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July 17, 2024

"È bello essere me."

Fernando Lozada

Il 14 luglio i nostri ragazzi sono partiti presto, sia da Roma che da Milano. Arrivati la sera (ora locale) in Argentina, si sono diretti verso la loro prima tappa: Gualeguaychú, a tre ore a nord di Buenos Aires.

Il giorno seguente, la sveglia suona presto per affrontare il viaggio verso la destinazione finale: Posadas. Dopo un lungo percorso, con qualche sosta per gustare un delizioso asado argentino, i ragazzi arrivano intorno alle otto di sera, accolti calorosamente dalla comunità locale.

Appena arrivati, distribuiamo i ragazzi nelle varie stanze. Non sono stanchissimi, anche perché durante il viaggio, oltre che a chiacchierare e a fare giochi di ogni tipo, hanno potuto riposare, ma hanno comunque bisogno di rinfrescarsi. La prima cosa che facciamo è mandarli nelle stanze per lasciare i loro bagagli. La fame poi si fa sentire e li aspetta una cena straordinaria: un'ampia scelta di piatti, tra cui un delizioso pollo al forno preparato in grandi quantità, segno che erano pronti per accogliere il nostro gruppo.

Dopo cena, senza perdere troppo tempo, ci incontriamo in auditorio per alcune comunicazioni pratiche riguardanti il funzionamento della casa. Infine, verso le 22:00-22:30, i ragazzi, o quasi tutti, sono già a letto, pronti per la sveglia del giorno dopo, di cui non sveliamo l'ora esatta.

Questa mattina abbiamo svegliato i ragazzi abbastanza presto. Lo staff si alza alle 6:00 per prepararsi, mentre i ragazzi vengono svegliati alle 6:15. Alle 6:45 sono tutti pronti per la preghiera del mattino, seguita dalla colazione. Successivamente, facciamo una vera e propria introduzione al viaggio.

Durante l'introduzione, ricordiamo ai ragazzi i pilastri dell’esperienza di volontariato di Wecare. Questo non è solo un viaggio di volontariato, ma un impegno che richiede fatica fisica ed emotiva, con al centro la persona. È importante ricordare che tutto lo sforzo e la struttura che portiamo qui hanno senso perché ci sono delle persone, ci sono dei bambini senza casa che soffrono il freddo, soprattutto in questo periodo dell'anno, e famiglie intere che vivono per terra in condizioni difficili.

Lo facciamo presente ai ragazzi, ma solo quando arrivano nelle popolazioni di La Olla e di Kirchner capiscono veramente l’entità delle difficoltà che queste persone affrontano. Il nostro centro sono le persone: non costruiremmo una casa se non ci fosse una famiglia che ne ha bisogno.

Un altro pilastro fondamentale è il gruppo, che con la sua energia e giovinezza ha una forza trasformatrice. I ragazzi sono molto carichi e portano gioia e il tipico chiasso italiano ovunque vadano, ma il gruppo rappresenta anche una sorta di "casa". Non si tratta solo di un luogo fisico, ma dell'esperienza di essere visti, apprezzati, amati e valorizzati per ciò che si è, non per ciò che si riesce a fare o a possedere. È un discorso complesso che implica una rinuncia alle etichette e alle maschere, abbandonando le sovrastrutture che ci impediscono di mostrare il nostro vero io. Solo così possiamo evitare di trasmettere agli altri una caricatura riduttiva di noi stessi.

Crediamo fortemente che queste esperienze vissute insieme, facendo qualcosa di bello per qualcun altro, abbiano una forza liberatrice. Liberatrice nel senso che ci aiutano a liberarci dal giudizio altrui e dalle aspettative degli altri, permettendoci di vederci con amore e misericordia, accettando e apprezzando chi siamo. Ci insegnano a dire: "È bello essere me."

L'ultimo pilastro che ricordiamo ai ragazzi è quello del percorso che offriamo loro, composto da conferenze, riflessioni personali, riflessioni di gruppo e la Santa Messa, che sarà disponibile tutti i giorni per chiunque voglia partecipare. Spieghiamo brevemente il perché di questo percorso, perché vogliamo che l'esperienza non sia solo pratica, ma anche significativa dal punto di vista interiore. Desideriamo che i ragazzi tornino a casa con una maggiore consapevolezza, con un'idea più chiara di chi sono e di chi vogliono diventare, dei propri desideri e sogni. Durante queste due settimane, non solo trasformeranno la vita di chi li circonda, ma inizieranno anche a trasformare la propria vita, portando con sé questa nuova consapevolezza anche a casa.

Infine, diamo qualche dritta sul regolamento e sul comportamento da tenere. Per molti dei ragazzi presenti, questo non è nulla di nuovo, poiché hanno già partecipato ad altre esperienze con noi.

Partiamo subito verso i luoghi dove dobbiamo scaricare e distribuire i materiali  nei vari terreni dove verranno costruite le 30 case. Il tempo di viaggio dalla casa di ritiro, Fatima, ai centri popolati dove lavoreremo è di circa 20-25 minuti. Viaggiamo su due pullman messi a disposizione dal Comune. Sebbene non siano particolarmente grandi, facciamo del nostro meglio, e qualcuno deve viaggiare in piedi, come su un normale pullman pubblico.

Arrivati sul posto, ci dividiamo in due squadre. Ogni squadra inizia a scaricare i camion disposti nelle varie zone dei centri popolati. In totale ci sono quattro camion, e il lavoro è lungo e impegnativo.

Come è normale, le prime volte c'è un po' di caos e disordine. Stiamo lavorando in partnership con un'organizzazione locale chiamata Techo, quindi dobbiamo trovare il modo giusto per collaborare con loro. Sono abituati a costruzioni molto piccole: una delle loro coordinatrici ci ha detto che il massimo che hanno costruito in una sola volta sono state sei case. Giustamente, hanno un metodo specifico per evitare di perdere i vari pezzi delle case. Tuttavia, quando ti arrivano 30 case contemporaneamente e hai 90 volontari, la situazione cambia. Pensiamo che Techo abbia un po’ sottovalutato questo aspetto. Stavolta bisogna lavorare diversamente, ottimizzando la forza lavoro dei volontari e facendo le cose in modo più agile, anche se comporta un po' più di fatica. Così possiamo sfruttare al massimo l'energia e l'entusiasmo dei volontari.

Detto questo, durante le prime due ore si è sviluppata una sorta di "lotta" tra il nostro staff e quello di Techo. Una lotta pacifica, sebbene con qualche momento di tensione, dovuta alla difficoltà di far comprendere ai nostri partner locali che ci sono modi più efficienti di lavorare. Non riuscivano a uscire dalle loro rigide strutture organizzative, il che ha portato a qualche scambio di battute un po' mitomani, tipicamente italiane, vantandosi di aver costruito il Colosseo, il Duomo, le cattedrali e le università, mentre in America Latina si era ancora alle prese con la caccia agli animali. E lo dico da sudamericano.

Tra una cosa e l’altra, piano piano troviamo la giusta quadra, che soprattutto ci servirà come esperienza per affrontare il prossimo scarico di altre 30 case tra cinque giorni. La giornata è stata lunga e a tratti faticosa, ma ce l'abbiamo fatta e abbiamo finito verso le 17:30-18:00, tornando a casa molto più tardi del previsto.

I ragazzi si affrettano a fare la doccia, visibilmente provati. Anche se vorrebbero andare a dormire presto (il che ci fa sperare non dormiranno troppo tardi), la giornata non è ancora conclusa: devono fare la loro prima riflessione personale, un momento molto importante. Questa riflessione segna l'inizio della missione da un punto di vista introspettivo. C’è un insieme di testi che li portano a domandarsi come stanno vivendo questo momento della loro vita, quanto si conoscono e cosa occupa le quattro "cavità" simboliche del cuore umano: gioie, sofferenze, paure, desideri. Proponiamo ai ragazzi un esercizio personale: riflettere e riempire ogni cavità con ciò che attualmente le occupa nella loro vita.

Questo è un esercizio molto tosto e molto vero, poiché - se lo si prende sul serio - implica fare i conti con se stessi e vedersi per quello che si è nella propria vita. È un momento di introspezione, nel quale si esplora ciò che riempie il nostro cuore, il centro della nostra esistenza.

E, per alleggerire, consegniamo ai ragazzi che hanno partecipato alle Missioni negli anni scorsi la lettera che si erano scritti alla fine di quell'esperienza. Queste lettere, spesso cariche di emozioni, promesse e propositi, rappresentano un momento di riflessione e ricordo, anche se non sempre tutti gli impegni presi vengono seguiti.

Per chiudere questa prima giornata con un pomeriggio carico di esperienze partecipiamo alla messa di inizio missione dove padre Cesar del Messico, che per qualche anno ha studiato in Italia, ci invita a vivere l’esperienza del dono e di scoprire tramite il dono chi siamo e per cosa siamo stati creati.

Subito dopo, i ragazzi, affamatissimi, divorano tutto ciò che c'è da mangiare. Così concludiamo la prima giornata qui a Posadas, con un carico di emozioni, fatica fisica, lavoro di squadra e momenti di conoscenza reciproca e soprattutto, con tante aspettative per le famiglie che incontreremo domani e per l'inizio della costruzione delle loro case.