0
November 6, 2023

La conclusione di una missione straordinaria

Fernando Lozada

Oggi è l'ultima giornata che passeremo con i nostri amati bambini di Kibaya, mentre inizia il nostro rientro verso l'Italia. La giornata inizia come sempre alle 7:30 con la preghiera del mattino, e alle 8:30 partiamo verso il villaggio. Questa mattina è dedicata completamente ai bambini, anche se di solito il sabato non vanno a scuola. Abbiamo deciso infatti di aprire la mensa per loro, finanziata interamente dai nostri volontari. Per renderla ancora più speciale, abbiamo preparato un pasto più sostanzioso, arricchito da più verdure e con una minestra più abbondante del solito.

Quando arriviamo, ci aspettano circa 1500 bambini. Ogni volontario si occupa di circa 40 bambini, cercando di intrattenerli. Alcuni di noi lavorano sulle rifiniture finali delle aule, mettendo in ordine e, prima di iniziare qualsiasi attività, scattiamo una bellissima foto di gruppo insieme a tutti gli operai che hanno lavorato al nostro fianco in questi giorni. L'aula, che all'arrivo aveva solo alcune file di mattoni alla base, ora ha tutte le pareti complete. La fase finale, come la pavimentazione e il tetto, sarà compito degli operai locali, che dovrebbero concluderli entro una o due settimane, in modo che i bambini possano iniziare a utilizzare l'aula tra tre settimane. La grande quantità di bambini, talvolta anche più di 80 classi, influisce sulla qualità dell'istruzione che ricevono e sulla loro capacità di concentrazione, per questo è tanto importante fornire loro degli spazi adeguati dove poter apprendere.

Dopo la foto di gruppo, iniziano le diverse attività e giochi con i bambini: alcuni giocano nel parco, altri fanno disegni sulle mani o sui visi dei bambini, mentre altri ancora regalano adesivi. Alle 12:00 inizia il pranzo per i più piccoli, e già dal profumo del pasto di oggi si percepisce la differenza rispetto agli altri giorni, grazie alle abbondanti verdure. Molti bambini ne prendono persino una doppia porzione, evidenziando la loro felicità.

Alle 12:30 celebriamo la messa di fine missione con Don Tomas, il sacerdote ruandese che risiede a St. Joseph, il centro che ci ha ospitato. La messa è condotta completamente in lingua locale, accompagnata da canti intensi di un coro anch'esso locale. La chiesa è affollata da tutti i bambini, i loro genitori e le loro famiglie. Solo durante alcune parti dell'omelia, il padre Thomas, che ha studiato in Italia, ci rivolge alcune parole in italiano, esprimendo gratitudine e invitando a continuare a contribuire positivamente a questa zona del Rwanda, così povera - ma anche così accogliente direi.

Dopo la messa, salutiamo i bambini, consegniamo gli ultimi regali e ci dirigiamo verso l'albergo. Dopo cena, ci riuniamo nella sala conferenze per ricevere una lettera di fine missione:

Kibungo, 4 novembre 2023

Care ragazze, cari ragazzi,

Dal 2012, a fine viaggio dei ragazzi, dedichiamo loro una lettera di fine missione, un po’ per riassumere l’esperienza ma soprattutto con il proposito di spronarli a non perdere ciò che si vive qui cercando di trasformarlo in qualcosa di quotidiano quando si ritorna a casa.

Non l’abbiamo mai fatto con gli adulti, con i due gruppi precedenti, ma quest’anno un po’ ho sentito la spinta a farlo. 

Non è scontato, né superficiale, dirvi quanto è stato bello vedervi in azione, abbassando barriere, lasciando da parte sovrastrutture, tornando anche un po’ bambini pieni di entusiasmo e voglia di fare, mettendovi in gioco e cercando di dare il massimo in ogni compito che vi era affidato, anche se a volte l’esigenza di fare altro era più forte e vi portava a fare scambi clandestini tra i vari gruppi di lavoro con la solita flessibilità e anarchia di sempre. 

Non avrei mai pensato, forse timoroso da chi è avanti nella vita, a cui gli anni pesano un po’ di più, con la propria storia e con le sue sofferenze e sfide, che i testi che diamo ai ragazzi per riflettere durante le missioni estive avessero potuto avere un impatto bello e positivo in voi, ragazzi over 40. 

Infatti dopo un inizio un po’ accidentato nonostante la verità del titolo del libro iniziale: “Solo l’amore crea”, siamo tornati in carreggiata con tematiche vecchie e presenti allo stesso tempo. Questo perché il desiderio di felicità, di sognare, di donarsi, di sentirsi amati, di sentirsi accolti, di perdonare e sapersi perdonati, in fin dei conti, non si spegne con il passare degli anni. Rimane sempre vivo, forse un po' arrugginito, forse un po’ appesantito dal cinismo, dalle nostre ferite personali, o dalla sfiducia di quanto vediamo nel nostro mondo e non parlo solo della povertà materiale ma soprattutto di quella spirituale, quella umana. Il cuore di ogni donna e uomo porta in sé a prescindere un infinito desiderio di amare… e proprio quando non amiamo, quando non troviamo senso a ciò che facciamo, quando ci scopriamo soli, ci sentiamo un po’ smarriti. Invece quando amiamo tutto si trasforma, a cominciare dai vostri occhi e dai vostri sorrisi.

Non so bene quali cose, pensieri, sentimenti, si siano innescati dentro di voi, quali consapevolezze, quali paure, la voglia di cambiare, quali buoni propositi, ci siano oggi che finiamo quest’esperienza di missione. Molto del lavoro interiore tocca a voi, e inizia oggi; le missioni sono state un’introduzione, un “riscaldamento”. Vorrei però fissare l’attenzione su due aspetti:

Vi siete aperti con dei quasi sconosciuti, avete messo da parte etichette e vi siete accorti della bellezza e della bontà che c'è in ognuno di voi. C’è del bello in ognuno di voi! Avete condiviso le vostre gioie, ma forse e soprattutto le vostre sofferenze, le vostre ferite, i vostri fallimenti. Nessuno di voi sarebbe oggi la persona che è senza di essi. La sofferenza, se vissuta nell’amore, credo ci possa far solo crescere, e per quanto possa fare male, ci ricorda che non siamo soli, che abbiamo bisogno degli altri, e che esistiamo anche per gli altri. Ogni ferita che vi portate, se vissuta nell’amore, nella possibilità di riscatto - perche l’amore riscatta e trasforma - non condanna né crocifigge ciò che di noi non va, ma è come una perla, un tesoro, che vi qualifica, nel senso che vi dona qualità, e vi ha reso oggi, in parte, le persona che siete. 

Quella della sofferenza è una storia molto lunga, delicata e personale, ognuno ha i suoi tempi. Ma sappiate che più vi affidate, cioè vi gettate nelle braccia degli altri, di chi vi ascolta, di chi vi vuole bene, più il dolore piano piano può prendere un senso. Solo l’amore guarisce, ma per guarire bisogna lasciarsi amare, sapersi capaci di essere amati, saper accogliere l’amore. 

La seconda cosa, infatti, è fare un esercizio stravolgendo un po’ i ruoli. Voi avete vissuto questi giorni amando, nei vostri gesti, con le parole, con gli abbracci, nell’aprirvi, sollevando un bambino, imboccandolo, pulendolo, nel semplice gesto di prenderlo per mano e fare un po’ di strada insieme. Ma anche prendendo iniziative diverse come fare tavoli e sedie per i più piccoli o cercare di pulire i bagni della scuola, e tante altre cose che probabilmente sono scappate ai nostri occhi. Stravolgere vuol dire farvi non solo la domanda su quanto avete amato e perché su tanti fronti vi è risultato così semplice e naturale, ma farvi anche la domanda se vi siete sentiti amati, e se sì, come lo spero, sapervi dire come mai o perché qui vi siete sentiti così amati. Nelle vostre varie storie ho potuto percepire quella stanchezza, non in tutti per carità, che ci da la nostra vita a casa, piena di responsabilità, sempre di corsa, prendendovi cura degli altri e a volte per questo senza riuscire a trovare il tempo per prendervi cura di voi stessi. Qui probabilmente avete capito che la migliore medicina a tutto ciò è donarsi, e più volte infatti avete evidenziato quanto più avete ricevuto di quanto siete stati in grado di dare. 

Ma che avete ricevuto? Come siete stati amati? Perché, in un certo senso, non vi siete mai sentiti soli? Vi siete sentiti accolti, ascoltati, preziosi per gli altri. E tutto ciò proprio così come siete. Perché chi ti ama, non ti lega alle tue fragilità o difetti, chi ti ama non si sofferma a tutto ciò che di noi non va, anzi lo abbraccia, perché sa che c'è molto di più e che nessuno di noi deve mai essere ridotto ai nostri lati più bui o alle nostre miserie. Ripeto la domanda: ti sei sentita amata? Ti sei sentito amato? Come, in quali forme? Perché sei amato quando ti ascoltano, sei amato quando qualcuno ti chiede come stai, quando qualcuno ti abbraccia, quando qualcuno ti sorride, quando qualcuno ti chiede un parere, quando qualcuno è grato con te. A volte siamo fissati su forme “tradizionali” di amore o dell’amore che pensiamo di necessitare e ci perdiamo di vista tutte quelle forme di amore che invece circondano la nostra vita e che ci sono ogni giorno, perché sono la benzina quotidiana. Sono ben convinto che ognuno di voi è molto importante, direi anche essenziale, non per il vostro lavoro, forse anche, ma soprattutto per le persone che vi amano e che amate… tutto parte da ciò, non da cosa fate, ma da quanto amate e siete amati.

Ultima provocazione… ma basta l’amore umano? Un amore che per la sua stessa natura è così altalenante e fragile. Non è una condanna della nostra capacità di amare, ognuno però ha i propri limiti, e a volte può capitare che non ce la facciamo più. Da dove sgorga l’amore che dai? Di quale amore ti nutri? Abbiamo tutti bisogno di ricaricarci. Mi piace pensare che solo l’amore infinito di Dio, che è incondizionato ed eterno per natura, non è un amore che si merita ma un amore che c'è a prescindere, “senza se e senza”. È come dire che c’è qualcuno che ti ama anche se fai le cose più brutte che puoi immaginare, che ti perdona tutto, ma veramente tutto… a volte facciamo fatica a credere che un amore cosi ci possa davvero essere, perché intanto non crediamo che Dio possa fare veramente Dio, e perché siamo cresciuti pensando che l’amore sia qualcosa che si conquista, che va meritato, ma allora non sarebbe gratuito, non è un dono, ma sarebbe come un acquisto, uno scambio… non mi piace pensare a un amore che è meritevole, perché poi è un attimo che diventa ricatto… E poi è per sempre, è eterno… che pace sapere che si tratta di un amore che c'è sempre e ci sarà sempre. A volte l’ansia che viviamo, lo vedo nei ragazzi, è frutto della paura di rimanere da soli, di perdere chi ti ama e non avere la situazione sotto controllo. E ci credo che vivi con l’ansia se vivi sapendo che esiste la possibilità di non valere più per nessuno… Ma con Dio non è così, perché è un amore che c'è sempre… e questo, almeno a me, da tanta pace, e mi ha un po’ insegnato a “fregarmene”, positivamente, delle aspettative degli altri, a essere libero da tutto ciò… perché tutto ciò tante volte ci frega. 

La fede, che non è altro che percepire l’amore nella nostra vita, è un'esperienza, è un dono. Se ricordate il brano del giovane ricco ha una frase fantastica che a volte uno non coglie. Gesù, Dio, per pretendere tutto da questo giovane, prima ancora di dirgli cosa fare, lo guarda con amore, “fissatolo lo amò". La fede sussiste quando facciamo esperienza dell’amore di Dio, e affinché questo accada, a volte “basta” incrociare il suo sguardo. Incrociare lo sguardo di Dio vuol dire abbassare le barriere, i pregiudizi, i negativismi, e cercare di guardare con bontà tutto ciò che ci circonda, compresa la nostra storia e le nostre relazioni. 

Credo che la cosa più bella che possiamo, posso, augurare a una persona, è quella di incontrare un amore incondizionato e per sempre nella propria vita, così faccio con voi, vi auguro di incontrare lo sguardo amorevole di Dio, di alzare gli occhi e di incrociarlo, e di lasciarvi amare in tutta la vostra umanità, nelle vostre gioie, ma soprattutto nelle vostre ferite, e che a vostra volta possiate riempire questo mondo di quell’amore del quale vi nutrite ogni giorno. 

Fernando

In seguito, ognuno di noi scrive una lettera al sé stesso sedicenne, riflettendo sull'esperienza di tutta una vita, con gioie, sofferenze, fragilità e forza e soprattutto facendo un bilancio di questa esperienza in Ruanda.

Partiamo alle 17:30 dopo aver caricato i pullman e facciamo una sosta in un negozio tipico di oggetti ruandesi, che viene letteralmente "svaligiato" dalle ragazze del gruppo. Infine, giungiamo a Kigali alle 21:30, dove celebriamo la fine della missione con un barbecue tipico ruandese. Alle 23:30, ci dividiamo in due gruppi: uno di 24 persone rimarrà a Kigali per andare a vedere i gorilla, mentre il resto del gruppo farà ritorno in Italia, con la speranza di un'altra avventura insieme in futuro.