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Ciò che abbiamo costruito fuori e dentro di noi
Oggi abbiamo affrontato l’ultimo giorno nei posti dove abbiamo passato le ultime due settimane. Tante volte mi chiedo quanto realmente i ragazzi si rendano conto dell’effetto che ha il loro lavoro, la loro fatica e il loro tempo, ma sopratutto le energie emotive che mettono durante questi viaggi. Giornate come queste probabilmente servono molto a comprendere tutto questo.
La prima tappa è Pro Crianca, la scuola dove i ragazzi hanno ristrutturato la mensa e il refettorio, permettendo di aumentare sia la capacità delle cuoche di cucinare che il numero di posti a sedere. Dopo un breve “show” di percussioni locali la direttrice della scuola si è commossa raccontando ai ragazzi quanto è stato prezioso il loro contributo. Vedere una signora che nella vita si prende cura degli ultimi, quindi sicuramente testimone oculare di sofferenze e problemi di ogni tipo, commuoversi per loro probabilmente ha un effetto 100 volte maggiore di tutte le parole che possiamo dire noi. Oltre a lei le cuoche, i giardinieri, gli operai e tutti coloro che ci hanno aiutato si sono uniti in unico grande abbraccio verso i ragazzi donando ad ognuno di loro una busta con dei regalini.
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Dopo questo primo carico di emozioni ci spostiamo verso Pazear dove forse ancora di più la sensazione di aver fatto qualcosa di importante viene amplificata dall’accoglienza che ci viene riservata. Centinaia di bambini, una band, decine di persone che abitano nella favela e tantissima musica, tantissimo calcio e tantissimo cibo ci accoglie al nostro arrivo. I ragazzi vedono per la prima volta i bambini entrare dentro le cose costruite in questi giorni, ascoltano storie e le raccontano a loro volta. Dopo due intensissimi match, uno maschile ed uno femminile (molto più coinvolgente) è il momento dei saluti. Come potete immaginare la nostra tabella oraria è abbastanza serrata ma questa volta avevo considerato almeno mezz’ora per riuscire a portare via i ragazzi.
La verità è che in quegli abbracci di “addio” ci sono talmente tanti sentimenti che si mischiano, tristezza, gioia, felicità, gratitudine, malinconia, e per noi è impossibile toglierli spazio.
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Infine la giornata la concludiamo con l’ultimo esercizio, la lettera a se stessi. Un ultimo momento in cui i ragazzi sono tenuti a scrivere una lettera a loro stessi, che poi viene consegnata e custodita da noi, pronta per essere riaperta da loro in qualsiasi momento ce la chiedano.
Prima di questo però leggo loro la nostra lettera a loro, un modo con cui “salutare” i ragazzi e ringraziarli dell’esperienza vissuta insieme.
Ve la lascio qua sotto! Aggiungo poi che questa sarà l’ultima pagina del diario del nostro viaggio, spero vi abbia fatto vivere un pochino delle emozioni che abbiamo vissuto noi quaggiù.
“Cari ragazzi, vi confesso che scrivere questa lettera non è stato un compito facile. Un pò perchè concentrare in poche righe le emozioni di queste due settimane è difficile, un pò perchè vi meritereste una lettera a testa per quanto ho ricevuto da ognuno di voi.
Mentre preparavamo questo viaggio mi sono chiesto più volte chissà come sarà questo gruppo, chissà se lavoreranno, chissà se saranno in grado di affrontare il viaggio cosi come lo immaginiamo noi di Wecare.
Credo che voi mi abbiate risposto sul “campo”, da parte mia spero che questo viaggio vi abbia portato un pò di felicità.
Non la felicità veloce e un po’ superficiale a cui spesso ci abituiamo, quella che arriva solo quando tutto va bene e che se ne va al primo imprevisto.
Ma una felicità diversa, più profonda, che rimane anche quando si è stanchi, magari sporchi di vernice o pieni di polvere e sudore, ma con il cuore pieno di qualcosa che non si può spiegare facilmente.
Una felicità vera, che non si spiega, non si mostra, non si posta. Una felicità che si vive, che ti attraversa, e che lascia qualcosa dentro.
In questi giorni avete fatto tantissimo, questo è fuori discussione. Ma più di tutto, siete stati tanto. Avete messo in gioco le vostre energie, ma anche le vostre emozioni, i vostri pensieri, i vostri limiti. Siete stati sguardi attenti, parole gentili, mani tese, abbracci sinceri, risate spontanee.
Siete stati compagnia, presenza, ascolto.
Avete creato legami, vi siete lasciati toccare, avete donato tempo, attenzione, cura. E in tutto questo vi siete scoperti diversi, forse più autentici, forse più liberi, forse semplicemente più vicini a voi stessi.
Avete lasciato un segno nei bambini, nelle famiglie, nelle persone incontrate lungo il cammino.
Ma forse, e lo dico con convinzione, il segno più grande lo avete lasciato dentro di voi. In ogni cantiere, in ogni attività, in ogni gioco con i bambini, in ogni chiacchierata serale, in ogni momento di riflessione e silenzio, avete portato qualcosa di profondo.
Non vi siete nascosti. Non avete avuto paura di andare oltre l’apparenza. E anche chi all’inizio era più silenzioso, più sulle sue, ha trovato spazio, voce, forza.
Ognuno di voi ha dato qualcosa di unico, anche quando magari non se ne è accorto. Ed è proprio questa ricchezza individuale, questo mosaico di diversità e autenticità, che ha reso questo gruppo qualcosa di speciale.
Perché sì, siete diventati un gruppo vero, e vi assicuro che non è una cosa scontata. Lo si è visto nella bellezza delle vostre condivisioni, nelle riflessioni intense, nei racconti profondi. A poco a poco sono emersi pensieri che di solito restano nascosti: paure, domande, sogni, ferite. E voi non vi siete tirati indietro. Avete trovato il coraggio di guardarli in faccia, senza vergognarvi.
E lì, in quei momenti di verità, si cresce davvero. Perché diventare grandi non significa smettere di avere bisogno. Significa accorgersi di quanto sia bello aver bisogno degli altri, lasciarsi aiutare, lasciarsi amare.
E voi lo avete fatto, con naturalezza, con semplicità. Avete compreso che la fragilità non è un difetto, ma una porta che si apre verso qualcosa di più profondo. Che non dobbiamo essere forti a tutti i costi, ma autentici. Che si può amare in tanti modi: con le mani, con il tempo, con l’ascolto, con la pazienza. Che la vita ha senso solo se è condivisa.
Che il bene, quando è vero, chiama altro bene. Che l’amore non è una bella teoria da scrivere sui muri o nelle canzoni, ma un’esperienza viva, concreta, che prende forma quando qualcuno ti guarda e, semplicemente, ti fa sentire importante così come sei.
E adesso si torna a casa. Ma non si torna indietro. Perché non si può tornare indietro dopo aver vissuto tutto questo. Non si può tornare esattamente quelli di prima. Quello che avete vissuto non è solo un ricordo da fotografare o un momento da postare con una bella caption. È qualcosa da custodire, da lasciare maturare con calma.
Non lasciate che la routine, la fretta, la noia o il disincanto spengano quella luce che avete acceso. Continuate ad alimentarla, anche nei giorni più vuoti, anche quando vi sembrerà lontana, anche quando tutto vi dirà che non ne vale la pena. Perché ne vale la pena.
E perché, davvero, il mondo ha bisogno di ragazzi come voi. Non perfetti, non imbattibili, non impeccabili. Ma veri.
Ragazzi che sanno costruire, che sanno ascoltare, che sanno tendere la mano. Ragazzi che non hanno paura di sognare, anche quando i sogni sembrano troppo grandi. Che sanno rimettersi in gioco, anche quando fa male. Che sanno amare senza garanzie. E voi siete tutto questo. Ragazzi siete unici.
Ognuno con la propria voce, con il proprio passo, con qualcosa di speciale da portare nel mondo. Anche quando vi sembrerà di non essere all’altezza, ricordate: non siete le vostre paure, né i vostri errori. Siete ciò che avete scelto di mettere in circolo qui.
Siete i vostri gesti più veri, le emozioni che avete condiviso, il bene che avete seminato. Vi auguro di non accontentarvi mai di meno della bellezza che avete vissuto.
Di non smettere di cercare ciò che vi riempie davvero. Di essere sempre più voi stessi, con coraggio. Di avere fiducia che ne valga sempre la pena. Perché è proprio così che si cresce, che si ama, che si trova il proprio posto nel mondo.
E ricordatelo ogni volta che ne avrete bisogno: è bello essere voi. Proprio così come siete. Veri.
E così come siete, siete già necessari.
Vi voglio, anzi vi vogliamo, veramente bene ragazzi, spero di avere la fortuna di viaggiare di nuovo con voi li dove ci sarà bisogno, o semplicemente di farsi, finalmente, una bella birra insieme!”