Chi è veramente libero, sceglie sempre di amare
È molto comune che il primo giorno di lavoro i ragazzi siano particolarmente puntuali. Non possiamo dare merito di questo allo staff (che oggi ha avuto la geniale, ma fastidiosa, idea di svegliare i maschi con le pentole) come neanche, per quanto probabilmente vero, all'entusiasmo dei ragazzi per una giornata piena di lavoro, ma al jet lag. Praticamente la giornata di viaggio è durata circa 26 ore, e per quanto alcuni siano riusciti a chiudere gli occhi durante il volo, si sa che il riposo in aereo non sia dei migliori. In ogni caso il fatto è che i ragazzi sono puntualissimi e alle 7:00 sono tutti pronti a cominciare.
Ogni giornata ha inizio nella cappella della casa. Si tratta, praticamente, di una chiesa a tutti gli effetti che si trova proprio in mezzo tra la zona dello staff e quella delle ragazze. Il palazzo dei ragazzi sta proprio dall’altra parte, attraversando il parcheggio. Si inizia con una breve preghiera che recitiamo tutti insieme e che condivideremo con voi nei prossimi giorni. In seguito si legge il Vangelo del giorno e poi una breve, o almeno speriamo, riflessione su di esso. Sono riflessioni scelte con cura, che ci teniamo siano molto atterrate, cioè concrete, senza per ciò allontanarsi dal sacro, e dal trascendente, che segna, dal mio punto di vista, la vita di ogni giorno.
Finita la preghiera del mattino andiamo tutti a fare colazione. I ragazzi si buttano nella mischia, letteralmente, ovvero intorno al tavolo che ha il latte, l’acqua calda e il caffè, non quello italiano, ma un potentissimo caffè all’americana, direi un po più carico in realtà. Poi c'è un cesto immenso di frutta, e arrivano anche le fette biscottate e le uova sode. Con grande soddisfazione, dopo anni di missioni, vedo che sono tanti i ragazzi che prendono non uno ma ben due o tre uova sode. Le proteine fanno sempre bene!
La prossima attività della giornata, una dopo l’altra ma cercando di dare un po di respiro ai ragazzi, è un primo briefing in auditorio. Per forza di cose tocca parlare di regole. Per quanto ci riguarda non è determinante in questo momento il rapporto che hanno avuto con le regole in passato, sia quelle di casa che quelle di scuola, o dell’ambito sportivo nel caso pratichino uno sport o una qualsiasi altra disciplina. Consapevoli che gli adolescenti non amano le regole, cerchiamo di offrire loro uno sguardo diverso a ciò che le regole significano superficialmente, o meglio cerchiamo di fargli capire il senso profondo di esse: prima di tutto forse che non sono un capriccio del sottoscritto per limitare il libero arbitrio, ma che in realtà, per quanto possa suonare contraddittorio, servono per incorniciare lo spazio della libertà in cui ognuno di loro si trova. In fondo, l’essere umano cerca con tutte le sue azioni la pienezza, l’essere felice, la felicità, e quando fa male, o si fa male, o fa male agli altri, in realtà non è tanto un esercizio della libertà, ma frutto di scelte non libere, poco informate, o dettate dalla paura. Credo, che alla radice della scelta di un male, c'e sempre una mancanza di libertà, qualcosa che ci limita interiormente o esteriormente, perché credo, o mi piace credere, e spero, che chi è veramente libero sceglie sempre di amare.
L’altro aspetto delle regole è che esse esistono per dare loro la miglior esperienza possibile cercando di concentrarsi su ciò che è essenziale. Poi facciamo un elenco di aneddoti per far notare situazioni che possono essere fuori luogo e quindi essere contrarie allo spirito dell’esperienza. Si parte sempre con la frase: non siamo in vacanza, ci divertiremo, ma in modo diverso da ciò che oggi si intende con divertimento nel contesto di una vacanza (che non è). Si parla di droghe (non si sa mai), di alcool, di sessualità (in termini prettamente positivi e di bellezza, in quanto il corpo è una realtà bella che ci appartiene e con la quale amiamo, con il quale ci doniamo, e che per ciò va rispettato e curato). Si parla anche del rispetto, tra di noi, con le persone che aiuteremo e che ci aiuteranno, per il personale di servizio di dove ci troviamo, e di tanti altri aspetti alternando momenti di serietà a qualche risata (frutto del racconto degli aneddoti). Il riassunto è sempre uno: siamo trasparenti, qui si parte con un rapporto di fiducia.
Infine, si parte! I ragazzi vengono divisi in tre pullman, ognuno con due o tre membri dello staff, prendono zaini, guanti, felpe, e borracce piene, e salgono sui pullmini. Sono circa 30’ quelli che ci separano dal nostro cantiere. Esso si trova in uno dei punti più alti di Pamplona, veramente in alto, un punto dal quale si può contemplare la vastità di questa baraccopoli, la più estesa del Perù. Da là sopra i ragazzi hanno un'esperienza contrastante, di qualcosa di bello e brutto allo stesso tempo, di qualcosa che stimola lo stupore e che allo stesso tempo arriva come un pugno allo stomaco…
Essendo appunto così in alto i nostri pullman non possono arrivare fino a lassù, e quindi dobbiamo fare circa duecento scalini per poi finalmente posare zaini e borracce, indossare i guanti e andare ai propri gruppi di lavoro. I ragazzi sono stati divisi in 7 gruppi da 10/11 persone, e ogni gruppo ha un compito ben preciso: alcuni devono preparare il cemento (senza betoniera il che vuol dire tantissima fatica), altri portare secchi di terra dalla parte più alta del nostro cantiere a dove effettivamente stiamo costruendo il campetto sportivo, altri portano secchi con pietre, e altri pietre veramente grosse. Altri sono gli addetti ai carrelli, per portare più materiale di costruzione. Avere gruppi più piccoli ci permette di rendere il lavoro più efficace, e assicurarci che tutti abbiano lavoro effettivo da fare riducendo al minimo le possibilità di sfuggire alla fatica, che è una grossissima tentazione. Va detto che i ragazzi hanno fatto molto bene. Dobbiamo entrare nell’ottica che per la maggior parte di loro è la prima volta che prendono in mano una pala o un piccone, figuriamoci il cemento, probabilmente non avevano idea di come fosse fatto o come si “creasse”... non mi sorprenderebbe infatti che qualcuno pensasse che il cemente fosse una roba già solida che veniva scolpita piuttosto che preparata con un mix di pietre, sabbia, acqua e, appunto, cemento. Poi la fatica non è da meno. Non soltanto è una fatica costante, dove le soste sono ridotte al minimo e per di più oggi c'era un bel sole per buona metà della giornata, ma anche pesante, nel senso che tutto pesa tantissimo e i nostri giovani volontari non sono proprio abituati a questo tipo di fatica. In sintesi, sono stati bravissimi e siamo, noi del Team di Wecare, molto fieri di tutti loro, e del nostro giovane staff. è vero che siamo al primo giorno, ma viviamo la giornata!
Serviamo il pranzo alle 13.30. Esso è stato cucinato dalle signore del posto. I ragazzi divorano una pentola enorme di riso, un pentolone di patate bollite, e un altra mega pentola di secco di pollo. Finito di mangiare torniamo ai nostri tre pullman, ma questa volta ogni pullman ha un obiettivo diverso. Per i prossimi sette giorni, mentre la mattina sarà dedicata alla costruzione del campetto e delle tribune, i pomeriggi saranno dedicati ad attività in diversi orfanotrofi o case di cura. Ma di questi parleremo nei prossimi giorni.
Torniamo a casa verso le 18.00 e i ragazzi hanno circa 30/40 minuti per lavarsi e essere pronti in auditorio. Questo secondo briefing della giornata in realtà vuole essere un pro memoria a quanto abbiamo cercato di trasmettere ai ragazzi durante tutto il pre partenza: un volontariato che deve avere al centro la persona, e che ogni nostra azione pratica, dal fare il cemento a mettere un chiodo, deve avere dentro il pensiero che sono per qualcuno: per un bambino che non sa dove giocare, per una famiglia che non ha un tetto che li protegga, per un padre che fatica ad arrivare a fine mese, per una madre che soffre nel vedere i figli fare appena uno o due pasti al giorno… Che la nostra esperienza qui è anche un'esperienza di amicizia, e come tale un invito a far cadere tutte le maschere e la brutta abitudine di etichettare gli altri, entrambi requisiti tra i giovani per sentirsi liberi. Infine, insieme al volontariato e all’esperienza del gruppo, ognuno di loro potrà vivere un viaggio interiore, nutrito dai momenti di riflessione, dai gruppi di riflessione e dalle riflessioni personali.

Finito il briefing, partecipiamo tutti alla messa di inizio di Missioni. Padre Kramer è il cappellano del gruppo, abita a Firenze da qualche anno ed è nato in Canada. Nella sua omelia invita i ragazzi a vivere ogni cosa con amore, che altro non è che vivere la carità. Finita la messa andiamo tutti in sala pranzo dove ci aspetta il riso e il pollo, un classico! La cena finisce con quantità abbondanti di torte: oggi infatti fa 18 anni Matilde, un membro dello staff che in passato ha partecipato alle missioni in Romania e in Perù!
Chiudiamo la giornata con una sorta di questionario di inizio missioni, ovvero una lettera scritta da un giovane a un altro giovane, riguardo i cambiamenti della vita in quell’età, le paure, le ansie, le gioie, le aspettative. E in seguito a essa 8 domande personali riguardo al momento in cui i ragazzi si trovano nella loro vita. Va detto che è un po' tosto proporre un esercizio di questo tipo alla fine della prima giornata, tra jet lag e fatica fisica, ma pur avendo dato l’opzione di andare a dormire, loro hanno preferito rimanere a lavorare su sé stessi.