0
August 13, 2023

Ci sono persone che solo tu puoi amare e parole che solamente tu puoi pronunciare

Fernando Lozada

La penultima giornata della nostra esperienza qui in Rwanda a Kibaya inizia alle 7:00. Alle 8:00 i ragazzi fanno l’ultima riflessione scritta personale: leggono un brano del Vangelo, un testo letterario, e delle domande a cui rispondere per iscritto in modo da poter elaborare al meglio e dare un nome a ciò che si portano nel cuore.

Trattandosi di un esercizio quasi finale è  un’occasione per prendere consapevolezza di cosa ha dato loro questa esperienza, cosa ci si porta a casa e anche evidenziare a se stessi che aspetti di quest’esperienza magari non si sono sfruttati al massimo per diversi motivi. Forse ci sono stati alcuni aspetti in cui alcuni si sono un po’ più chiusi e impigriti e magari non sono riusciti ad andare oltre: c’è ci ha fatto più fatica a lasciarsi andare con i bambini, chi ha fatto difficoltà con il cibo o con la fatica, e così via. Insomma ci sono una serie di eventi durante l’esperienza che si possono essere vissuti non fino in fondo ed è bene anche cercare di capire i motivi per cui certe cose hanno bloccato più di altre magari per una paura, per un’ansia da prestazione o semplicemente per un po’ di superficialità. Prendere consapevolezza delle cose che sono andate e di quelle che sono andate meno bene è sempre molto importante.

Partiamo per il nostro ultimo giorno di lavoro effettivo in quanto domani - che è domenica - non lavoreremo. Diamo più libertà ai ragazzi per quanto riguarda la scelta dei vari gruppi: bambini, pittura e costruzione, e ci diamo da fare.

Il lavoro di costruzione va avanti: ormai tutta la struttura è completata e la giornata di oggi è dedicata a riempire di pietre il pavimento (che i ragazzi stessi hanno rotto da rocce più grandi) per poi ricoprire tutto con uno strato di cemento. I ragazzi sicuramente hanno imparato in questi giorni che, a seconda del fine, il cemento si fa in diversi modi: c'è quello che serve da collante per i mattoni per esempio che è diverso da quello che si mette in maggiori quantità nelle colonne portanti o per il pavimento). Così i ragazzi fanno una lunga catena, alternata con i bambini , per passarsi questi pesanti secchi di cemento.


È una giornata molto calda quindi anche il lavoro dell’animazione è particolarmente faticoso. Ma l’entusiasmo dei ragazzi e dei bambini stessi è la carica più grande. Soprattutto gli occhi dei bambini che li guardano con grande attesa di un abbraccio o per giocare insieme sono la ricarica più grande.

Il team artistico della pittura porta a termine tutti i disegni e procede con le rifiniture e la pulizia delle aule.

Torniamo a casa un po’ prima degli altri giorni e ci ritroviamo in auditorio per assistere alla lettura della seguente lettera:


Cari ragazzi, anche se a molti di voi dovremo ormai chiamare giovani,

Sono passate quasi due settimane da quando abbiamo lasciato casa e siamo arrivati, dopo un lungo viaggio, qui a Kibungo. La gioia di sapere che la sveglia sarebbe stata alle 10:00 si è sfumata non appena abbiamo capito che saremo andati a dormire, chi più chi meno, verso le 6:00 del mattino. Da lì in poi la sveglia è oscillata tra le 6:45 e le 7, ma strada facendo ho capito che il sonno non era, per una buona parte di voi, una priorità. Cosa che purtroppo si è visto puntualmente non tanto in quanto tardi arrivavate alla preghiera del mattino ma in quali condizioni: dai capelli con ancora il segno del cuscino, occhi che a malapena riuscivate a tenere aperti, per non parlare dell'outfit, ma tanto dell'outfit abbiamo capito bene che in queste settimane ci doveva importare poco o niente.

Ogni gruppo che fa questo tipo di esperienza con noi di Wecare ha sempre un'impronta particolare. E forse quanto sto per dire ad alcuni potrà sembrare non ottimo, ma in realtà è qualcosa di esteriore che denota qualcosa di interiore, il che vuol dire che molti di voi, spero tutti ma questo non lo posso sapere, siete andati in profondità prendendo sul serio le varie tematiche e i momenti per riflettere, avete preso sul serio voi stessi. E fidatevi, prendersi sul serio è già una grande conquista. Siete, in tutti questi anni che faccio missioni, senza ombra di dubbio il gruppo che ha versato più lacrime nei vari momenti di riflessione personale, nei gruppi e qualcuno pure in qualche conferenza. E chi sa quante lacrime ancora verserete nel prossimo esercizio scritto, o domani quando saluterete, forse per sempre, tante delle persone che avete incontrato qui, in questo posto un po' sperduto del Ruanda, soprattutto i bambini, tanti dei quali chiamate per nome, e tanti dei quali vi chiamano per nome.

Essere chiamato per nome è qualcosa di molto più bello di quanto uno possa pensare. Quando qualcuno ti chiama per nome, parlo in contesti come questo ma non solo, vuol dire che sei stato ascoltato, e sei stato ricordato, che non sei più un "muzungo" qualsiasi, ma sei appunto uno in particolare. Essere chiamati per nome vuole dire che siamo stati guardati, che qualcuno ci riconosce, e che in qualche modo facciamo parte della vita di colui che ci chiama. Essere chiamati per nome ci leva dall’anonimato e ci rende protagonisti.

Ma protagonisti di cosa? Della tua stessa vita, e così facendo della vita degli altri! E questo non è scontato, quante volte invece di vivere da protagonisti viviamo da spettatori? Abbiamo iniziato quest’esperienza chiedendovi cosa siete venuti a cercare. Non so quale risposta vi siate dati, ma spero di cuore che tra le tante cose che probabilmente avete trovato qui, lontani da casa, senza tutte le comodità alle quali siete abituati, catapultati in un altro continente e tanti di voi senza addirittura conoscere nessuno, abbiate capito e capendo amato, qualcosa in più anche su chi voi siete.

Ognuno di voi è un mistero, ci sono tante cose indecifrabili, ma tante altre a cui potete dare un nome, senza paura, senza vergogna, perché non c'è nulla di cui uno deva vergognarsi se non solo il male compiuto ma mai rimanendo in esso, perché il male non vi determina. Dicevo vi siete visti con altri occhi, e vi siete lasciare guardare con altri occhi. Ora la domanda è quanto di questo rimarrà nei prossimi giorni, quando sarete a casa, nelle vostre, nostre, solite comodità, ritmi, posti sicuri, e l’Africa sarà un ormai un lontano ricordo?

Tu sei importante. Senza di te non si può fare. Ma fare cosa vi chiederete... tutto di quanto bello, buono, vero e unico è stato fatto qui. Perché se uno solo di voi non fosse venuto, anche quello più timido o timida, questo gruppo non sarebbe stato le stesso, avremmo perso tutti qualcosa di unico, e soprattutto, sono certo, che pur trovando qualcuno che mettesse quel mattone che non avresti messo tu perché mancavi, non avremmo mai trovato qualcuno che potesse abbracciare, giocare, imboccare, i bambini come tu stesso l’hai fatto. E questo perché la nostra unicità non riposa sulle cose che facciamo (forse anche un po' ma non principalmente) ma riposa nel modo in cui le facciamo. Ricordate la frase?

“Ci sono persone che solo tu puoi amare. Parole che solamente tu puoi pronunciare. Sentimenti ed emozioni che solo tu puoi provare. Sguardi che solo tu puoi rivolgere. Abbracci che solo tu puoi dare.”

E questo non è banale. Diventi banale ogni volta che non ami te stesso. Non ami te stesso ogni volta che ti tratti come se tu valessi qualche spiccio. Non ami te stesso quando l’ansia ti soffoca perché pensi e senti di non essere mai abbastanza. Non ami te stesso quando pensi che la tua vita sia determinata da tutte le superficialità effimere che poi passano, crollano, e ti lasciano più vuoto di prima e quindi non dai spazio a ciò che conta. Non ami te stesso quando passi la vita ad accontentare gli altri e vivere la fatica di indossare maschere e ruoli che non sono tuoi fino in fondo, tradendo chi tu sei e tradendo così tutto l’amore e tutta la fiducia che riposa in te insieme a tutto l’amore del quale sei capace.

Ma cosa conta allora nella nostra vita? Credo che nella nostra vita ci sono due esperienze che ci logorano e ci massacrano lentamente:

La noia, ovvero il non senso, il non trovare la forza giorno dopo giorno, il perdere il gusto della vita, delle piccole cose, e pensare così che un’intera esistenza non abbia valore. Una vita senza desideri che per forza di cose diventa un disastro.

E la solitudine, pensare che siamo soli, che nessuno ci potrà mai capire, che nessuno è disposto ad ascoltarci, sentirci un peso, credere in fondo che non siamo meritevoli di attenzioni, figuriamoci dell’amore, che non ci sia niente di amabile in noi.

E questo perché intaccano proprio ciò che conta nella vita: L’amore che ci mettiamo in tutto ciò che facciamo; e le relazioni, fare esperienza che pur con tutto ciò che di noi crediamo non vada, siamo e rimaniamo sempre amabili.

L’amore che mettiamo in ogni cosa che facciamo ci salva dalla noia, è capace di trasformare l’azione più ripetitiva, più arida, più ordinaria, in qualcosa di straordinario. Ecco il rendere la nostra vita qualcosa di straordinario non dipende tanto da cosa facciamo, ma quanto amore ci mettiamo nelle cose che facciamo. E questa è un'ottima formula per noi ora che torniamo. Quanto amore ci metterai nello studio, o al lavoro? Quanto amore ci metterai nelle tue amicizie? Quanto amore ci metterai nel vivere il servizio a casa? Quanto amore ci metterai nel dedicare un po' del tuo tempo per chi ne ha bisogno? Quanto amore ci metterai proprio a casa, con i tuoi cari, con quelli che sei chiamato e chiamata ad amare ogni giorno in ogni tua azione, in ogni tua parola, in ogni tuo gesto?

E poi ci sono le relazioni. Le relazioni ci salvano. Nessuno si salva da solo. Qui avete intrecciato un tipo di rapporto particolare. Non so se vi chiamerete amici, se vi frequenterete rientrando in Italia, se vi sentirete, non lo so, questo sta a voi. Ma so che vi siete aperti e messi in gioco come con nessun altro, o poche persone nella vostra vita. Vi siete sentiti liberi come forse da tanto non accadeva, vi siete lasciati andare, come bambini, nel fidarvi e nell’affidarvi a dei quasi sconosciuti. E vi siete, molto probabilmente, voluti bene.Ora perché le relazioni qui sono state forti e radicate? Perché avete aperto il cuore, perché vi siete lasciati vedere per ciò che siete, in tutto il vostro splendore nel lavoro, con i bambini, e in tutto ciò che vi oscura quando sono venute a galla anche la sofferenza e le ferite. E vi siete resi conto che siete amati così, che siete stati accolti così, che nessuno si aspettava chi sa che cosa da voi se non essere se stessi, rispondere alla nostra prima vocazione: quella di amare, quella di donarci.

Chiudo con un pensiero su Colui che è l’artefice di tutto. Su Colui che sta all’inizio della nostra esistenza, che ci ha chiamato alla vita e nella vita ci sostiene. Sono convinto, che per quanti sforzi umani, per quanta passione uno ci metta in ciò che fa, c’è sempre l’azione amorevole di Dio che ci sostiene. Credo che Dio sta in quel desiderio di partire lontano da casa per fare del bene. Come credo che Dio sia nel desiderio di conoscerti personalmente. Credo che Dio può ma soprattutto deve stare nella possibilità non solo di accettarti così come sei (se Dio ti voleva diverso fidati che ti avrebbe fatto diverso), ma di amare te stesso così come sei. Sono convinto, non per un’elucubrazione mentale ma per esperienza, che Dio non ci abbandona mai, e che ci ama come un Padre, con la P maiuscola, con un amore che c’è sempre, che è infinito, e che non esige nessun merito in noi. Dio ti ama non perché tu sei buono, ma perché Lui è buono. E questo ci libera dall’ansia da prestazione, dalla paura di rimanere soli, dall’angoscia di non performare, perché niente di quanto potrà accadere nella tua vita sarà minimamente in grado di far venire meno quell’amore folle che Dio ha nei tuoi confronti.

Dio non ti vuole chiuso nelle tue ferite, impaurito da dover fare chissà che cosa nella vita, Dio ti vuole libero, ma veramente libero, e ti vuole felice, vuole che tu provi, come hai provato in questi giorni, la pienezza del cuore, un cuore che donandosi riceve cento volte di più. E ora lo sapete non più perché lo avete letto nella frase che portate nelle vostre magliette ma perché l’avete vissuto. Avete ricevuto molto più di quanto avete dato. E così come avete fatto esperienza di questo, vi auguro di cuore che incontriate quell’amore che ti ama di un amore eterno e incondizionato, quell’amore che sta alla base di ogni nostro desiderio, quell’amore del Dio Padre che, rispettando fino all’estremo la tua libertà, non vede l’ora che ti guardi dentro, che alzi gli occhi al cielo, e Gli chieda cosa fare della tua vita. Vedrai che, se accadrà, non ne uscirai deluso. Dio ti parla nei tuoi desideri, Dio ti parla nelle persone che ti amano, ma il megafono di Dio è la sofferenza, e ti parla anche tramite quella. Anche Dio ti chiama per nome, l’ha fatto quando ti ha chiamato all’esistenza, e se per Lui tu vai bene così e ha bisogno di te, chi sei tu per non amare tutto ciò che tu sei e ridurti a tutto ciò che non va?

Spero di cuore che le radice, le certezze, i pilastri, scoperti o confermati tramite quest’esperienza, possano trasformarsi in tanti frutti nella vostra vita lì dove siete chiamati a fare la differenza. Questa è stata una boccata d’aria, ma ognuno di voi è chiamato a rivivere tutto ciò che qui abbiamo vissuto, a casa vostra, e così a essere luce in un mondo che ha sempre più tenebre. Concludo citando una persona a me cara:

“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.

La persona che ha pronunciato queste parole, 2000 anni fa, si chiama Gesù, e forse, indipendentemente dalla propria temperatura spirituale, sono parole valide anche oggi, per tutti noi.


A fine lettera i ragazzi si disperdono un po’ in tutta la struttura che ci accoglie per scrivere una lettera a se stessi che dovranno chiudere e consegnare, in modo da poterla ricevere quando torneranno (se torneranno in una delle prossime missioni) oppure, chissà, nel futuro, quando lo desidereranno e soprattutto quando avranno bisogno di ricordare cosa ha significato per loro questa esperienza.

Dopo la lettera alcuni si incontrano in una saletta per preparare i canti della messa di domani che sarà quella conclusiva e che si terrà nella chiesa proprio accanto alla scuola nel villaggio di Kibaya.

Alle 19:30 partecipiamo alla messa e mangiamo un poco più tardi rispetto agli altri giorni per via di un ritardo nella cucina. Poi festeggiamo con una grande torta Camilla che compie 20 anni e poi la serata si conclude con i soliti giochi di carte e chiacchiere.