
Cosa ti ha portato qui?
In questa prima giornata del nostro diario, ci concentreremo su due momenti: il giorno della partenza, ovvero ieri, il 28 giugno, e questo primo giorno di lavoro per tutti i nostri volontari, che questa volta sono 95.
La giornata del 28 inizia molto presto, con le partenze fissate alle sei del mattino da Roma e poco dopo le sette da Milano, motivo per cui ci si deve incontrare all’aeroporto molto presto. Non è una novità per chi vola in America Latina, poiché i voli partono sempre presto, spesso facendo scalo a Madrid.
Già in Perù, verso le cinque del mattino ora locale, ho cominciato a ricevere diverse chiamate e messaggi da genitori molto preoccupati per il terremoto che all’una del mattino era avvenuto nell’oceano Pacifico, a circa 60 km dalla costa e a 600 km a sud di Lima. A Lima il terremoto è stato percepito molto poco. Io stesso, nel mio appartamento di questi giorni, che si trova al 14º piano, non ho sentito nulla, probabilmente per la stanchezza accumulata durante la missione del primo gruppo.
I genitori erano preoccupati, alcuni (pochissimi per carità) addirittura chiedevano se non fosse il caso di annullare tutto e cancellare la partenza dei ragazzi. La loro preoccupazione maggiore era l’allerta tsunami, dichiarata per prudenza dallo Stato peruviano, dato che un terremoto di magnitudo 7 non è cosa da poco. Tuttavia, le perdite umane e materiali vicino all’epicentro sono state minime.
Va anche detto che in seguito ai terremoti ci sono sempre delle repliche. In spagnolo distinguiamo tra "temblor" (più leggero) e "terremoto" (più devastante). Il terremoto è, appunto, qualcosa di molto devastante, che causa il crollo delle case e la perdita di vite umane. I "temblor" sono quei movimenti a cui chi è nato in Perù è un po’ abituato, perché il paese è attraversato da una cordigliera e c'è una catena vulcanica nell’oceano. Insomma, siamo abituati a questi movimenti, che abitualmente chiamiamo "temblor" e che arrivano anche fino ai 6 gradi Richter, prima ancora di chiamarli terremoti. In italiano, almeno fino a prova contraria o per quanto ne sappia io, si parla unicamente di terremoto, per cui ogni scossa viene considerata tale. Quando i giornali italiani traducono quello che è successo in seguito all’allerta tsunami e ad altri "temblor", lo fanno come se fossero terremoti, quindi è comprensibile che i genitori e chiunque dall’altra parte del mondo si preoccupi.
L’allerta tsunami, grazie a Dio, è rientrata dopo 4/5 ore e, di conseguenza, anche le preoccupazioni dei genitori sono diminuite. Tuttavia, non nego che anche oggi durante la mattinata alcuni genitori mi hanno scritto preoccupati per ulteriori scosse, che in realtà erano solo "temblor" che personalmente non abbiamo percepito per nulla.
Quindi la giornata inizia, come si dice in italiano, "con il botto". Questo "botto" non basta, perché vantiamo altri due record in questa prima partenza. Lo dico con un sorriso, perché sono state tutti imprevisti risolvibili, anche se chi è stato coinvolto le ha vissute più duramente (ma penso sia stata una buona lezione per chi si è trovato a fronteggiare queste difficoltà).
Abbiamo avuto il record del passaporto perso più velocemente. Un membro del gruppo ha lasciato il passaporto in un bar e se ne è accorto solo all’imbarco. Fortunatamente, il passaporto è stato ritrovato in tempo, subito prima dell’imbarco. Nella storia delle nostre missioni, credo sia successo solo due o tre volte che qualcuno perdesse il passaporto. È una cosa che può accadere, ma speriamo non succeda di nuovo.
L’altro record riguarda un altro membro del gruppo che, purtroppo, ha perso il passaporto nel tragitto dall’aereo al controllo passaporti in Perù. È una cosa molto strana, e la spiegazione più ragionevole era che il passaporto fosse rimasto sull’aereo. Infatti questa persona ci ha detto di averlo perso proprio sull’aereo, ma purtroppo, nonostante le numerose richieste al personale di Iberia di controllare nei posti dove si trovava il nostro partecipante, ci hanno risposto più volte di non averlo trovato.
Temo che l’antipatia delle hostess spagnole, probabilmente causata dal comportamento caotico dei ragazzi durante il volo, abbia influito sulla loro disponibilità. I ragazzi avevano cambiato spesso posto, creando qualche disguido nell’organizzazione dell’aereo, e si sono guadagnati l’antipatia delle hostess, che stavano solo facendo il loro lavoro. Purtroppo credo che la troppa burocrazia e la disattenzione di chi doveva controllare abbiano avuto il sopravvento. Penso infatti che non ci sia stato un minimo sforzo per cercare bene il passaporto.
Arrivati al controllo passaporti, ovviamente, non si poteva passare. Abbiamo dovuto avviare una procedura con il Dipartimento di migrazioni peruviane e il Consolato Italiano, che per fortuna ha risposto molto velocemente. Tuttavia combinare la burocrazia italiana con quella peruviana è stata una sfida. Un personale pubblico del Perù richiedeva che nella lettera inviata dal Consolato Italiano ci fosse un dettaglio che inizialmente mancava, allungando così di molto i tempi.
Alle 21:30 abbiamo caricato tutti i ragazzi sul pullman diretti alla casa del Retiro San Agustin. Io e un altro membro dello staff siamo rimasti in aeroporto fino all’1:30 del mattino, aspettando che lasciassero attraversare la frontiera alla persona in questione, permettendole finalmente di entrare in Perù.
Detto questo, non potevamo iniziare il viaggio nel modo più sereno possibile. Io già mi immaginavo di arrivare verso le 22:00-22:30 a casa per potermi riposare e per poter accogliere nel modo più “carico” possibile il secondo gruppo. Alla fine, ho dormito solo quattro ore, ma non importa perché siamo comunque molto carichi.
La sveglia di oggi è stata alle 6:30, con la sorpresa che molti erano già svegli prima, nonostante fossero molto stanchi dalla giornata precedente. Questo non ci sorprende, dato il famoso “effetto jet lag”. Alle 7:00 erano tutti in cappella, dove abbiamo iniziato la giornata con una breve preghiera e poi con la prima colazione. Finita la colazione, noi del team più tutti i membri dello staff abbiamo fatto un primo meeting verso le 8:00 per parlare dei compiti assegnati a ciascuno di loro. Le logistiche non erano molto diverse da quelle del primo gruppo, ma avendo nove membri dello staff nuovi in questo gruppo, c'era bisogno di fare un briefing. Abbiamo anche preso spunto dalle cose che non erano andate benissimo con il primo gruppo per poter migliorare il nostro servizio verso i ragazzi e le persone che siamo venuti ad aiutare.
Finito il briefing con lo staff, facciamo entrare tutti i ragazzi per la nostra conferenza di partenza. Questa vuole essere un invito ai ragazzi a riflettere su cosa li ha portati qui, su cosa sono venuti a fare. Alcuni magari sono stati trascinati da un amico, altri dall'idea di fare volontariato, o forse per guadagnare qualche punto in più per i crediti scolastici. Ci sono diverse motivazioni, come il desiderio di conoscere nuove persone. Nonostante noi ripetiamo spesso quali dovrebbero essere le motivazioni centrali, è comprensibile che qualcuno arrivi con idee un po' diverse. Per questo è importante allinearci e ricordare ai ragazzi cosa ci motiva realmente. La domanda principale è: "Cosa ti ha portato qui? Cosa sei venuto a cercare?"
In seguito, ricordiamo ai ragazzi i tre pilastri di questa missione che si collegano perfettamente tra loro e che danno un senso a quello che stiamo facendo qui. Si tratta di un viaggio di volontariato che richiede fatica fisica: spostare materiali, fare cemento, sporcarsi le mani, e movimentare grandi quantità di terra, sabbia e rocce. Tutto questo in un posto con un clima avverso, in inverno, e in una zona molto povera. Non c'è bellezza paesaggistica, ma c'è la bellezza delle persone che incontreranno. C'è anche una fatica emotiva nel ritrovarsi in un posto così che porta a farsi tante domande. Speriamo che questa esperienza porti ognuno di loro a sviluppare un senso di gratitudine per le vite che hanno e a non dare nulla per scontato. Questo, però, senza cadere in sensi di colpa, che non portano a nulla, ma piuttosto in un moralismo che poco conta.
In seguito, parliamo della forza del gruppo, un altro dei pilastri delle nostre esperienze. Non si tratta di un'esperienza che si fa individualmente, ma di un impegno collettivo, con persone che si conoscono ma con tante altre che non si conoscono, accomunate tutte dallo stesso ideale di fare del bene. Questo è fondamentale perché come gruppo possiamo fare grandi cose, provando a rendere migliore la vita degli altri. Questo rafforza i legami e le relazioni in un contesto che speriamo essere privo degli schemi e delle maschere sociali che spesso indossiamo per sopravvivere, soprattutto tra i giovani nella nostra Italia.
Invitiamo i ragazzi a mettere da parte le etichette, a smettere di ridurre le persone a semplici stereotipi basati sulla loro provenienza, la scuola che frequentano, la città in cui sono nati o cresciuti, e così via. È un invito a guardare oltre, a vedere ognuno di loro per ciò che veramente è, scoprendo la bellezza che ciascun membro del gruppo porta con sé.
Infine, il tema principale che approfondiremo più avanti è quello di offrire loro un percorso di conoscenza personale e reciproca, invitandoli a riflettere su tematiche cruciali per la loro vita quotidiana in Italia, dove sono chiamati a trasformare l'ordinarietà in qualcosa di straordinario, poiché senza un senso nel nostro agire e nel nostro vivere, la noia prende inevitabilmente il sopravvento.
Quindi nell'esperienza quotidiana della fatica fisica, emotiva e mentale - chiamatela come preferite - che ognuno vive in modo unico e in questa dinamica di gruppo, spesso bella ma anche faticosa, c'è anche il lavoro interiore, la fatica e la sincerità del guardarsi dentro, nella cruda realtà di chi siamo: nella nostra bellezza e nelle nostre fragilità. Scoprire ciò che abbiamo di bello, ma affrontare e saper guardare anche ciò che non va in noi, i nostri difetti, le nostre mancanze.
È fondamentale ricordare che non siamo qui solo per costruire un campo sportivo, ma siamo qui per le persone. Ogni nostra azione trova forza e significato nel ricordo costante di chi beneficerà del nostro lavoro: quel bambino che non può giocare all’aperto perché non ha un luogo sicuro dove farlo, quella mamma che non può stare tranquilla a casa prendendosi cura dei figli più piccoli perché il figlio più grande in strada può finire in brutti giri, per quella mamma o papà che fanno fatica a portare un pasto sulla tavola e che spesso vivono letteralmente per terra. Infatti non parliamo di povertà simbolica, ma di una povertà estrema e reale con cui ci confrontiamo e che colpisce profondamente.
Spingiamo i ragazzi a ricordare - soprattutto nei momenti di fatica e difficoltà, quando sembra mancare il sole o un buon piatto di pasta, che possono sembrare banalità ma qui sono dettagli di cui i ragazzi hanno nostalgia - perché sono qui e per chi stanno facendo tutto questo sforzo. Perché niente di ciò che facciamo ha senso se non ci fosse dietro una persona, una famiglia, un bambino, una mamma, un papà, un anziano, tutti coloro che ne hanno profondamente bisogno.

Qui è importante cambiare prospettiva: ciò che può sembrarci poco o scontato, perché veniamo da una società che ha tutto, a volte anche troppo e che spesso rischia di soffocare il desiderio, può invece essere vitale altrove. Il desiderio, infatti, nasce dove c'è una mancanza, e in una società che ti dà tutto, questo desiderio può svanire, privando così la nostra esistenza della sua linfa vitale. È quindi essenziale essere consapevoli che lí dove troviamo la nostra forza è anche il luogo dove c'è qualcuno che ne ha bisogno.
Dopo la parte più filosofica e motivazionale, entriamo nel contesto più pratico delle nostre azioni con un breve ripasso del regolamento. Questo regolamento stabilisce le norme di comportamento e il corretto vivere comune, fondamentali per assicurare che l'esperienza proceda nel miglior modo possibile. Ripassiamo ciò che è ovvio e ciò che potrebbe causare sorpresa o “convulsioni” tra i ragazzi, come il divieto assoluto di fumare dalle 8:30 del mattino (quando salgono sui pullman) alle 17:30 del pomeriggio (quando rientrano a casa). Poi presentiamo uno per uno i membri del nostro staff, invitando i ragazzi a considerarli come dei “compagni di viaggio” o dei fratelli maggiori (sono tutti ragazzi più grandi che hanno varie missioni alle spalle) ma devono essere anche figure autorevoli per i nostri volontari. Questo equilibrio tra distacco e vicinanza può essere difficile da comprendere, ma è essenziale che i ragazzi capiscano i limiti e rispettino le regole senza testare i confini.
Una volta completate le presentazioni, procediamo con la distribuzione delle magliette e altre attività logistiche per organizzare le squadre di lavoro della mattina. Dopo averli mandati al volo in stanza per sistemare le ultime cose, partiamo per Pamplona in quattro pullman, ognuno trasportando due gruppi di lavoro.
Speravamo che, tra i giorni passati a Cañete con il primo gruppo e quelli di pausa, il tempo fosse migliorato a Lima, ma purtroppo a Pamplona, dove stiamo lavorando, c'è una nebbia persistente e umida. Quindi oggi è una giornata tosta, soprattutto a causa del freddo e della visibilità limitata: la nebbia è così fitta che in alcuni punti si può vedere solo per una decina di metri, il che rende il lavoro ancora più difficile.
In questi primi giorni lavoreremo a due campi sportivi distanti circa un centinaio di metri l'uno dall'altro. La decisione di costruirli così vicini potrebbe sembrare strana, ma in realtà c'è una differenza significativa in altezza tra i due terreni. Uno dei campi è situato in una zona più bassa, mentre l'altro è più elevato di circa settanta o cento metri, essendo utile a un quartiere diverso della zona.

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Dopo una breve introduzione, durante la quale ognuno ha indossato i propri guanti da lavoro, ha caricato le proprie borracce e ha lasciato gli zaini in un posto sicuro, i ragazzi sono partiti con i lavori alle 9:00 con grande entusiasmo. Ognuno di loro ha affrontato i vari compiti assegnati con una mentalità estremamente positiva. Alcuni si sono dedicati ai bambini, altri si sono impegnati nei lavori più pratici e fisici. L'atmosfera era davvero molto bella.


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Devo ammettere che non ho ancora detto ai ragazzi, e probabilmente non lo farò, che il secondo gruppo di missioni, che parte sempre a fine giugno fino a metà luglio, è quello che ci preoccupa di più. Questa fascia di età, infatti, a volte si concede bravate innocenti ma sofisticate, talvolta anche con un pizzico di malizia. Negli anni passati, questo gruppo ha talvolta creato problemi e alcune difficoltà. Questa mattina infatti siamo stati molto severi riguardo alle regole e ai comportamenti. Naturalmente, non cantiamo ancora vittoria. Tuttavia, devo dire che sia per quanto riguarda il lavoro, che nel pomeriggio, i ragazzi sono stati davvero fantastici. Hanno lavorato con il sorriso e con entusiasmo, e si sono integrati bene. Siamo molto contenti di come è andata questa prima giornata.
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Dopo aver pranzato con un delizioso “arroz chaufa” , un piatto tipico peruviano che è una specie di riso alla cantonese, arricchito con verdure fresche e pollo, cucinato dalle signore del posto, partiamo alle 14:00 verso cinque istituti diversi. Nei pomeriggi di questa settimana i ragazzi andranno in un istituto per bambine abbandonate che hanno subito vari traumi, in una scuola per bambini orfani, in un istituto per bambini e neonati con ritardi mentali di diverso tipo che sono stati abbandonati, in un centro per anziani soli e in fin di vita con gravi malattie, e infine un luogo che accoglie gli ultimi tra gli ultimi. Quest’ultimo si chiama “Sembrando Esperanza” ed è appunto un luogo che accoglie una varietà di persone che hanno avuto problemi nel passato: alcuni legati alle droghe, altri con esperienze negative con il sistema giudiziario, e ci sono anche coloro che sono semplicemente “orfani” e che trascorrono i loro ultimi giorni qui, dove tutti si considerano fratelli e ognuno contribuisce al benessere degli altri attraverso il servizio.
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Verso le 17:00, i ragazzi cominciano a tornare a casa, arrivando circa alle 17:30. Gli diamo appuntamento alle 18:30 in auditorio per parlare brevemente dei risultati della raccolta fondi, premiare chi si è particolarmente distinto nel farla, e infine per dare la “maglietta della laurea” ai ragazzi che sono venuti per tre anni successivi in Perù.
E ora, passiamo alle questioni più profonde. Nonostante la stanchezza, oggi pomeriggio affrontiamo una sfida significativa: la prima riflessione personale.
La prima riflessione personale è una chiamata alla profondità, comprendendo che questo viaggio è anche un'opportunità per conoscersi a fondo, e per trasformare la conoscenza di sé in accettazione di sé e l'accettazione di sé in amore - non romantico - ma autentico . Non si tratta solo di riconoscere ciò che non va in noi dandogli un nome, ma anche di accorgersi della bellezza che ciascuno di noi possiede, per poter imparare ad amare noi stessi. Amare sé stessi non significa accontentarsi, ma desiderare sempre di crescere, migliorare e maturare. Questo si raggiunge su vari livelli, e uno di questi è quello delle riflessioni personali, che ci aiutano a comprendere fino a che punto siamo consapevoli di noi stessi, quanto conosciamo noi stessi, le nostre capacità, i nostri limiti e fino a che punto apprezziamo e amiamo la persona che siamo.
Così approfondiamo due testi molto recenti dello scrittore italiano Alessandro D’Avenia. Il primo affronta l'adolescenza e pone molte domande con cui molti dei nostri ragazzi possono identificarsi. Nel secondo testo, invece, ci si sofferma brevemente sul concetto del cuore come simbolo dell'unità dell'essere umano. Non ci riferiamo al cuore come organo fisico, ma come il luogo più intimo in cui si accumula l'essenza della nostra esistenza: le gioie, le tristezze, le paure e i desideri.
Questi quattro temi o "cavità" saranno il filo conduttore delle nostre riflessioni nei prossimi giorni. Esploreremo la gioia, approfondendo il profondo desiderio umano di essere felici, affronteremo le tristezze e la sofferenza, esaminando le diverse forme del dolore: fisico, materiale, morale e psicologico. Proveremo a considerare la sofferenza non come qualcosa da temere, ma come un'opportunità di crescita. Questo concetto, apparentemente semplice, nasconde in realtà un contenuto profondo e ricco. Esploreremo anche le radici delle nostre paure, spesso legate alla 'paura madre' di non essere amati o di rimanere soli. Infine, approfondiremo il tema dei desideri, che si collegano al desiderio che abbiamo tutti di amare.
Dopo aver letto i testi in modo del tutto personale, ogni ragazzo è chiamato a rispondere ad alcune domande. La più significativa è l'ultima, dove troveranno una tabella con le quattro "cavità". Sono invitati a riempire ciascuna cavità con le proprie paure e desideri.
La giornata si conclude nel refettorio, dove ci accolgono quattro enormi tavolate colme di cibo. Raccomandiamo scherzosamente alle ragazze di sedersi insieme e di non stare vicino ai ragazzi, che altrimenti finirebbero tutto il cibo. Concludiamo con una breve preghiera serale, sperando che i ragazzi non infrangano il coprifuoco, fissato alle 23:00, e possano finalmente andare a dormire, riposarsi e recuperare le energie, evitando così di ammalarsi.
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