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June 28, 2025

Cosa siamo venuti a cercare?

Fernando Lozada

Quest’anno si vola di notte. Mentre dal Perù parte il primo gruppo dopo una sveglia all’alba, il secondo gruppo – che in realtà unisce il secondo e il terzo – parte la sera di giovedì. Un po’ di “ansia” ci coglie quando il volo da Milano, dove si trova circa il 90% del nostro gruppo, accumula un’ora e mezza di ritardo. La partenza del volo da Madrid è prevista poco dopo la mezzanotte e, con il nuovo orario, il gruppo avrà solo un’ora per scendere dall’aereo, prendere il trenino tra i terminal, passare il controllo passaporti e raggiungere il gate.

Nei gruppi WhatsApp iniziano a circolare consigli che hanno quasi il tono di una minaccia: “Nella fretta, non dimenticate il passaporto!” Appena atterrati, inizia la corsa contro il tempo. Alla fine, l’imbarco inizia proprio quando la maggior parte del gruppo raggiunge il gate. Ora c’è un solo pensiero: speriamo che abbiano fatto in tempo a trasferire i bagagli da un aereo all’altro. 

Sono 12 lunghe ore, un po’ di meno visto che l’aereo atterra con 45’ di anticipo. Dopo qualche minuto di attesa e una buona dose di ansia (e preoccupazione per come ci si vestirà nei prossimi giorni), le valigie iniziano a comparire… una dopo l’altra, tutte arrivano a destinazione!

È il momento di uscire dall’aeroporto e caricare i pullman. Due diretti a sud di Lima, al convento degli Agostiniani, e altri due a est, al convento delle suore del Buon Pastore. Il gruppo A è il primo ad arrivare “a casa”: lasciano le valigie fuori dall’auditorium e, uno alla volta, vengono chiamati per stanza per consegnare i cellulari. Poi portano le loro cose in camera e fanno la prima colazione. Il gruppo B, invece, arriva circa 50 minuti dopo, a causa del traffico e di un ritardo di uno dei pullman. Anche loro lasciano le valigie, consegnano i cellulari e fanno la prima colazione. Ma il gruppo B è anche il primo a ripartire, dopo una brevissima spiegazione dei lavori della giornata, che – tra volo e jet lag – si preannuncia molto lunga. Il gruppo A assiste invece all’introduzione alle missioni e raggiungerà il proprio cantiere circa 40’ dopo il gruppo B. Quest’ultimo riceverà l’introduzione solo prima di cena.

Arrivati a Pamplona ci accoglie un tempo che non è solo brutto: è peggio. Fa freddo, c’è una pioggerellina fastidiosa, e lentamente la nebbia inizia a calare. A differenza del primo gruppo – che doveva ogni giorno salire 500 gradini fino in cima alla montagna – sia il gruppo A che il gruppo B lavorano praticamente ai piedi del colle. Il gruppo A si trova nel punto più basso, e dovrà costruire un campo sportivo per la comunità. All’arrivo, sulla piattaforma di terra dove sorgerà il campo, ci accoglie un gruppo di signore del posto con un caloroso “¡Bienvenidos!”. I ragazzi rispondono con un “grazie” e applausi. Poi è il momento di mettersi al lavoro: guanti, occhiali protettivi… e via. I ragazzi sono stati divisi in cinque gruppi, ognuno con un compito preciso, e devo dire che il lavoro “scorre” con grande naturalezza. C’è un bel mix di ragazzi italiani e adulti peruviani, tutti impegnati a trasportare pietre, terra, fare cemento e iniziare pian piano a dare forma al campetto.

Il gruppo B lavora poco più in alto, dopo circa un centinaio di gradini. Per loro è previsto un carico maggiore di lavoro: sono leggermente più numerosi e la proporzione di maschi è maggiore. Dato che buona parte del lavoro richiede forza fisica, questo potrà fare la differenza. Devono costruire un grande muro di contenimento, richiesto dalla comunità per proteggere la strada e le case sottostanti. Servirà molto cemento. Anche qui i ragazzi si danno da fare con impegno: sembrano non aver appena affrontato un viaggio intercontinentale né una notte praticamente insonne. Forse è la musica, o forse è lo stimolo di trovarsi in un luogo così diverso dalle proprie case, ma sicuramente è anche la presenza di persone accoglienti e gentili che lavorano con loro, fianco a fianco.

Alle 13:30 si pranza con “arroz chaufa”, una delle tante varianti del famoso “riso con pollo” di cui, con il passare dei giorni, i ragazzi inizieranno a lamentarsi. Il tutto è preparato dalle signore del posto, a cui forniamo gli ingredienti. Alle 14:30 si riprende a lavorare. In entrambi i cantieri mi colpisce la forza e la determinazione con cui i ragazzi affrontano la giornata: tecnicamente, per loro, sono già le 22! Dato che è il primo giorno, dichiariamo conclusi i lavori alle 16:00. Ogni gruppo sale sul proprio pullman e torna a casa.

Il gruppo A viene accolto con una merenda, poi ha tempo per lavarsi e cambiarsi. Prima di cena, ricevono il libretto delle riflessioni e le magliette di Wecare. Il gruppo B, invece, deve essere subito pronto perché alle 18:00 c’è l’introduzione alle missioni. Dopo di essa, si cena e… tutti a dormire. Sono veramente esausti.

Ma cos’è questa “Introduzione alle missioni”?

All’inizio di ogni viaggio è fondamentale dare una cornice, un contesto all’interno del quale si svilupperanno i giorni successivi. È soprattutto il momento per ricordare il motivo per cui siamo qui. Chiedo ai ragazzi di domandarsi: Perché sono qui? Cosa sto cercando? Cosa mi aspetto da questi giorni? Ricordo loro che il 90% dell’esperienza dipenderà da loro: da quanto cuore metteranno in ciò che faranno, e da quanto saranno disposti a guardarsi dentro. Dentro quel cuore adolescente che dovrebbe essere pieno di sogni e desideri, ma che a volte, per mille motivi, è carico di angosce, paure e sensazioni di non appartenenza.

Ricordo loro che questa esperienza si fonda su tre pilastri essenziali, la cui assenza può compromettere l’intera avventura:

Il volontariato, che non è solo “cosa facciamo”, ma soprattutto come lo facciamo.

Il gruppo, le relazioni che ci sostengono, ci salvano, ci fanno sentire visti e accolti. Quando ci perdiamo, è spesso il gruppo che ci ricorda chi siamo e di cosa siamo capaci.

Le riflessioni, un percorso interiore, un vero viaggio dentro di sé, nutrito da vari momenti e contenuti, che dia spazio alle domande, a guardarsi dentro, a nominare ciò che si portano dentro. Per imparare a conoscersi. E conoscendosi, volersi sempre più bene.

Ora si dorme. O almeno, si spera. Ma dopo un volo intercontinentale, il jet lag e la fatica della giornata, i dubbi sono pochi!