0
October 30, 2023

Donarsi per ciò che ognuno è

Fernando Lozada

La giornata inizia presto, verso le 8:00, o a seconda del giudizio di ognuno, quando i primi membri del gruppo in partenza si ritrovano negli aeroporti di Roma Fiumicino e di Milano Malpensa. A differenza dei gruppi con i ragazzi, con il gruppo degli adulti, cerchiamo che ognuno si gestisca nella maggiore autonomia possibile. Molti, come è normale, non si conoscono, e quindi in realtà ci si vede direttamente ai Gates di imbarco senza ben sapere chi fa parte del gruppo. In effetti non manca chi, vicino ai Gates, chiede alle persone sedute se anche loro fanno parte del gruppo di Wecare, al che segue uno sguardo di sconcerto e un silenzio che parla da sé. Abbiamo anche da poco “aperto” il gruppo di Whatsapp, per facilitare la comunicazione. Il primo pentimento della creazione di questo gruppo è che, dopo che ci hanno annunciato il ritardo dei nostri voli, arriva lo stesso identico messaggio di avviso da due persone diverse a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro. Alla fine partiamo più o meno allo stesso orario, ma entrambi i voli con un ritardo di 90 minuti. Ma niente panico, abbiamo tre ore di scalo a Istanbul, quindi non c'è rischio nè per le valige, nè per noi.

La prima volta che ci vediamo tutti è al Gate F6B, romani che incontrano milanesi, milanesi che chiedono dove stanno i romani, saluti di vecchie amicizie, viaggi fatti in passato, ma anche totali sconosciuti. I “ragazzi” in partenza sono 40, non è un numero grandissimo, se pensiamo che quest’estate siamo stati in Perù con uno da 111, in Ecuador con uno di 93 e recentemente in Ruanda con uno di 74… ma i ragazzi già sentono la fatica di dover imparare tutti questi nomi.
Atterriamo a Kigali dopo 7 ore di volo, di cui 2 in turbolenza, all’una del mattino. Siamo, lo siamo tutti, visibilmente provati, siamo stanchi, e per quanto gasati e carichi, la fatica si fa sentire. Il primo incontro, forse sarebbe più adeguata la parola "scontro", con una cultura che ha altri ritmi dei nostri, lo proviamo al controllo dei passaporti. Alcuni passano dopo poche domande, ad altri viene chiesto persino, quasi, il gruppo sanguino, insomma un non senso, almeno per noi che siamo stanchi e cerchiamo di comunicare con i nostri interlocutori il cui inglese non è precisamente dei più chiari.
Superiamo tutti con successo il controllo passaporti, e nessuna delle nostre valige viene fermata alla dogana, tranne una con i nostri walkie talkie… li avevamo portati ad agosto senza problemi, ed erano stati essenziali per le comunicazioni… ora sembra che Motorola non possa proprio operare in Ruanda, e quindi non ce li fanno passare. All’appello manca anche una valigia, dell’unico membro del gruppo che abita a Londra e il cui volo aveva fatto tanto più ritardo…


Ci dividiamo in tre pullman, per questa sera dovremo dormire in due strutture diverse. Un pullman va a una struttura che accoglie 20 persone del gruppo, nell’altra andiamo i 29 restanti. Episodio di questo momento è che, quando comunichiamo i gruppi delle stanze, in privato ci cerca uno dei ragazzi che è partito con la propria mamma in quest’esperienza (ce ne sono ben 4 in questa delicata e bella situazione). Insomma questo ragazzo, che inizialmente avevamo messo in stanza con gli altri ragazzi, ci comunica seriamente che secondo lui era molto meglio che figli e mamme stessero in stanza insieme. Cambio che facciamo in quel preciso momento, e quasi sentendoci in colpa chiediamo agli altri ragazzi se anche loro desiderano di stare con le loro mamme. La risposta arriva all’unisono: “ma che sei matto!”… abbiamo in sintesi un ragazzo molto carino nei confronti della mamma, e altri molto normali! Arrivati in albergo ci distribuiamo nelle varie stanze e cadiamo come un albero in un profondo sonno che purtroppo finisce qualche ora dopo, verso le 9 del mattino, quando ci diamo appuntamento per fare colazione e poi partire.


Alle 10:30 siamo in fila per visitare il Memoriale del Genocidio. È un’esperienza forte per tutti, che aiuta a prendere consapevolezza della storia, e la ferita, del popolo che siamo venuti a supportare. Chiude la visita al memoriale una pioggia fortissima che si placa solo dopo circa un'ora. Pranziamo in un ristorante sulla strada per Kibungo, dove ci aspetta il St. Joseph Center che ci accoglierà per i prossimi giorni. Decidiamo di fare una pausa bagno sperando possa durare non più di 10 minuti... purtroppo c’era un negozio di artigianato che viene assalito dalle donne del gruppo, che costituiscono l’85 per cento del gruppo… da 10’ di pausa a 40’ è un attimo, e così ci aspetta un cambio di programma.


Arriviamo a Kibungo alle 17:30, quindi tempo di distribuirci nelle varie stanze, risolvere qualche imprevisto, che è l’ora della messa di inizio viaggio. Abbiamo la fortuna, Provvidenza, che ci accoglie proprio un sacerdote che ha studiato tempo fa per ben 4 anni a Roma. E abbiamo anche la fortuna, Provvidenza, che il Vangelo del giorno parli dell’amare il prossimo come sé stessi, ottimo inizio di missioni direi. Finita la messa i ragazzi dello staff, dopo un tempo di assenza visto che erano spariti per cercare di vedere qualcuna delle partite di questo weekend, consegnano le magliette e i libretti per la riflessione.
Mangiamo alle 20:00 e ci ritroviamo in auditorio alle 20:45 per introdurre l’esperienza. Si parla del senso del volontariato, che sono le persone, averle a cuore, che dietro ogni nostra azione ci deve. essere la consapevolezza che lo facciamo per loro. Parliamo dell’importanza dell’esperienza di gruppo, la ricchezza che ognuno dei presenti è per gli altri, la sfida di non etichettare gli altri o mettersi delle maschere, e la sfida di essere liberi e donarsi così per ciò che ognuno è. Infine introduciamo il percorso interiore per poter dare a tutti degli strumenti per conoscersi, dare un nome a ciò che ci portiamo nel cuore, e fare di questa missione anche un punto di partenza e rinnovo nella vita.
I giovani over 40 vanno a letto verso le 22:00… i giovani dello staff, invece rimangono svegli tra calcio, patatine fritte e birra.