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June 29, 2025

Di cosa è fatto il tuo cuore?

Fernando Lozada

La speranza che il tempo possa migliorare, visto che difficilmente potrà peggiorare, è l’ultima a morire. Oggi ci siamo svegliati con la solita fastidiosa pioggia sottile sottile, anche se non fa poi così freddo. Come ogni buon secondo giorno di missione con un fuso orario di sette ore indietro, molti dei ragazzi sono svegli già da qualche ora. Quando i membri dello staff fanno il giro per la sveglia, trovano infatti molti di loro già pronti.

Ogni giornata ha inizio nella cappella delle case che ci ospitano. Qui, per 5 o 10 minuti, ci fermiamo per una brevissima riflessione su un brano del Vangelo. Nel rispetto della propria “situazione spirituale”, invitiamo i ragazzi a cogliere ciò che il testo ha da offrire loro, in che modo, forse, può gettare luce sulla loro vita. Al brano del Vangelo del giorno aggiungiamo una riflessione che rende concreto quanto scritto, perché va detto che, a volte, abbiamo proprio bisogno di uno sguardo diverso, nuovo, per poter cogliere ciò che in un testo spirituale può sembrare nascosto. Per esempio, oggi, anche se la riflessione sul dolore è ancora a metà esperienza, mi è sembrata molto bella questa frase:

“Quando trovi qualcuno che ti ama accorgendosi di te, di quello che stai soffrendo, di quello che stai vivendo, di quello che stai chiedendo, allora la guarigione è già compiuta, perché la cosa peggiore di chi sta male non è solo il male che soffre, ma il non trovare nessuno disposto ad accoglierlo, ad ascoltarlo, a fargli spazio.”

In una sola, ma lunga frase, sono racchiuse molte delle tematiche che emergeranno sempre più frequentemente in quest’esperienza.

Il gruppo B parte subito dopo la prima colazione, mentre il gruppo A affronta la prima riflessione personale, il punto di partenza del nostro viaggio. Questa stessa riflessione viene fatta dai ragazzi del gruppo B la sera, prima di cena. Ma di questa prima riflessione parleremo più avanti.

E così, mentre il gruppo B è attivo sul cantiere dalle 9:15, il gruppo A arriva verso le 10:15. Le ore scorrono mentre i nostri gruppi si alternano in varie tipologie di lavoro: chi è alle betoniere e deve produrre la maggior quantità possibile di cemento; chi trasporta il materiale da un punto all’altro; chi cerca e seleziona pietre adatte a essere usate con il cemento; chi, con la pala in mano, riempie secchi e carriole; chi porta acqua... insomma, un po’ di tutto.

Il lavoro è molto monotono, il che rappresenta un grande rischio, soprattutto per i giovani. Ma qui c’è qualcosa di diverso: nonostante sia un lavoro duro, al quale non sono abituati, e nonostante il tempo – davvero devastante per quanto triste, umido, grigio – i ragazzi lavorano senza sosta al ritmo della musica scelta dal “dj” di turno. Si lavora ballando, o si balla lavorando, a seconda dei casi.

Alle 13:15 entrambi i cantieri si fermano per il pranzo, e come promesso, abbiamo una nuova variante di pollo e riso: si chiama saltado de pollo, che è in pratica pollo fritto con salsa di soia e altre spezie peruviane, a cui, verso la fine della cottura, si aggiungono cipolle e pomodori crudi. Il tutto viene servito con patatine fritte (che ovviamente i ragazzi apprezzano tantissimo) e riso bianco. Ogni giorno le cuoche preparano una salsa piccante, fatta con rocoto – un peperoncino rosso tipico delle montagne – cipolla e pomodori, tutto prima cotto e poi frullato.

Alle 14:15 riprendono i lavori. Il gruppo B, che ha ancora davanti a sé la prima riflessione personale, parte per primo, alle 16:00, mentre il gruppo A lascia il cantiere alle 17:00.

Ma cos’è questa prima riflessione personale? È il punto di partenza: un’esortazione a non vivere superficialmente, ma in profondità, lasciando che la riflessione parli al nostro intimo, che ci metta in discussione e, magari, ci “dia” anche qualche risposta.

Il punto di partenza consiste nel chiedersi “come sto?” e “chi sono?”. Il “chi sono” è importante, perché dalla risposta che siamo in grado di dare dipendono molte delle nostre scelte. Credo che, se non c'è corrispondenza tra ciò che facciamo, le nostre scelte, e la nostra identità – ovvero l’insieme delle nostre passioni, desideri, sogni, emozioni e così via – rischiamo di sbagliare direzione, di farci del male e di arrivare a pensare di essere inadeguati, quando magari siamo solo, semplicemente, fuori posto. Se sappiamo chi siamo, possiamo anche capire di cosa nutrirci, cosa ci fa bene.

Porto ai ragazzi l’esempio delle macchine. Oggi esistono molti tipi diversi di combustibile. Quando ero un ragazzino, o avevi una macchina a benzina o una a diesel, punto. Se non sapevi di avere una macchina a benzina e ci mettevi il diesel, non solo non partiva, ma rischiavi pure di romperla.

Per quanto sia un esempio molto riduttivo, credo sia comunque efficace: se il “combustibile” che usiamo nella nostra vita non è adatto a ciò che siamo, rischiamo di farci del male, di non partire proprio, o di rompersi.

Prendendo spunto dallo scrittore Alessandro D’Avenia, invitiamo i ragazzi a compilare una tabella nel loro libretto di riflessioni, che rappresenta il cuore umano. Secondo l’autore, il nostro cuore ha quattro cavità: una per le sofferenze, una per le gioie, una per le paure e una per i desideri. Ci sono tutte e quattro, non possiamo sceglierne solo alcune cancellando le altre. Il compito dei ragazzi è quindi riempire il proprio cuore con tutto ciò che nella loro vita oggi rappresenta, o ha rappresentato, gioie e dolori, paure e desideri.

Gli effetti del jet lag si fanno ancora sentire. Io, in segreto, spero che durino il più a lungo possibile e, di conseguenza, i nostri ragazzi vanno a dormire – quasi tutti – subito dopo cena.