E se il volontariato potesse salvarti la vita?
E se il volontariato potesse salvarti la vita?
È vero che parlare di salvezza è un parolone. Parliamo di salvezza, di bisogno di salvezza, proprio quando ci sentiamo smarriti. Chi ci potrà salvare da un momento di smarrimento? Dipende anche da come intendiamo o percepiamo la parola smarrimento. Ma la verità è che finché non ti ci trovi, non puoi capire fino in fondo che cosa significhi essere smarrito, perso. Se si è persi non si ha una direzione, non c’è un senso, e senza senso la vita può scorrere vuota, sola, triste. Tutti noi abbiamo bisogno di un senso, di una direzione da dare alla nostra vita. Se la mettiamo così, penso che più di uno qui potrebbe riconoscere che, nella sua vita, momenti di smarrimento ci sono stati eccome. Nessun essere umano ne è libero. Penso che la ricerca di un senso sia parte dell’esperienza umana, del vivere da umani, anche se, a volte, per come va il mondo, sembra che siamo solo degli animali. E così come la ricerca di senso fa parte dell’esperienza umana, lo fa anche l’esperienza dello smarrimento. E chi ci può salvare? Che cosa ci può salvare?
Ricapitolando: da cosa devo essere salvato? Dallo smarrimento, dal non-senso, dalla solitudine, dall’anonimato, dal buttare via la mia vita.
Stare a contatto ogni anno con centinaia di adolescenti e giovani, ma anche adulti, che partono dall’altra parte del mondo per qualche settimana di volontariato, ci mette in una situazione privilegiata per osservare: osservare come la carità e il dono di sé possano veramente trasformare vite. Magari l’impatto materiale, per quanto importante e significativo, non “libera” fino in fondo le persone dallo stato di povertà in cui si trovano. Ma sicuramente possiamo dire che la presenza dei nostri volontari e, insieme a loro, il dono fatto alla comunità sono qualcosa che porta soprattutto speranza, e la consapevolezza che anche nelle situazioni più disperate c’è sempre qualcuno che ci pensa, che ci vede. Allo stesso tempo, è una situazione privilegiata per vivere il viaggio interiore che ogni volontario è quasi costretto a compiere, perché entrare a contatto con situazioni di povertà come quelle dei luoghi in cui Wecare opera ti mette nella condizione di porti tante domande, ma soprattutto di cercarne le risposte.

È in questo senso che credo, in questi 19/20 anni di missioni, che il volontariato possa “salvarci” la vita. Salvarci nel senso di cui scrivevo sopra. Perché le esperienze di volontariato internazionale di Wecare non sono “solo” , che già sarebbe tantissimo, l’atto di costruire in sé, ma sono anche un viaggio interiore potentemente stimolato da ciò che ci circonda quando siamo immersi in una cultura diversa dalla nostra, ma soprattutto in condizioni di vita che sono all’estremo opposto di quelle a cui siamo abituati e di quelle che riusciremmo a sopportare. Partire con Wecare vuol dire guardarsi allo specchio e porsi la domanda sulla propria identità: Chi sono? E che la risposta non si esaurisca in un elenco di caratteristiche, belle o brutte, ma parli soprattutto di sogni e desideri, che siano più forti di tutte le proprie vulnerabilità e fragilità messe insieme. E scoprire che è bello essere sé stessi, e che è saggio amarsi per ciò che si è, e non tanto per ciò che si ha o si fa (che, in ogni caso, dovrebbe essere conseguenza di ciò che si è).
Partire con Wecare vuol dire anche arricchirsi di un’idea di amicizia non soltanto rivoluzionaria ma profonda. Perché trascorrere dei giorni in condizioni evidenti di scomodità, per i nostri standard, condividendo la giornata nel costruire qualcosa per qualcun altro, in condizioni che tirano fuori non solo il meglio di ognuno, ma anche quel lato più fragile e “meno amabile”, ci mette nella posizione di essere accolti e amati per ciò che siamo, e di amare e accogliere gli altri per ciò che veramente sono, spogliati da maschere o condizionamenti sociali che, a volte, qui a casa, non ci permettono di essere noi stessi né di vivere secondo i nostri sogni. Essere sé stessi significa spogliarsi prima di tutto delle aspettative degli altri e della nostra stessa società, che non poche volte è molto tossica. Partire con Wecare vuol dire stringere rapporti all’interno dei quali ci possiamo veramente sentire a casa, quindi salvi.
Partire con Wecare, infine, vuol dire riempire di senso ogni momento della propria giornata: sia nel condividere con chi ci sta accanto il lavoro necessario per portare il progetto a termine, sia nel condividere con la comunità locale che, pur essendo bisognosa, ci riempie di attenzioni. Scoprire che il nostro tempo è prezioso, tempo che tante volte buttiamo via in attività senza senso o fini a sé stesse, significa vederlo trasformarsi in uno strumento capace di cambiare la vita altrui. Prendiamo consapevolezza che il nostro tempo è unico perché unica è la nostra vita, e non abbiamo né vite né tempi da perdere… Da perdere per cosa? Per essere i più felici, i più pieni possibile.
Si può vivere tutto questo anche al di fuori di un’esperienza di volontariato all’estero? Sicuramente sì, ma gli stimoli, lo spazio mentale e temporale, e la situazione di estrema “libertà” che si provano in queste esperienze sono garanzia e condizione per fare, in modo privilegiato, l’esperienza di conoscersi sotto altri punti di vista e con più benevolenza. Per stringere amicizie che vadano al di là del semplice divertimento, perché costruite su qualcosa di più solido: la missione condivisa. Per lasciare un segno che ci ricordi quanto è preziosa la nostra vita e, con essa, il nostro tempo. E che una vita in cui non si vive per servire è sicuramente vita, ma una vita meno ricca di qualcosa che niente, in questo mondo, può “comprare”.



