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July 2, 2023

Il saperci mai soli è la nostra possibilità di riscatto

Fernando Lozada

Questa mattina, dopo il solito rituale di inizio giornata, ci siamo trovati in auditorio per la seconda riflessione personale per continuare ad approfondire la tematica sulla felicità e sul desiderio d’infinito che di essa abbiamo. Ho voluto introdurla leggendo un passaggio dello Zibaldone di Leopardi che recita così:

“... il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per dir così dalla terra intera, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, la mole e il numero meraviglioso dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio. Immaginarsi il numero dei mondi infiniti e l’universo infinito e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande di siffatto universo, e sempre accusare le cose di insufficienza e nullità, e patire mancamento e voto e perciò noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di umiltà che si venga nella natura umana”.

Sono delle parole che riassumono quasi alla perfezione il contenuto di quanto abbiamo voluto trasmettere ieri ai ragazzi. Si tratta della consapevolezza che l’animo umano è come un abisso che non potrà mai essere riempito non soltanto da quanto di terreno c’è su questa vita ma persino di tutta l’immensità dell’universo. E così la natura umana, come la chiama Leopardi, è un insieme di infinito e finitudine, di eterno con il temporaneo, una sorta di “contraddizione” vivente. Come è la contraddizione nella vita degli adolescenti, che sono così forti nell’amicizia e nel desiderio di mettersi alla prova, e così fragili nei loro momenti di solitudine e di sconforto. Sono forti quanto fragili, e non è un’opposizione, ma credo, la condizione di ogni vita umana.

I lavori del cantiere vanno ancora avanti. Avere tanti giovani “operai” che al ritmo della musica portano carriole, preparano il cemento e lo versano, trasportano pietre, spalano sabbia o spianano il terreno è una grande fortuna per il lavoro che stiamo svolgendo. Devo confessare che temiamo un po' che i ragazzi finiscano prima del tempo e che così dovremmo inventarci qualcosa per tenerli occupati prima di iniziare a costruire le case. 

Per quanto sia divertente, nonostante ripetitivo, il lavoro delle mattine, i momenti più belli o da cui più restano toccati i ragazzi sono i pomeriggi. Nei pomeriggi i ragazzi hanno a che fare fondamentalmente con persone abbandonate. Bambini che sono stati abbandonati dai genitori perché poveri, o perché nati malati sia fisicamente che mentalmente. Anziani abbandonati dai propri cari negli ospedali, se gli è andata bene, o semplicemente per strada. Uomini che non hanno più nessuno a causa del male che hanno fatto in vita, e che sono stati accolti in uno degli istituti che visitiamo, dove hanno trovato, nell’amore e nell’esperienza di Dio, la loro unica possibilità di riscatto. Persone insomma tante volte sole, e che sono passate per l’esperienza del rifiuto. 

Con lo sguardo su quanto stanno facendo i ragazzi, sia per queste persone, ma anche per loro stessi tramite le riflessioni, è stato bello un passaggio della riflessione sul Vangelo che abbiamo letto questa mattina che calza alla perfezione con l’esperienza fatta. 

“Guarire nel Vangelo significa sentirsi amati con questa cura. E quando trovi qualcuno che ti ama accorgendosi di te, di quello che stai soffrendo, di quello che stai vivendo, di quello che stai chiedendo, allora la guarigione è già compiuta perché la cosa peggiore di chi sta male non è il male che soffre e basta, ma non trovare nessuno disposto ad accoglierlo, ad ascoltarlo, a fargli spazio.”

Ho preso questa parte della riflessione e, riuniti in auditorio dopo aver mangiato, l’ho letta ai ragazzi. Chissà se qualcuno se la ricordava, o se l’aveva notata particolarmente questa mattina. Mi è sembrato bello fargli notare come queste parole si applichino a loro in una doppia direzione. Nella parte più personale, quando pensiamo alle difficoltà che affrontano, le cose che li fanno soffrire, o che appesantiscono le loro anime, e dirgli che non è tanto una soluzione la svolta a tante cose, ma sentirsi e sapersi accompagnati, il sentirsi e sapersi mai soli, che cambia veramente la vita. Ma anche in quanto stanno facendo, perché loro sono quella compagnia, quell' ascolto, quell' accoglienza che li fa diventare strumento dell’amore nei confronti di tutte quelle persone che incontrano nei pomeriggi, che si sentono un po' sole o abbandonate nella loro malattia. 

Dopo aver mangiato arriva il momento dei gruppi di riflessione. Abbiamo diviso i maschi in sei gruppi. Ogni gruppo è coordinato da uno o due membri dello staff, il cui compito è, tramite domande ben precise, motivare la condivisione di quanto si sta vivendo. Per cui quando alla domanda “come sta andando?” i ragazzi ci rispondono “bene”, va subito richiesto loro “e perché?”, non tanto per essere invadenti o antipatici, ma per aiutare al gruppo a dare un nome agli “ingredienti” che ci sono in quest’esperienza per cui tutti dicono che sta andando bene: "mi piace fare qualcosa per gli altri, piace il gruppo, piace il lavoro, ci sono incontri che ti toccano, mi sento più libero, ecc." Nei gruppi di riflessione cerchiamo che siano formati da ragazzi che sono già più o meno amici. È particolarmente bello ascoltarli aprirsi e condividere pensieri belli, che probabilmente tra di loro, da soli, non emergono, poiché forse troppo abituati a rimanere nella superficialità più per paura che per avere effettivamente difficoltà ad andare in profondità. Quando ci si mettono, si sentono sicuri, possono veramente tirare fuori pensieri bellissimi, che nutrono gli altri, me compreso. C’è in loro un forte desiderio di amore, di amicizia, di coltivare passioni, di gratitudine, di ricostruire un legame rotto…