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June 22, 2024

Dalla fatica alla riflessione: la prima giornata sul campo

Fernando Lozada

Questo venerdì è stata la prima giornata di lavoro per i ragazzi. Nonostante la sveglia fosse un’ora più tardi rispetto al normale programma, ovvero alle otto, molti dei ragazzi erano già svegli dalle cinque o dalle sei, e questo è dovuto al jet lag, del quale stiamo pagando le conseguenze questa sera. 

La mattina è iniziata alle otto in cappella, con una brevissima preghiera per dare inizio alla giornata. Subito dopo ci incontriamo tutti nel refettorio per la prima colazione. Nel frattempo, Ginevra, membro del team di Wecare, è arrivata insieme ai quattro ragazzi che erano partiti la sera prima da Milano per motivi scolastici. Vedremo chi resisterà meglio: quelli che hanno potuto riposare dopo un lunghissimo viaggio o quelli che hanno dormito in aereo ma che si ritrovano a dover affrontare tutta la giornata. 

Alle nove, con tutto il gruppo al completo, iniziamo con delle spiegazioni sul senso dell’esperienza, ricordando i tre pilastri fondamentali e invitandoli a non sprecare il tempo prezioso di questi giorni. Non è soltanto l’esperienza del volontariato, ma soprattutto la totalità di essa, ovvero un’occasione per donarsi dove soprattutto bisogna mettere al centro ogni persona che incontreremo. Dietro ogni nostro progetto, infatti, ricordiamo che c’è il bisogno di qualcuno e senza le persone, niente di quanto facciamo avrebbe senso. 

Insieme al volontariato, è importante anche la dimensione del gruppo, dove ognuno, nelle sue particolarità e unicità, deve sentirsi a casa, voluto bene, riconosciuto e soprattutto non ridotto a etichette. Infine, la possibilità di fare un percorso di riflessioni grazie al quale ognuno si possa guardare dentro, conoscersi meglio, accettarsi e soprattutto volersi più bene, perché crediamo che l’amarsi è il punto di partenza per ogni vera rivoluzione. 

Dopo l’introduzione e alcuni promemoria sulle regole di comportamento del posto dove siamo, e dopo aver distribuito le magliette, partiamo verso Pamplona. I nostri ragazzi sono divisi in otto gruppi, ognuno guidato da un membro dello staff o del team di Wecare. Ogni due gruppi salgono su uno dei quattro pulmini a disposizione. Il viaggio dura circa mezz’ora, dal sud di Lima verso la zona collinare che si trova ad est. 

L’impatto con la vastità e il territorio di Pamplona, con case che diventano sempre più povere e di materiale grezzi, colpisce tutti. La sporcizia, il grigio della città di Lima e il traffico completano il quadro. Nonostante tutto questo, quando arriviamo sul luogo del lavoro, esce il sole, che è qualcosa di molto strano in questa città e soprattutto in questo periodo dell’anno. Infatti, una delle prime cose che diciamo è di essere grati anche oggi: non solo per tutte le cose di cui abitualmente dobbiamo, dovremmo, essere grati, ma anche per il fatto che c’è il sole, perché questo ci riscalda. Anche se lavorare con il sole significa più fatica, è anche vero che mette più gioia di una giornata completamente grigia.

I gruppi di lavoro vengono accolti dai volontari locali dell’associazione Bridges, con cui collaboriamo da anni e a ogni gruppo viene affidato un compito preciso: alcuni devono costruire  il muro di contenimento, altri il muro che dovrà sostenere la parte laterale del campo da calcio, altri ancora le tribune, mentre altri si occupano di preparare il cemento per posare i quadranti che, tutti insieme, formeranno il campo sportivo. Nonostante sia la prima giornata, che solitamente è quella più caotica in quanto i ragazzi devono prendere confidenza, va detto che il lavoro procede velocemente e in maniera molto dinamica, con ragazzi che si divertono nonostante la fatica di fare il cemento e di trasportarlo da un lato all’altro del campo. Per molti dei ragazzi si tratta della prima volta in cui entrano in contatto con una pala. Un po’ scherzando mi avvicino a una ragazza per chiederle se ne aveva mai visto una, al che mi risponde di sì, quando faceva castelli di sabbia al mare. 

Non si tratta solo di costruzioni: alcune delle ragazze chiedono di poter stare con i bambini del posto, che si avvicinano timidamente per poter vedere questi ospiti arrivati da lontano così alti e chiari. 

Finiamo di lavorare verso le due del pomeriggio e come è comprensibile i ragazzi sono molto sporchi, stanchi e affamatissimi. Le signore del posto, sotto la nostra supervisione ovviamente, hanno preparato uno dei piatti più amati dai ragazzi italiani ogni volta che veniamo qui in Perù: delle frittate di verdure spettacolari. Ci sono ragazzi che ne mangiano addirittura quattro e non sono particolarmente piccole anzi sono molto molto grandi. Dopo aver mangiato, i membri dello staff comunicano ai ragazzi i gruppi di lavoro per il pomeriggio. Questa volta vengono divisi in quattro gruppi, ciascuno destinato a visitare un orfanotrofio o centro per persone in difficoltà. 

Così, verso le tre del pomeriggio, partono: un gruppo va a una casa per bambini e adolescenti che hanno sofferto diversi tipi di violenza; un altro va a una casa che accoglie bambini con scarse risorse economiche e che hanno sempre bisogno di compagnia ma anche di ristrutturazioni in alcuni dei loro spazi; un altro gruppo va in una struttura enorme che accoglie bambini con ritardo mentale insieme a bambini con qualche disabilità fisica, per passare del tempo e giocate con loro. Infine, un ultimo gruppo va in un centro che accoglie anziani in fin di vita e insieme a loro, in un’altra dependance, adolescenti con qualche disabilità mentale. I nostri ragazzi, nonostante la stanchezza dovuta al poco sonno e alla giornata di lavoro, sono carichi e pieni di energia. Giocano, ridono, saltano, lavorano, e c’è anche chi piange al momento dei saluti, nonostante sapessero che di sarebbero rivisti il giorno dopo. 

Tornati a casa verso le sei del pomeriggio, dopo una lunga lunga giornata di lavoro, i ragazzi si fanno la doccia (o almeno si spera), e ci ritroviamo tutti in auditorio alle sette.

Si inizia la prima riflessione personale. Essa è il fondamento, il primo pilastro delle riflessioni che i ragazzi faranno in maniera personale e del tutto privata. Si tratta di un invito a lasciare la superficialità e andare in profondità, a ciò che è essenziale. In questa riflessione vengono proposti due testi: uno che prende spunto da una rilettura di Leopardi e un altro che cerca di descrivere il cuore come una realtà con quattro dimensioni: la dimensione delle gioie, quella delle tristezze, la dimensione delle paure e la dimensione dei desideri. Queste quattro dimensioni sono molto importanti perché sono la struttura che ci accompagnerà durante tutti questi giorni.

Dopo aver finito la riflessione, andiamo a mangiare e a fine cena arrivano delle torte per festeggiare i 16 anni di Bianca. Finiamo la giornata in auditorio con un briefing finale, dove diamo qualche dritta o qualche piccola correzione, ma soprattutto ci complimentiamo con i ragazzi per il loro impegno e per tutto lo sforzo donato. Chiudiamo le serrande premiando con dei gadget i tre ragazzi che hanno raccolto più fondi tramite la loro raccolta fondi personale!