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Imparare ad amare se stessi per saper amare gli altri
Questa mattina i ragazzi hanno partecipato alla loro terza conferenza, dedicata a un tema che sembra semplice ma che, in realtà, racchiude infinite sfumature: l’amore. Un argomento universale, che spesso diamo per scontato o trattiamo in fretta, senza concedergli lo spazio che merita davvero. Durante l’incontro è emerso un pensiero forte, quasi provocatorio nella sua verità: come possiamo amare davvero qualcuno, se prima non impariamo ad amare noi stessi? Come possiamo donare ciò che non possediamo? È stato un momento di silenzio e di sguardi bassi, come se ognuno stesse scavando dentro di sé per cercare la risposta.
Conclusa la conferenza, con le menti ancora immerse in quella riflessione, i ragazzi si sono incamminati verso la scuola di Kibaya. È uno degli ultimi giorni, e si sente. Gli sguardi si soffermano di più sui bambini, i sorrisi durano qualche secondo in più, e c’è chi prova a imprimere nella memoria ogni dettaglio di questa quotidianità che, in pochi giorni, è diventata così familiare.
Il cielo oggi era un po’ più grigio, e all’inizio abbiamo temuto che la pioggia potesse rallentare il lavoro. Invece, a parte qualche nuvola e un vento più fresco del solito, la giornata ci ha regalato ore perfette per lavorare: senza il sole a picchiare, i ragazzi hanno accolto con sollievo l’aria più leggera.
Oggi i pennelli hanno trovato nuova tela: un’altra classe si è colorata in poche ore, in una corsa silenziosa contro il tempo per riuscire a finire tutto. Sulle pareti sono apparse librerie piene di libri, per far sentire i bambini più vicini ai loro coetanei più fortunati, e poi il sole, le nuvole, la pioggia e l’arcobaleno, come a raccontare che anche qui, tra queste mura, la vita porta con sé tutte le sue stagioni.
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Intanto, nei bagni, i lavori procedono a ritmo sostenuto. Oggi il capo cantiere ci ha sorpresi: forse i ragazzi riusciranno persino a partecipare al montaggio del tetto, un traguardo che credevamo fuori portata per i tempi stretti. E invece, grazie al loro impegno instancabile, ce lo godremo. Gli operai locali li osservano con curiosità e un pizzico di ammirazione: non è da tutti lavorare con tanta dedizione e precisione. Oggi, tra martelli e lamiere, c’erano volti stanchi ma fieri, sorrisi larghi e quella soddisfazione che solo il lavoro fatto insieme può regalare.
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Durante la pausa pranzo, ormai, si è creata una piccola tradizione. Dopo aver mangiato, i ragazzi si radunano in un’aula vuota, si sistemano alla meglio tra i banchi e, per una mezz’ora, ricaricano le energie. Qualcuno si appoggia al muro, altri piegano le braccia sul tavolo, tutti con felpe o cappelli a schermare la luce che filtra dalle finestre. È un momento semplice, quasi silenzioso, ma che parla di complicità, di un gruppo che ha imparato a condividere ogni istante, dalla fatica al riposo.
E mentre ripirende il lavoro del pomeriggio e il vento di Kibaya continua a portare l’odore della terra e delle risate dei bambini, diventa sempre più evidente che non stiamo solo costruendo bagni o dipingendo pareti: stiamo tessendo legami, lasciando tracce invisibili che resteranno qui, ma che ci accompagneranno anche a casa.
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