0
July 19, 2023

Cosa è più importante? Essere te stesso o rispondere alle aspettative degli altri?

Fernando Lozada

La giornata di oggi, come tutte le altre, inizia alle 7:00 con la preghiera e subito dopo la colazione. Poi alle 8:15 ci incontriamo tutti insieme nell’alloggio delle ragazze per affrontare la seconda conferenza di questa esperienza. Dopo aver riflettuto sulla felicità e il desiderio infinito che abbiamo di essa, e aver condiviso le paure con ognuno di noi si porta e che ci impediscono di abbracciare la pienezza della nostra vita, affrontiamo il discorso sugli idoli. Il discorso sugli idoli ha una grande complicazione: di per sé quello che può essere considerato un idolo non è una cosa, una persona o una situazione sbagliata, ma può lo può diventare se ne facciamo un idolo. Quando noi facciamo diventare qualcosa, qualcuno o una situazione un idolo, stiamo incatenando - se si può dire così - il proprio cuore, la propria interiorità e la propria vita a qualcosa che in realtà, di sua natura, non è in grado di darci ciò che l’uomo interiormente cerca.

Si parla degli idoli del piacere, del potere, del possedere, risaltando che tutte queste realtà di per sé non sono sbagliate e non rappresentano qualcosa di sbagliato: il piacere fa parte dell’esistenza umana, il possedere della proprietà privata, il potere è un esercizio che va portato avanti in una società organizzata come la nostra. Il problema è quando noi le assolutizziamo e crediamo che, solo raggiungendole, potremo essere felici. È qui che sbagliamo perché abbiamo affidato a realtà come il piacere, il possedere e il potere, la possibilità di riscattarci, di “salvarci”. Da cosa? Spesso si pensa che ci possano salvare dall’esperienza di non sentirsi abbastanza, di non sentirsi realizzati, di non essere felici, si pensa che siano le risposte ai quesiti che uno si fa. Ecco, quando si entra nella trappola degli idoli, si entra in un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Oltre questi tre idoli più “classici” (di cui parliamo almeno dal 2011 nelle nostre esperienze di volontariato), quest’anno abbiamo aggiunto un quarto idolo: l’idolo delle aspettative degli altri. Come abbiamo già raccontato, nelle condivisione della sera precedente, era emersa in moltissimi la paura delle aspettative degli altri. Quindi nasce una provocazione: “Cosa è più importante? Essere te stesso o rispondere alle aspettative degli altri?” Sottolineiamo ai ragazzi il fatto che spesso le aspettative degli altri possono diventare una “gabbia” che non rispecchia ciò che la persona è. Le aspettative degli altri, infatti, non tengono conto di chi ognuno di noi è, a che cosa è portato e che cosa si porta nel cuore. In questo senso è importante tenere in considerazione che l’idolo diventa tale perché ci allontana da noi stessi: non siamo più noi a dominarli, ma siamo noi a essere dominati da essi. Qui si può entrare un po’ in confusione: è bello è sano che le persone che ci vogliono bene si aspettino da noi il massimo. Il nostro non è un invito a non fare nulla o a non dare il massimo, ma è un invito a non sacrificare ciò che si è è quello che si desidera profondamente, per rispondere alle aspettative degli altri.

Finita la conferenza partiamo con i vari gruppi verso i cantieri di lavoro. Un gruppo va alla casa degli anziani: c’è da sistemare il giardino, da aprire un piccolo canale per la fuoriuscita dell’acqua, riverniciare i mobili vecchi che hanno, dipingere qualche muro, insomma, un vero e proprio lavoro.

Mentre gli altri due gruppi continuano a picconare sotto il sole che oggi - per fortuna - è stato un po’ più clemente visto che c’erano più nuvole rispetto agli altri giorni.

Finito il lavoro, tornati a casa, e dopo il solito tuffo, facciamo i gruppi di condivisione per approfondire la conferenza della mattina. Riteniamo infatti molto importante confrontarci con i ragazzi riguardo a questa esperienza comune a tutti, soprattutto quella delle aspettative. Nei dialoghi emerge nuovamente questa paura più o meno nascosta, il pensiero di non essere abbastanza, la paura di non piacere a tutti e di commettere degli errori. Una delle condivisioni che mi hanno più colpito è quella di una ragazza che usa poca misericordia con se stessa facendosi così solo del male. Così invito i ragazzi a guardarsi con più amore, e soprattutto con più misericordia, li invito a concedersi la possibilità di essere fragili e deboli, a sapersi mostrare anche nelle loro vulnerabilità, piuttosto che dover vivere nella “gabbia” di dover essere sempre sorridenti o sempre a posto, perché umanamente questo è impossibile. Chi ti vuole bene, in fin dei conti, ti ama veramente così come sei: conosce già i tuoi lati buoni e quelli meno buoni e, se è amore vero, niente potrà allontanare la sua presenza dalle nostre vite.