
Dare un nome a ciò che ci portiamo dentro
Oggi è il terzo giorno di lavoro e vi confesso che ogni mattina mi sveglio con la paura che arrivi la pioggia. Sono arrivato in Brasile 4 giorni prima dei ragazzi ed ogni giorno il clima mi ha riservato diverse piogge che temevo potessero rallentare il nostro lavoro, invece un sole forte (forse pure troppo) ci ha accompagnato anche oggi. Ieri prima di andare a dormire avevo saputo che qualcuno nascondeva un “doppio” cellulare, un grande classico dei nostri viaggi. Per ottenere la restituzione avevo “minacciato” una sveglia anticipata per tutti se non fosse uscito fuori e devo dire che con molta sportività e anche un pochino di ironia (volevano organizzare una caccia al tesoro per lo staff) il cellulare è arrivato a destinazione (insieme anche ad un iPad e un pc)
I ragazzi, come spesso capita, sono partiti con il piede sull’acceleratore. Il lavoro è duro e talvolta anche monotono ma nonostante questo avanziamo spediti e siamo molto avanti sulla tabella di marcia che avevamo organizzato. Persino gli operai locali che, con tutta la pazienza del mondo, stanno insegnando ai ragazzi a svolgere i vari compiti, mi fanno i complimenti per come lavorano, complimenti che mi sento di girare a voi genitori.

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In entrambi i luoghi di lavoro la pausa pranzo è alle 12.30 e rimango sempre affascinato dalla voracità con cui i ragazzi mangiano piatti non proprio familiari.. ma la fame è fame e non guarda in faccia nessuno. Oggi, probabilmente perchè il gruppo si sta rodando e la confidenza aumenta, nonostante il buio una volta rientrati a casa un nutrito gruppo ha trovato la voglia di fare un tuffo nella piscina che la struttura che ci ospita ha nel proprio ingresso. Dopo questo Pit-stop i ragazzi affrontano la loro prima riflessione personale.
Quella che proponiamo come prima tappa non è solo un’attività, ma un invito. Un invito a non restare in superficie, ma a vivere in profondità. A lasciare che alcune domande attraversino lo spazio del cuore mettendoci in discussione e forse offrendoci anche qualche risposta.
Il percorso si apre con due domande all’apparenza semplici: “Come sto?” e “Chi sono?”. Soprattutto la seconda ci interpella in modo profondo, perché è da lì che si originano molte delle nostre scelte, anche inconsapevolmente. Se ciò che facciamo non rispecchia ciò che siamo, cioè il nostro sentire, i nostri sogni, desideri e paure, rischiamo di sentirci inadeguati e fuori posto, quando forse siamo soltanto "disallineati" da noi stessi.
Aiutare i ragazzi a porsi queste domande significa aiutarli a riconoscere la propria unicità e a prendersi cura di essa. A capire cosa li fa stare bene, cosa li nutre interiormente, cosa li fa crescere. A partire da un’immagine proposta dallo scrittore Alessandro D’Avenia, abbiamo chiesto ai ragazzi di immaginare il cuore come uno spazio diviso in quattro cavità: una dedicata alle gioie, una alle sofferenze, una alle paure e una ai desideri. Nel loro libretto delle riflessioni, hanno provato a riempire ciascuna di queste stanze, riconoscendo e dando un nome alle emozioni che li abitano: momenti belli e dolorosi, sogni presenti o dimenticati, timori che faticano a trovare parole.
Dopo aver dato il tempo di rispondere in maniera esaustiva a queste domande li abbiamo divisi per iniziare anche con i gruppi “di riflessione”. La divisione abbiamo chiesto che la facessero da soli, prima i ragazzi poi le ragazze, in modo che scegliessero in modo autonomo le persone con cui condividere questi momenti. I gruppi di riflessione sono uno spazio che i ragazzi hanno a disposizione durante il viaggio e che ormai è sempre più raro da trovare durante la vita “ordinaria”. Un momento in cui semplicemente, accompagnati dallo staff, si mettono in gioco approfondendo le tematiche proposte, senza paura di essere giudicati da qualcuno e sopratutto con la assoluta certezza di essere ascoltati.
Dopo questo pieno di “benzina” emotiva arriva anche la benzina vera e la cena viene spazzata via in pochi minuti. Nonostante tutta la fatica le energie per il calcetto serale ci sono sempre e anche questa sera temo che per riuscire a mandare a letto i ragazzi lo staff dovrà sequestrare il pallone…
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