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June 20, 2023

Entusiasti e forti quanto fragili e vulnerabili

Oggi è stata l’ultima giornata di faticoso lavoro. Facendo un po’ i conti, sono già sei giorni ininterrotti di salire sulla montagna che abbraccia il quartiere all’interno di Pamplona, l’ultimo prima di arrivare al “muro della vergogna”, e di fare su e giù con ogni sorta di materiale. Un lavoro che poi con il passare dei giorni diventa sempre più pesante sia per la fatica fisica accumulata, sia perché si tratta di un lavoro molto monotono. Diventa però una bella occasione pedagogica per i ragazzi, che devono capire, secondo me, che affinché le cose siano solide tante volte hanno bisogno di pazienza, di mettere bene tutti i tasselli, anche quelli più piccoli, quindi di cura e attenzione. Le cose che rimangono nel tempo, che durano per una vita o anche di più, sono appunto frutto di un lavoro paziente e quotidiano, dove tante volte sono molte le dinamiche che diventano routine e quindi monotonia. Sta ad ognuno di noi infatti, rendere ciò che è ordinario nella nostra vita, qualcosa di veramente straordinario

Oggi in mattinata, prima di andare a lavorare, abbiamo affrontato la terza tematica di questi giorni, ed è quella legata alla sofferenza, e alle ferite che di essa ci sono nella nostra vita. Si è però parlato sì con crudezza, ma anche con speranza, perché le sofferenze e le ferite nella nostra vita non hanno l’ultima parola su di essa, non definiscono chi siamo, ma soprattutto, se ci sono, possono veramente essere “sfruttate”: per crescere, per maturare, per renderci più forti, per farci più solidali, per essere più grati. L’altra opzione è quella di farsi schiacciare da esse, lasciarsi andare, e farsi controllare, essere schiavi della propria sofferenza, vittimizzarsi insomma. A fine discorso si lancia una sfida: quello di pensare a una possibilità di felicità che sussiste anche in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze, perché essa riposa in una base più solida e ferma. L’unica possibilità affinché questo accada è quella della presenza di un amore più grande, di mettere l’amore nelle ferite, perché senza amore, guarire, rimettersi in piedi, può essere un’impresa impossibile.

In questa prima settimana circondati da adolescenti, siamo colpiti dalla loro forza ed entusiasmo. Sembra che non si stanchino mai, come se non bastasse tutto il cemento del mondo e dover scalare mille volte la baraccopoli dove lavoriamo. La sera hanno sempre la forza per stare insieme, chiacchierare, anche di cose profonde visto che l’ambiente lo fomenta. E nei dialoghi, nei momenti di confronto, del mettersi in gioco, di aprire il cuore, viene invece fuori tutta la loro fragilità e vulnerabilità, tutte le loro paure, le angosce e preoccupazioni, e il bello è che non sono in contraddizione con tutta la forza ed entusiasmo che mostrano fuori ma in perfetta armonia, perché sono in ricerca, perché pian piano definiscono la loro identità, perché vogliono risposte su loro stessi e sul mondo che sono chiamati a trasformare. E tutto questo crea grande entusiasmo ma mette tanta paura. E proprio nella fragilità scoprono di non essere soli, che altri come loro soffrono con realtà simili, che altri come loro hanno gli stessi sogni e desideri e fanno le stesse fatiche, scoprono che possono fare strada insieme e che possono contare gli uni sugli altri. Un altro frutto della sofferenza, se affrontata e manifestata, è che ci fa rendere conto che non siamo soli e che abbiamo bisogno degli altri.