sprecare nemmeno un momento del tempo che passeremo qui. La cornice — cioè il regolamento — non è fatta di regole fine a sé stesse, ma di azioni concrete che ci aiutano a vivere tutto con serenità e a mantenere il focus su ciò che è essenziale.
I tre pilastri che guidano la nostra esperienza sono: il volontariato, la vita di gruppo e il viaggio interiore. Tre dimensioni diverse, ma profondamente intrecciate, che si alimentano a vicenda. Il volontariato nasce dal desiderio di lasciare un segno: di fare qualcosa che abbia un impatto concreto sulla realtà e sulle persone che incontriamo. L’esperienza di gruppo, invece, risponde al bisogno di comunione: il desiderio di sentirsi accolti, di appartenere, di trovare un posto dove poter essere davvero sé stessi, senza maschere. Dove ci si sente voluti bene, ascoltati, sostenuti. Dove si impara a vivere insieme, anche nella fatica. Infine, il viaggio interiore parla al desiderio di conoscersi in profondità. Di rispondere, con sempre maggiore autenticità, alla domanda su chi siamo. È ciò che ci permette, una volta tornati, di fare scelte più libere e più vere — non guidate dalle aspettative degli altri, ma radicate nella nostra identità Tutti e tre, in fondo, rispondono alla stessa domanda: perché siamo qui? Cosa siamo venuti a cercare? E tutti e tre, insieme, danno senso a ciò che stiamo vivendo. Alla fine, credo che la ricchezza di questa esperienza sarà proporzionale alla capacità di ciascuno di lasciarsi coinvolgere in tutte e tre queste dimensioni. Perché è nell’incontro tra azione, relazione e riflessione che può accadere qualcosa di davvero arricchente.
Dopo aver parlato dei pilastri, passiamo al regolamento: non come un insieme di divieti, ma come uno strumento concreto per vivere al meglio l’esperienza. Affrontiamo temi importanti — l’uso di alcol e droghe, il rispetto reciproco e verso le persone del posto, la sessualità, la cura di sé — con chiarezza. Anche se un po’ di riposo lo abbiamo avuto, la sensazione generale è quella di essere ancora dentro una lunghissima giornata cominciata il pomeriggio di lunedì.
Alle 18:15 partecipiamo alla Messa d’inizio missione. Subito dopo, la casa ci accoglie con asado argentino, empanadas e tantissime insalate. Non abbiamo dubbi: è la miglior accoglienza ricevuta in queste prime sei edizioni estive delle missioni.
Alle 20:30 abbiamo già finito di mangiare. I ragazzi si godono un po’ di tempo insieme all’aperto, ma intorno alle 22 li mandiamo tutti a letto. Domani ci aspetta lo scarico del camion e abbiamo bisogno di tutti nella miglior forma possibile!