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July 17, 2025

Là dove abitano gioia, paura, desiderio e sofferenza

Fernando Lozada

È il primo vero giorno di missioni, e la sveglia risulta sorprendentemente facile. I ragazzi non sono rimasti svegli fino a tardi la scorsa notte: molti hanno ammesso durante la giornata di essersi ritirati intorno alle 20:30, mentre i più audaci verso le 21:30. La giornata inizia con una breve preghiera mattutina, seguita dalla prima colazione. La frutta abbonda, così come il pane, e si trovano uova sode, un filo di burro accompagnato da una generosa dose di marmellata, oltre a caffè e tisane. Non c’è il latte convenzionale, quello a cui siamo abituati, e per tutta la durata del soggiorno dovremo accontentarci del latte in polvere; le proporzioni ideali non sono note, e così iniziano numerosi tentativi per trovare l’equilibrio perfetto.

Alle 8:15 ci ritroviamo in auditorio. Ogni ragazzo porta con sé il libretto delle riflessioni e una penna. Il lavoro della mattina è dedicato alla riflessione personale e ha come tema centrale la conoscenza di sé. Come abbiamo detto nei giorni scorsi, alla base di ogni cammino c’è una domanda fondamentale: “Chi sono?”. Una domanda che trova risposte nelle esperienze che viviamo, in cui emergono tratti della nostra personalità, ma anche nelle relazioni che ci sostengono e che, a nostra volta, siamo chiamati a nutrire. A ciascuno viene consegnato un testo su cui meditare e un lavoro di scrittura personale.

“Quattro cavità ne compongono lo spazio, perché quattro sono le cose che il cuore custodisce e spinge nelle arterie della vita: il dolore, la gioia, la paura, il desiderio. La prima stanza contiene quello che più ci fa soffrire, che ci ancora al passato e ci impedisce di trasformare il presente in futuro. La seconda stanza contiene ciò che più ci rende felici, il saperci amati e l'amare, l'avere un posto nel mondo e vivere la vita con slancio creativo. È la stanza del senso delle cose, quella in cui la vita è in pace, comunque vada là fuori. La terza stanza è quella del buio, quel buio che fin da bambini riempiamo di ciò che temiamo di più,è la stanza in cui non siamo e non saremo mai abbastanza, perché abbastanza è di più della perfezione. È la stanza della vergogna di esistere, del sospetto su noi stessi. ​​La quarta stanza è quella del desiderio, in cui siamo aperti al futuro, quella che ci fa tendere in avanti e non ci fa dipendere da tutto il resto. Tendere è il contrario di dipendere. È il luogo del rischio e dell'inquietudine, senza la quale la vita raggiungerebbe presto l'equilibrio della morte.”

Dopo la lettura silenziosa del brano, i ragazzi ricevono una griglia disegnata sul loro quaderno: una tabella due per due, che rappresenta simbolicamente il cuore di cui parla il testo, con le sue quattro cavità. Il compito è quello di “riempire” questo cuore, dando un nome e una categoria ai propri vissuti: ciò che genera gioia o sofferenza, ciò che suscita paura o desiderio.

È particolarmente bello osservare come, di fronte a proposte che li invitano a guardarsi dentro e ad andare in profondità — pur con fatica e con la naturale esitazione iniziale — i ragazzi rispondano con autenticità e intensità. Ognuno si prende il proprio tempo, alcuni si spostano in disparte per trovare silenzio e concentrazione. Qualcuno, a fine attività, confessa che avrebbe voluto più dell’ora a disposizione per completare l’esercizio. Questo ci dice molto: ci racconta quanto abbiano da dire, innanzitutto a sé stessi, e quanta voglia ci sia in loro di raccontarsi davvero — non sulle banalità che spesso riempiono le nostre giornate, ma sulle cose che contano davvero.

Alle 09:30 saliamo sul pullman, che purtroppo sbaglia strada, trasformando quello che sarebbe dovuto essere un tragitto di 25 minuti in un viaggio di quasi 50. Arriviamo finalmente a El Pozo, il quartiere dove lavoreremo nei prossimi giorni: è senza dubbio la zona più povera, un groviglio di case addossate l’una all’altra, ed è proprio qui che i nostri ragazzi costruiranno 16 casette in legno.

Al nostro arrivo troviamo già sul posto i volontari di Techo, la ONG sudamericana con cui collaboriamo in Argentina, e il camion dei materiali pronto per essere scaricato. Decidiamo di scaricare tutto nella strada più ampia disponibile e, da lì, iniziare a distribuire — pezzo dopo pezzo — i materiali necessari per le prime otto case che costruiremo nei prossimi tre giorni.

La mattinata si era aperta sotto un cielo nuvoloso, ma presto il sole fa vedere — e lo fa con decisione, portando sì luce e buonumore, ma rendendo il lavoro ancora più faticoso sotto il suo calore intenso. La prima vera pausa arriva con il pranzo: choripán, ovvero salsiccia alla griglia servita dentro al pane. Alcuni ragazzi si fermano dopo uno o due panini, ma c’è anche chi, forse spinto dalla fame o dallo spirito di sfida, riesce a mangiarne sei o sette.

Concludiamo la giornata di lavoro intorno alle 17, quando siamo certi che ciascuna delle prime otto case ha ricevuto tutto il materiale necessario per poter iniziare la costruzione l’indomani. Prima di rientrare, comunichiamo ai ragazzi la composizione delle squadre di lavoro e i rispettivi capisquadra, scelti sulla base di quanto abbiamo osservato durante le ore di scarico e trasporto dei materiali.

Poi arriva uno dei momenti più attesi e più toccanti: la scelta delle famiglie. Le otto squadre dei ragazzi si dispongono in cerchio, e una alla volta chiamiamo le famiglie al centro, affinché possano scegliere il gruppo che costruirà per loro la casa. Nella maggior parte dei casi, a fare la scelta sono i bambini — ed è proprio questo gesto semplice e spontaneo a commuovere profondamente i nostri ragazzi. Dedichiamo qualche minuto per stare insieme, conoscere i nomi, scambiare sorrisi e raccogliere piccoli dettagli sulle famiglie. Poi saliamo di nuovo sul nostro pullman e torniamo a casa.

A casa ci accoglie una meritata merenda: mentre le ragazze gustano frutta e una fetta di torta, i ragazzi si fiondano sul campo da calcio. La loro resistenza continua a sorprendermi — fino a mezz’ora prima si lamentavano della fatica (con il sorriso quindi gli perdono tutto!). Alle 19:30 c’è la possibilità di partecipare al servizio mensa, e circa 25 persone del gruppo scelgono di unirsi. Poi, finalmente, arriva la cena: una gigantesca milanesa di carne accompagnata da purè. I ragazzi sono affamati e stanchi, e lo si capisce da come fanno sparire ogni cosa che arriva in tavola… e anche dal fatto che, almeno fino alle 22, non hanno fatto caos.