
Il desiderio di una felicità senza fine
La giornata di oggi è iniziata con mezz’ora di ritardo. Essendo domenica, ho voluto concedere ai ragazzi questa mezz’ora in più. In realtà, dietro a questa scelta c'era anche il fatto che, essendo domenica, la messa delle 9:00 era stata posticipata alle 9:30. Per questo motivo, non aveva senso svegliarsi troppo presto. La sveglia è quindi suonata verso le 7:00. Dopo la preghiera in cappella e la colazione, siamo partiti tutti verso le 8:45.
Una volta saliti sui quattro pullman, sempre divisi per i vari gruppi di lavoro, ci siamo ritrovati verso le 9:15/9:20 nella chiesa parrocchiale della zona dove stiamo lavorando. Purtroppo, o per fortuna, a seconda della prospettiva, oggi si celebravano le prime comunioni, quindi la messa che inizialmente sarebbe dovuta durare non più di un’ora è durata molto di più. In Perù, i sacerdoti amano parlare e raramente le loro omelie durano meno di 15 minuti. In più, il rito della prima comunione ha prolungato ulteriormente la cerimonia, e così abbiamo iniziato a lavorare alle 11:30 del mattino. Considerando che due dei cinque centri che ci accolgono ogni giorno nel pomeriggio sarebbero stati chiusi, abbiamo deciso di far rimanere metà del gruppo, in realtà poco meno della metà, ovvero 42 ragazzi, anche nel pomeriggio per continuare il nostro lavoro in uno dei due campi sportivi. In questo modo, il tempo in più passato alla messa del mattino non ha causato un ritardo problematico nell'opera che siamo venuti a portare a termine.
È una giornata più bella delle altre, molto più bella delle ultime dal punto di vista climatico e sicuramente migliore di ieri, quando la visibilità era ridotta a soli 10 metri. Con il passare delle ore, questo miglioramento diventa sempre più evidente, soprattutto quando esce il sole, portando tanta gioia ai ragazzi. Questo non solo migliora l'umore, ma anche la prospettiva. Dall'alto, infatti, si può vedere come le case che si trovano più in basso siano costruite con materiali più solidi, detti "materiali nobili" in Perù, come il cemento. Man mano che ci si allontana e si sale, però, si incontrano abitazioni sempre più umili, fino alle ultime case costruite in cima, vicine al cosiddetto "muro della vergogna," costruite con paglia, plastica e spesso a diretto contatto con la terra.




Il sole di oggi ha permesso ai ragazzi di lavorare con più gioia e di prendere piena consapevolezza della vastità di questa povertà. Una povertà che non riguarda solo l’aspetto materiale: i ragazzi cominciano a rendersi conto che quando parliamo di povertà parliamo di persone. Persone che fanno fatica a cucinare più pasti al giorno, ad acquistare i materiali scolastici, a pagare la luce, ad avere una casa, a comprare il latte in polvere per i neonati o le medicine necessarie.
Adesso siamo in inverno qui in Perù, ed è comune che queste persone abbiano bisogno di medicine o di poter fare una visita da un pediatra. Queste cose purtroppo spesso sono impensabili per chi vive in queste condizioni e sopravvive giorno per giorno, senza alcuna possibilità di risparmio. Non solo si vive con il minimo indispensabile, anzi molto spesso al di sotto di esso, ma non si hanno le risorse per mettere da parte qualcosa. Per i ragazzi qui, quindi, la povertà non è soltanto un concetto materiale, ma riguarda persone concrete. Vederlo con i propri occhi e immaginare come, su queste vaste estensioni di montagne di povertà, vivano famiglie, bambini, adulti e anziani, è motivo di sgomento. Ma soprattutto, speriamo, porti a una profonda consapevolezza.
La controparte di avere bel tempo e il sole che bacia i visi dei ragazzi è che fa caldo. Se prima soffrivamo il freddo, ora i ragazzi devono lavorare a maniche corte. Il movimento, unito al calore del sole, aumenta la fatica, richiedendo una maggiore rotazione nei turni di lavoro.






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Anche se siamo solo al secondo giorno, i nostri ragazzi non mollano: mostrano dedizione, forza e impegno nel loro lavoro. Siccome oggi siamo arrivati un po’ tardi, lavoriamo per due ore con grande intensità. A pranzo, le signore del posto hanno preparato per noi un delizioso ají de gallina, un piatto tipico peruviano a base di pollo sfilacciato, crema piccante gialla e patate.



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Verso le 14:15, i ragazzi tornano al cantiere: metà di loro rimane per continuare il lavoro, mentre l'altra metà si divide in due gruppi. Un gruppo visita un centro per anziani in fin di vita e ragazze adolescenti con ritardo mentale, mentre l'altro gruppo si reca al centro "Sembrando Esperanza" dove vivono, come dicevamo ieri, persone che sono finite per strada e non hanno più nessuno, che trascorrono in questo posto gli ultimi giorni della loro vita. Troviamo anche persone più giovani, accomunate però tutte da uno stato di solitudine che i ragazzi cercano di alleviare attraverso la loro presenza e l'ascolto.


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Chi rimane in cantiere finisce di lavorare verso le 16:30 e poi rientra a casa, mentre chi è andato nei due centri inizia il rientro poco dopo le 17:00. Così, i ragazzi sono praticamente tutti alla casa di ritiro San Agustín tra le 17:15 e le 17:30, con qualcuno che arriva un po' più tardi a causa del traffico. Nonostante la giornata di fatica, i ragazzi desiderano giocare a calcio. Purtroppo, il pallone del primo gruppo è scomparso, quindi cerchiamo di procurarci un nuovo pallone con la promessa di iniziare a giocare già domani. Speriamo che nessuno si faccia male, poiché, statisticamente, i maggiori infortuni sono avvenuti proprio sui campi da calcio o durante altre attività sportive. Tuttavia, negare ai ragazzi una partitella di calcio, che crea tanta amicizia e anche un po' di rivalità, è qualcosa che non ci sentiamo di fare.
Alle 19:00 ci incontriamo tutti in auditorium e, dopo alcune indicazioni su come sta procedendo il lavoro e su alcuni aspetti organizzativi e logistici della casa che ci ospita, ricordiamo ai ragazzi che qui si trovano anche dei seminaristi del noviziato, ovvero i primi anni dove si formano i futuri membri dell'Ordine di Sant'Agostino. Nonostante la lunga giornata, i nostri ragazzi ieri erano ancora pieni di energia alle 22:00 e hanno fatto parecchio rumore, per questo ci viene chiesto di mantenere un po' di silenzio, soprattutto nei pressi dell’area del noviziato. Per fortuna, il posto è molto grande, permettendo loro di trovare altri spazi dove stare, senza fare feste rumorose o cantare a squarciagola vicino alle finestre dei seminaristi. A parte questo, tutto sta andando molto bene.
Questa sera, prima della cena in cui festeggeremo due compleanni, affrontiamo le “cavità” del cuore, quelle di cui parlavamo ieri: le gioie, le paure, le sofferenze e i desideri. Iniziamo partendo dalla felicità. Non vogliamo che questo blog diventi un libro, nè pretendiamo di avere il rigore e lo stile che richiede un testo di quel gemere. Ci limiteremo quindi a qualche traccia di ciò che abbiamo cercato di comunicare ai ragazzi.
Prima ancora di parlare di felicità, è importante riflettere su come il conoscersi come esseri umani debba portarci a considerare che ognuno di noi è diverso dall’altro, ma al contempo ritrovare certi aspetti che ci accomunano. Tutti noi siamo nati, frutto dell’incontro tra due persone, idealmente dell’amore tra due persone (anche se sappiamo che non sempre è così). Ogni esistenza è un regalo, poiché nessuno di noi sceglie di esistere.
La scienza, con il passare del tempo, ci ha insegnato molte cose e continuerà a farlo. Una verità fondamentale che possiamo affermare è che questa vita, che ci è stata donata, è unica e irripetibile.
Citavo la scienza perché oggi sappiamo che il codice genetico, il DNA, di ogni individuo è unico. Anche se due persone possono coincidere al 99,9999%, c'è lo 0,0001% che rappresenta la loro diversità e unicità. Questo codice genetico unico può manifestarsi in molte modalità nell'essere umano, come ad esempio nelle impronte digitali, dove non esistono due persone che condividono la stessa impronta. Questa è una sorprendente realtà se consideriamo le milioni di persone che hanno vissuto e che vivono sulla terra. Ognuno di noi, con tutte le sue caratteristiche, è unico e irripetibile. Un concetto che non è solo filosofico ma una presa di coscienza sulla bellezza e il valore di ogni vita umana. Ogni vita è preziosa, unica e irripetibile. Come te non c’è, non c’è stato e non ci sarà mai nessun altro.
In noi c’è anche un'impronta profonda che non sempre la scienza può comprendere completamente. C'è una dimensione che sfugge alla razionalità, c’è qualcosa che non può essere incasellato in un concetto preciso. Nell’essere umano c’è un principio di eternità, di infinito - di cui spesso tanti letterati parlano - una sorta di desiderio profondo che nulla di questo mondo può appagare completamente. Ci piace pensare che questo principio di eternità parli all'uomo di un bisogno di qualcosa che va oltre, di qualcosa di infinito. Uno dei testi del libretto dei ragazzi è proprio questo passo di Leopardi nello Zibaldone che cerca di esprimere questo desiderio infinito:
“... il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per dir così dalla terra intera, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, la mole e il numero meraviglioso dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio. Immaginarsi il numero dei mondi infiniti e l’universo infinito e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande di siffatto universo, e sempre accusare le cose di insufficienza e nullità, e patire mancamento e vuoto e perciò noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di umiltà che si venga nella natura umana”.
Giacomo Leopardi - Zibaldone
Quando pensiamo all'amore nel suo modo più romantico, ma anche più difficile e che richiede più sacrificio, per esempio, immaginiamo qualcosa di infinito, di eterno, qualcosa che non finisca mai e che duri per sempre. Tutto questo ci conduce alla questione della felicità, un'esperienza che va oltre i semplici sentimenti o emozioni; può includerli, ma non è solo questo.
A noi piace pensare che esista una felicità così profonda da far sperimentare una pace interiore e una serenità che persistono e superano i momenti difficili della vita, facendo rimanere saldi in qualcosa di più grande. Gli alti e bassi, le delusioni e i fallimenti, i momenti di sconforto fanno parte della vita, ma non possono compromettere questa felicità che va oltre. È una felicità che persiste e trascende queste difficoltà, un'esperienza di vita che ci permette di essere nel posto giusto, rispondendo a chi tu sei.
Ecco, presentiamo ai ragazzi questa idea: la felicità si raggiunge nella misura in cui rispondiamo alla nostra vera identità, nella misura in cui siamo felici di essere noi stessi e non stiamo interpretando il ruolo di qualcun altro. Conoscersi, amarsi e accettarsi.
In questo senso, crediamo che la felicità sia legata al desiderio di ciò che è vero: dove non c'è verità, non crediamo possa esserci felicità. Inoltre, vediamo la felicità come la ricerca di qualcosa di buono, inteso come bontà innata dell'essere umano. Infine, la felicità è anche un desiderio di bellezza. Parliamo di una bellezza che va oltre l’estetica, un'esperienza che dona pienezza, qualcosa di profondamente armonioso e privo di rotture.
Così, lanciamo una prima sfida ai ragazzi: sei felice? Cosa ti manca per esserlo? Questa domanda cerca di evitare risposte banali, perché la felicità non può essere definita semplicemente come uno stato d'animo passeggero, perché gli stati d’animo vanno e vengono. La felicità è qualcosa di più solido, radicato nell'esistenza umana e composta da vari "ingredienti", come l'amore per se stessi, il saper rispondere a chi noi siamo veramente, e un'armonia tra ciò che è vero, bello e buono.
Ovviamente, non si tratta di idealizzare la felicità come qualcosa di irraggiungibile. Siamo convinti che, se l'essere umano ha dentro di sé questo desiderio di eternità e questa aspirazione a qualcosa che duri per sempre, significa che è possibile raggiungerla. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che la felicità non è qualcosa di immediato né una conquista permanente. È un cammino, un percorso che dura tutta la vita. A volte possiamo perderci, perché perdiamo noi stessi, perché smettiamo di guardarci con occhi di bontà, bellezza e verità, e ci vediamo attraverso il filtro della menzogna, dei complessi, delle fragilità e delle paure.
Ci piace dunque presentare la felicità come un principio di eternità dentro di noi. È la ricerca del bello e del buono nella nostra vita. È una strada appassionante che ci tiene in vita.
Terminiamo questa condivisione, che noi chiamiamo conferenza, il cui scopo è soprattutto offrire ai ragazzi degli spunti di riflessione, discutibili o meno. Per carità non pensiamo di avere il monopolio della verità, e molte cose saranno oggetto di dialogo nei prossimi giorni.
Concludiamo e ci spostiamo nel refettorio dove, dopo aver cenato, escono le torte per festeggiare Sofia e Raffaele, che oggi compiono gli anni. Dopo cena, facciamo una preghiera e infine cerchiamo di mandarli a letto presto, per riprendere le attività domani all'orario abituale.