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“Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né d’altre cose simili. Ma ho bisogno d’amore."
Come ogni giorno, iniziamo la sveglia verso le 6:45. Facciamo la preghiera del mattino e poi ci incontriamo in auditorio per la riflessione personale e la conferenza del giorno. Oggi i ragazzi hanno riflettuto su una conseguenza delle tematiche precedenti. Nei giorni scorsi abbiamo parlato della sofferenza dal punto di vista del male, e oggi approfondiamo come questo male può trasformarsi in sofferenza nella vita di ognuno di noi. Partendo dalle esperienze vissute, abbiamo esplorato come queste sofferenze spesso si manifestino sotto forma di paura: paura di non essere amati, paura di rimanere soli, paura che nessuno ci ami per come siamo. Queste paure ci portano a nasconderci e a cercare l'accettazione o l'approvazione degli altri, alla ricerca di un'identità. O ci portano a non star bene con noi stessi, non partendo da chi noi siamo, ma da ciò che gli altri dicono di noi.
Quindi, i ragazzi leggono i vari testi di riflessione che offrono uno sbocco positivo, ovvero cercano di non concentrarsi solo sugli aspetti negativi come la paura di non essere amati, la paura di rimanere soli, o il sentirsi inadeguati e fuori posto. Invece, si concentrano sul desiderio profondo che tutti abbiamo di trovare qualcuno, o meglio, di trovare uno sguardo che ci guardi per quello che siamo, permettendoci di abbassare le maschere, le difese e le barriere, mostrandoci per quello che siamo e venendo amati per quello che siamo, non per quello che appariamo.
Qui alcuni esempi:
“Perché tutta la questione dell’amore è questa: per amare bisogna essere molto amati. Per amare bisogna che qualcuno abbia guardato te amandoti, che qualcuno guardi te; perché questa è la salvezza, questo è il bene della vita, ciò di cui abbiamo tutti bisogno. Che cos’è la salvezza nella vita? La salvezza nella vita è che qualcuno ti guardi e non abbia schifo di te, non abbia schifo e non abbia paura del tuo male, della tua debolezza, della tua fragilità. Uno diventa grande nella vita perché qualcuno lo guarda così. Padre e madre hanno in fondo questo compito, ma tradiscono il loro essere genitori non quando sbagliano, ma quando vengono meno a questo sguardo; e gli educatori tradiscono la loro vocazione di educatori quando vengono meno a questo sguardo: perché l’educazione è questo, è quel che ha fatto Dio con gli uomini, ci ha guardati, ci guarda dicendo: ‘Vai bene così. Io ti amo così. Ti amo così, io non ho schifo e non ho paura di quello che sei, io ti abbraccio così, io parto da quello che sei e insieme proveremo a fare un pezzo di strada, insieme si migliorerà, insieme si cambierà’.
Amarsi è inginocchiarsi l’uno di fronte all’altro, è inginocchiarsi davanti al destino infinito che l’altro porta in sé.”
Franco Nembrini - Dante, poeta del desiderio. L’inferno
“Quegli occhi che fra milioni si posano su di noi e solo su di noi, come a dirci “scelgo di guardare te, tra tutti”, ci tirano fuori dall’anonimato, dalla terra degli sbagliati e degli invisibili, aggiungendo la dimensione della profondità alla nostra vita, perché ci raggiungono dove originiamo. Quello sguardo ci perdona di essere come siamo, ci permette di abbassare le difese per lasciarci amare, ci rivela che andiamo bene così, con le nostre insufficienze e fragilità. E la prima cosa che racconteremo a quegli occhi a tu per tu non sarà certo quanto siamo bravi e belli, i nostri risultati, ma proprio quanto siamo piccoli e fragili, perché finalmente abbiamo trovato qualcuno capace di guardare la nostra nudità senza farci sentire nudi, bensì vestiti proprio di noi stessi. Quello sguardo ci aiuta a indossare la vita, la nostra vita, come il più bello degli abiti, a superarci e a raggiungere la nostra altezza e bellezza, come lo sguardo del giardiniere permette al seme di rosa di diventare fiore. Chi lo trova, scopre cosa sono la misericordia, il perdono, la maturazione. Il bambino si riconosce negli occhi della madre e del padre, l’amata negli occhi dell’amato e viceversa. Senza questi occhi non si può crescere sin dalle radici, non si può essere sin dal sottosuolo freddo e sporco. E non si può essere poi stelo, foglie, fiore, frutto. Per questo l’amore è vera e propria esperienza di salvezza: “Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né d’altre cose simili. Ma ho bisogno d’amore”."
Alessandro d’Avenia - L’arte di essere fragili
Dopo aver terminato la riflessione personale, ci rincontriamo in auditorio per comunicare ai ragazzi i nuovi 15 gruppi di lavoro, che saranno affidati ciascuno a una delle famiglie che sono state selezionate per ricevere una casa. Partiamo alle 9:15 e arriviamo alle 9:45. Questo lunedì, il primo giorno della settimana, le 15 famiglie ci aspettano già da un po'. Si radunano lungo quella che possiamo considerare la strada principale della baraccopoli e vengono circondate dai nostri gruppi di ragazzi: cinque gruppi davanti a loro, cinque gruppi alla loro destra e cinque gruppi alla loro sinistra.
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Una alla volta, le famiglie vengono chiamate e invitate a scegliere un gruppo. In questo modo, ogni gruppo di ragazzi viene assegnato a una famiglia. Ogni gruppo, composto da sei o sette ragazzi, prende la cassetta degli attrezzi e si distribuisce nelle varie postazioni dei terreni dove verranno costruite le case. Qui sorgono le varie difficoltà legate al terreno, ma quello che conta maggiormente è l'atteggiamento con cui si affrontano le difficoltà.
Possiamo dire che l'80-90% della soluzione a questa difficoltà, infatti, sta nel come si affrontano. Infatti, appena i ragazzi ricevono la loro famiglia e vanno a vedere i terreni, iniziano le lamentele: la casa deve essere smontata, il terreno è difficile, manca spazio per lavorare, e così via. È comprensibile lamentarsi un po', ma concentrarsi troppo sulle difficoltà, che sono reali, può far perdere di vista il quadro generale. La famiglia è l'aspetto più importante, e nella maggioranza dei casi si tratta di mamme con molti figli, e in alcuni casi anche con il papà.
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Il degrado umano, e uso questa parola senza voler giudicare, è molto alto in questa zona. Abbiamo conosciuto famiglie con cinque figli, ognuno con un padre diverso. Da una parte, è lodevole la forza con cui le donne portano avanti la famiglia; dall'altra, ci chiediamo come questi bambini possano crescere con l'idea che il papà non c'è più, spesso a causa del padre stesso. In molti casi, i padri cambiano di volta in volta, a volte addirittura ogni anno. Come dicevo, non vuole essere un giudizio, anche se potrebbe sembrarlo, quanto piuttosto un confronto con la realtà in cui operiamo. È una realtà molto particolare e fragile. Infatti, dopo un po', personalmente ho quasi paura di chiedere, mi vergogno un po' a domandare ogni volta che incontro una signora se il papà c'è o no, e quanti figli ha.
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In ogni caso, chiunque si trovi in queste situazioni, con tutti questi figli – molti dei quali neonati sotto l'anno di età – mostra un coraggio e una forza di voler andare avanti che è davvero notevole. Sono donne molto forti quelle che incontriamo in questi giorni. Una storia in particolare ci ha colpito profondamente, al punto da commuoverci fino alle lacrime. I nostri ragazzi stanno costruendo una casa per una signora che prima viveva in condizioni terribili. Tanto che hanno dovuto smontare tutto. Il padre dei suoi figli è in carcere perché ha cercato, non troppo tempo fa, di bruciare lei e i loro figli. Mentre la madre e il figlio più grande se la sono cavata, il figlio più piccolo ha riportato gravi ustioni che gli hanno sfigurato il volto e lasciato numerose cicatrici. Ha persino perso metà della mano destra. Questa situazione è particolarmente toccante non solo per la povertà in cui vivono, ma anche per l'atto estremo di violenza compiuto dal padre. Un padre che dovrebbe essere chiamato ad amare incondizionatamente, prendersi cura dei figli e proteggerli, e che invece fa tutto il contrario. Questo comportamento, dal mio punto di vista, non è tanto il risultato di una mascolinità tossica, quanto di una mascolinità debole. Una vera mascolinità si esprime attraverso la paternità, prendersi cura degli altri e vivere per loro. Invece, un uomo debole può compiere atti estremi come questo. Storie come queste sono molte, ma questa è forse una delle più dure.
Oggi, i nostri ragazzi lavorano su vari fronti per gettare le fondamenta delle case. Sanno già come fare: devono scavare in profondità e rendere le fondamenta solide, perché solo su basi stabili si può costruire il pavimento e, infine, la casa stessa. A fine giornata lavorativa, solo una squadra è riuscita a completare tutto il pavimento, mentre altre due hanno completato metà del pavimento. Gli altri dodici gruppi sono ancora alle prese con le fondamenta, ma sicuramente domani riusciranno a completare, se non l'intera casa, almeno buona parte di essa.
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Torniamo a casa verso le 17:30. Alle 18:30, chi lo desidera può partecipare alla messa. Ci incontriamo in auditorio alle 19:15, dove a tutti i ragazzi è stato chiesto di portare una penna. Ci rivediamo nei vari gruppi di lavoro, all'interno dei quali si svolgerà una dinamica: ognuno riceverà un foglio e, in modo totalmente anonimo, dovrà scrivere in stampatello i motivi per cui a volte si sente inadeguato, si sente un peso o pensa di non essere amabile.
I gruppi lavorano fino alle 20:30 o 21:00, quando ci aspetta una cena abbondante composta da cotolette, insalata, la classica zuppa, un po' di pane, frutta e gelatina per dolci. I ragazzi continuano a chiacchierare fino alle 23:00, quando finalmente vanno a dormire, mandati a letto dai nostri membri dello staff.