
Un impegno che cura un bisogno
Oggi è l’ultimo giorno. Non l’ultimo nella scuola, perché domani torneremo la mattina per una piccola festa, ma l’ultimo giorno intero di lavoro. L’ultima volta che i ragazzi prepareranno il cemento, trasporteranno i mattoni, poseranno strati su strati e passeranno pennellate di colore sulle pareti delle aule.
Questa mattina, per dare un po’ di riposo ai ragazzi, che hanno lavorato senza sosta per dieci giorni, ci siamo divisi in tre gruppi, ognuno accompagnato da un professore, e siamo andati a visitare quindici famiglie che vivono nella zona intorno alla scuola. Abbiamo portato riso e biscotti, e in ogni casa siamo stati accolti come ospiti d’onore: ci hanno invitato a sederci, a parlare, a condividere un pezzo della loro quotidianità. I ragazzi avevano mille domande: “Che lavoro fate? Quanti figli avete?” — e quasi mai la risposta scendeva sotto il numero sei — “I vostri figli vanno a scuola?”.
Tra le tante storie ascoltate, una ci ha colpito particolarmente: quattro fratelli che hanno perso la mamma appena due mesi fa. Quando abbiamo chiesto del papà, ci hanno raccontato che spesso è costretto a partire per diversi giorni per cercare cibo, lasciando i figli soli, affidati al più grande, con il sostegno, quando possibile, delle famiglie vicine.
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Sentire queste storie provoca inevitabilmente tristezza. A volte è persino difficile ascoltarle fino in fondo, ma è importante che i ragazzi conoscano la realtà per quella che è. Perché chiudere gli occhi davanti alle difficoltà non fa bene né a loro, né a noi. Parlando con alcuni di loro, però, insieme alla tristezza è emerso anche un orgoglio nuovo: quello di sapere che il loro impegno serve davvero a qualcuno che ne ha bisogno. Perché se il sorriso dei bambini, tra una corsa e uno scherzo, fa sembrare lontane certe difficoltà, entrare nelle loro case e vedere la gioia per un semplice sacco di riso ridà alla parola “aiuto” tutto il suo peso.
Terminata la visita, i ragazzi sono tornati al lavoro con un’energia nuova. Forse conoscere le famiglie ha acceso in loro una spinta in più. Sembravano loro a coordinare noi: sapevano cosa mancava, cosa bisognava fare entro sera, e ci si sono buttati con determinazione.
Dopo pranzo, hanno proseguito senza sosta fino alle 16, quando li abbiamo portati a Kibungo, il paese dove si trova il nostro albergo. Lì, su loro richiesta, hanno comprato piccoli regali da lasciare domani ai bambini: quaderni, penne, qualche vestito, giocattoli. Tornati in albergo, raccontavano a chi avrebbero destinato ogni dono, con occhi pieni di emozione. Non vedono l’ora di rivederli domani, per stringere quelle mani piccole e lasciare loro qualcosa che, nella sua semplicità, porterà un sorriso.
Domani sarà il momento degli addii, ma oggi abbiamo chiuso la giornata con la certezza che, tra loro e noi, è nato un legame che va oltre i mattoni e il cemento. Un filo sottile ma resistente, che continuerà a legarci anche quando torneremo a casa.