
Fate della vostra vita qualcosa di bello, buono e vero
Oggi sveglia alle 6:30, seguita dalla preghiera del mattino dalle 7:00 alle 7:30. Dobbiamo fare due turni perché un'intera stanza (anzi, due stanze) di ragazzi non si è svegliata - ovviamente la colpa è di chi doveva svegliarli - e questo ha causato un lieve ritardo. Alle 8:00 facciamo un recap delle attività della giornata, verificando a che punto sono le diverse squadre. Finalmente, alle 8:30, carichiamo tutte le macchine e i nostri furgoni per partire verso Aristide Merloni.
Arrivati al villaggio, ci distribuiamo nelle varie case e ricominciamo a lavorare, con l'obiettivo di finire la casa prima dell'ora di pranzo, che posticipiamo fino alle 13:30/14:00 per poter sfruttare al massimo la mattina, visto che è previsto l'arrivo del prete alle 15:00 del pomeriggio per iniziare le benedizioni.





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La mattina è molto lenta e lunga perché i lavori da fare, anche se pochi, richiedono molta precisione. Quando si sbaglia, soprattutto nel posizionare le lamiere, si rischia di lasciare un'intera parte della casa senza copertura. Il problema è che questi errori non sono subito evidenti, quindi bisogna fare attenzione sin dall'inizio per evitare brutte sorprese alla fine. Gli errori, soprattutto con le lamiere, infatti, costringono a smontare e ricominciare fino a trovare il problema.

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I ragazzi vanno e vengono, iniziano a dipingere e scrivono i propri nomi sulle pareti della casa per le loro famiglie. È una giornata di festa. Dopo aver mangiato la pasta tipica della zona, i ragazzi, ormai astinenti da pasta da due settimane, lavorano con entusiasmo.

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Il prete che avrebbe dovuto benedire le case non risponde al cellulare, quindi mi ritrovo incaricato di questo compito, così mi preparo con un mazzo di fiori e un'ampolla di acqua benedetta, iniziando il giro delle case. Dopo aver trovato su Google la preghiera della benedizione delle case e averla pronunciata, i membri delle famiglie beneficiarie rivolgono parole di ringraziamento e gratitudine ai nostri ragazzi.


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In una casa mi ha colpito particolarmente una situazione. I ragazzi non erano inizialmente molto contenti, “accusando”, in un certo senso, la famiglia di non essersi mai mostrata presente durante i lavori. Quando finalmente la signora è uscita per la benedizione, le ho fatto notare questa percezione dei ragazzi. Con molta umiltà, lei ha chiesto scusa se i ragazzi non si erano sentiti accolti, spiegando che non aveva potuto essere presente quanto avrebbe voluto. Ci ha raccontato che sua figlia, la futura proprietaria della casa, ha avuto un bambino sei mesi fa. La signora lavora tutte le notti per sostenere la famiglia, dato che il padre del bambino non è presente. Di giorno deve dormire e per questo motivo non ha potuto seguire i lavori come avrebbe desiderato, mentre la madre del neonato si occupava del piccolo.
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Mi ha colpito perché, nonostante avesse tutte le ragioni del mondo per non essere presente, con umiltà si è scusata per questa percezione avuta dai ragazzi e ha mostrato tanta gratitudine nonostante tutte le difficoltà. Ringraziava per la casa dove sua figlia e il neonato potranno vivere. È stata una testimonianza di grande forza, di una donna che si trova a dover lavorare di notte per portare avanti la famiglia e che non si è mai arresa nonostante le circostanze. Dopo aver rivolto queste parole ai ragazzi, li ha abbracciati forte, mostrando un volto luminoso e sereno.
Infine, le signore del villaggio ci hanno offerto i cosiddetti "picarones", ovvero delle frittelle a base di zucca, miele e zucchero, che i ragazzi hanno divorato con entusiasmo.
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Torniamo a casa verso le cinque, dopo aver salutato, tra abbracci e lacrime, le famiglie, soprattutto quelle con bambini a cui ci siamo tanto affezionati. Alcuni ragazzi hanno stretto legami speciali con queste famiglie e tra i saluti c’è la promessa di rivedersi, mentre altri si lasciano con un grande punto interrogativo sul futuro.
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Arriviamo a casa verso le 17:30 e, fino alle 20;00, i ragazzi si riposano, si lavano e chiacchierano. Alle 20:00 ceniamo e alle 21:00 ci ritroviamo tutti in auditorium per la tradizionale “cerimonia” di fine viaggio, dove leggiamo una lettera che rivolgiamo ai ragazzi, includendo alcuni momenti salienti della missione e un messaggio finale. E soprattutto, affidiamo loro il compito di scrivere una lettera a se stessi.
Di seguito il contenuto della lettera letta loro:
Cari ragazzi questo è il 19º anno in cui facciamo missioni. È una storia lunga ma giovane allo stesso tempo, perché WECARE in quanto tale esiste da poco più di un anno. Il nome WECARE nasce dall’idea di prendersi cura degli altri, di avere proprio a cuore. Quindi non sono soltanto i progetti, che sono fondamentali ed essenziali, ma si tratta soprattutto delle persone. Vogliamo, desideriamo e speriamo, con le nostre azioni e ogni nostro gesto, di prenderci cura delle persone.
Ma che vuol dire prendersi cura delle persone? Prendersi cura delle persone è quello che avete vissuto voi in questi giorni. Ricordate i pilastri delle missioni di Wecare? Il primo pilastro delle nostre missioni è il volontariato. Il volontariato come fatica fisica, come fatica emotiva, ma soprattutto volontariato come mettersi in gioco, mettendo insieme tutte le proprie forze, tutte le proprie capacità, tutti gli aspetti belli e a volte anche quelli meno belli, al servizio di qualcun altro, per un compito più alto, che ha come sfondo, come obiettivo unico, il bene di una persona o di un gruppo di persone. Così ci si prende cura degli altri donandosi senza paura, senza sosta e senza risparmiarsi, perché l’unica cosa che ci è garantita in questa vita è il momento presente. Sicuramente è inutile, in un certo senso, risparmiarsi, e dare solo 80 quando possiamo dare 100.. Se possiamo dare di più, bisogna dare di più. È possibile andare oltre la stanchezza solo quando c’è qualcosa di più grande, quando c’è una motivazione più grande, quando troviamo il senso alla fatica, il senso alla ripetizione, il senso alla routine, il senso al freddo o alla fame. Noi il senso lo troviamo quando dietro c’è una missione più importante: ed è così che vi siete presi cura di centinaia di bambini e famiglie, attraverso la costruzione di un campo da calcio o delle case che avete recentemente finito.
Vi siete presi cura anche l’uno dall’altro, tra di voi, perché il gruppo, che è il nostro secondo pilastro, ha fatto parte di tutto ciò. Ovviamente siamo consapevoli che prendersi cura dei propri compagni è più difficile perché a volte arriviamo con etichette o preconcetti sugli altri e anche su noi stessi. Non abbiamo uno sguardo libero da tutte le cose che a volte ci fermano, quindi nell'avvicinarsi agli altri li pensiamo a volte come qualcuno con cui concorrere, con cui gareggiare, degli avversari o addirittura un ostacolo.. Quando invece davanti abbiamo un potenziale amico con il quale condividere la vita, un amico con il quale condividere le gioie, un amico con il quale condividere le sofferenze e le difficoltà. Insomma qualcuno con cui camminare insieme, fare strada insieme e sostenersi a vicenda.. Anche questo è un modo di prendersi cura delle persone, perché quando ti prendi cura di un amico in difficoltà, di un amico che ha bisogno di ascolto, di un amico che ha bisogno di un consiglio, di un abbraccio, o di occhi che lo guardino nella sua autenticità, lì puoi esserci tu.
Infine vi siete presi cura di voi stessi, o quanto meno lo speriamo! E questa è forse la cosa più nuova in un’esperienza come questa. Molti di voi probabilmente pensavano di essere venuti qui solo per lavorare, solo tra virgolette ovviamente perché il lavoro non è mancato, anzi è stato più che sufficiente! Molti di voi pensavano fosse solo un viaggio di gruppo, con tanti amici già conosciuti e tanti da conoscere, magari qualcuno anche da solo ma in fin dei conti un viaggio con altri ragazzi. Ma forse quello che non vi aspettavate - che è quello che a volte un po’ si sottovaluta in un’esperienza come questa - è che questa esperienza sarebbe stata anche un’opportunità per prenderti cura di te stesso. L’unico modo con cui ti puoi prendere cura della società, l’unico modo con cui ti puoi prendere cura delle persone che ami e chi ti circondano, di chi ti vuole bene, è prendendoti cura di te stesso. E così avete intrapreso, chi più chi meno, un percorso interiore che speriamo vi sia stato di nutrimento. Vi siete presi cura di voi quando avete saputo elencare le vostre gioie individuando ciò che vi rende autenticamente felici nonostante a volte le cose non vadano sempre bene. Vi siete presi cura di voi quando avete saputo identificare nella vostra storia, passata ma anche presente, tutte quelle situazioni che vi procurano tristezza, sgomento o dolore, capendo che sono parte della vita e che non vanno assolutizzate, ma possono essere slancio di crescita e anche di maturità. Vi siete presi cura di voi quando avete saputo dare un nome alle vostre paure, capendo che molte di esse hanno la radice in una ferita, in qualche parte della vostra storia, in qualcosa che avete subito, o in qualcosa che state attualmente vivendo. La cosa importante è che tutte queste situazioni passano, e che l’unica paura di cui dobbiamo essere davvero allerta è quella paura originaria, che è quella di rimanere da soli, di non essere amati. Vi siete presi cura di voi quando avete approfondito i vostri desideri, scoprendo quello che vi tiene in vita, ma soprattutto il desiderio profondissimo che avete di amare. Ricordate che l’unica cosa che dipende davvero da voi è amare e che non potrete mai controllare chi vi ama, né quanto vi ama, né quando lo farà. E va bene così: perché la vita è piena nella misura in cui è un dare, e non un prendere. Chiediamoci; quanto vivo nel quotidiano dando, e quanto invece vivo per prendere.
Tra poche ore tornerete a casa. Spero con un sorriso più consapevole e, soprattutto, con il cuore pieno, pieno di tutto l’amore che avete ricevuto in questi giorni, pieno di tutta la gratitudine delle persone che avete incontrato e a cui avete cambiato la vita. Spero che questo viaggio, quest’esperienza, vi abbia aiutato anche solo un po’ a volervi, ma volervi veramente, più bene di prima, di quando siete arrivati qui, quella notte del 13 giugno, o qualcuno quella mattina del 14 giugno. Non sarai mai felice di te stesso, e di conseguenza della tua vita, se conoscendoti non ti accetti, con la consapevolezza che ci sono cose da cambiare ovviamente, e non accettandoti non ti ami. L’amore vero per te è alla base di tutto. Di ogni scelta saggia, di ogni rapporto sano! Conoscendoti sempre di più, vedrai cose che non ti piacciono, cose che ti spaventano, cose che ti fanno vergognare… ma sono solo aspetti circostanziali o che costituiscono solo una parte di te. Insomma le cose che non vanno di te, che ci sono e sono vere, non ti definiscono, non ti condannano. Chi ti condanna a causa di esse non ti ama, perché non ti vede nella tua totalità, come spesso non ti vedi neanche tu. Sai quando non ti ami? Quando ti vendi per quattro spicci, quando per un po’ di attenzione scendi a compromessi con i tuoi valori, quando punti tutto sull’apparire senza renderti conto che quella è la via verso una vita profondamente vuota e infelice. Ma tu vuoi veramente essere profondamente vuoto e infelice? Vuoi che il senso della tua vita sia nell’apparire, o nel possedere? Sai che nessuno ti amerà così per quello che tu sei, ma solo e unicamente per come appari e per le cose che hai?
Sai, non è una frase carina né preconfezionata quando ti dico che chi ti ama, ti ama così come sei, ma così come sei veramente, nella tua, come abbiamo detto più volte, nudità… ma che vuol dire questa nudità? Significa proprio questo: essere spogli di ogni maschera, spogli di ogni scudo, spogli di ogni paura di giudizio. Essere te stesso, così, con tutte le tue potenzialità e tutte le tue fragilità, con tutte le tue paure, e tutti i tuoi desideri, ma libero. Libero di essere, di sapere che devi crescere e migliorare, ma libero perché senza paura del giudizio, libero dalla paura di rimanere da solo, dalla paura che qualcuno ti crocifigga a qualche etichetta che ti riduce proprio a una misera caratteristica… È ovvio che fa paura, perché probabilmente siamo stati feriti in passato. Ma questo non ci può togliere l’illusione, il desiderio, il diritto di essere amati per quello che siamo, di nuovo nella nostra nudità… non siamo chiamati a essere perfetti. La perfezione, in fondo, annoia, perché non c’è nulla oltre essa. Mentre una vita che desidera sempre di più ha la potenza dello stupore, del desiderio di crescere, di conoscere, di andare oltre…
Quando sarete a casa, ricordatevi di questi giorni. Ricordatevi di quanto siete stati capaci fare, ricordatevi di quanto fosse più facile essere se stessi, essere autentici, aprirsi… e chiedetevi: “Cosa avevo in Perù che ora non ho qui con m?” Vi risponderete, puntualmente:: il senso a ogni giornata… ebbene trovate il senso alle vostre giornate, non è un mare ma un oceano di cose che potete fare, di persone che potete salvare… perché la salvezza è uno sguardo, un ascolto, un abbraccio… guardatevi intorno. Vi risponderete anche sul tipo di amicizie… Ebbene, cercate gli amici, via la paura di sentirvi un peso o un “accollo” come dite voi, siete nati per la comunione, per la condivisione, per lo stare insieme, non abbiate paura! Vi risponderete infine che qui avevate tempo per voi stessi. Ebbene, il tempo per voi lo dovete trovare anche a casa, perché senza quel momento per voi, il resto si sgretola, e rischiamo di vivere come automi, realizzando compiti ma non vivendo la vita che siamo chiamati a vivere.
E siate grati, con chi vi ama, che vi ha dato tutto, ma soprattutto con Dio, che è l’artefice di tutto quanto. Si lo so, credere è un tasto delicato alla vostra età, molto particolare, come è molto particolare anche nella nostra società, a prescindere dall’età. Mi piace pensare, anzi io credo, che quell'amore incondizionato, infinito ed eterno, di cui il nostro cuore ha profondamente bisogno, trovi il suo compimento in Dio. A me è capitato… a volte basta solo dargli un’opportunità… non smettete mai di cercare, perché chi cerca trova, e credo che Dio, in fondo, stia solo aspettando un segno da parte nostra per entrare,, appunto con il nostro permesso, e stravolgere, in bene, la nostra vita. Fate della vostra vita qualcosa di bello, buono e vero ragazzi, il resto, non ne vale la pena.
I ragazzi, muniti di penna, busta e fogli di carta, si sparpagliano per tutto l'albergo per scrivere le loro lettere. Questa sera si andrà a dormire tardi, essendoci la “magia” dell'ultima sera. Speriamo che non facciano cavolate. Domani la sveglia è libera: partiamo a mezzogiorno e la colazione sarà servita tra le 10:00 e le 11:00. Chi vorrà riavere il cellulare dovrà svegliarsi prima per poterlo ritirare e caricare.
I ragazzi con le 10 famiglie a cui hanno costruito una casa:



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Lo staff del Perù I e parte del team di Wecare:

La foto di gruppo:
