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November 1, 2023

La felicità più profonda, nella vita, è prendersi cura di qualcuno

Fernando Lozada

La seconda giornata di lavoro inizia tra le 6:30 e le 6:45. Dopo aver dato il tempo tecnico a ognuno per potersi preparare, ci incontriamo per la preghiera del mattino. Dopo la preghiera ci riuniamo per fare la prima colazione. Una volta finita, alle 08:30, dopo un po’ di pausa e dopo gli ultimi preparativi, andiamo tutti insieme alla scuola di Kibaya. Questa volta non c'è bisogno di fare un sopralluogo, e quindi ognuno viene da subito diviso in tre gruppi di lavoro. Un gruppo va al cantiere. Un altro gruppo va a preparare le due aule che verranno dipinte e nelle quali ci è stato chiesto di fare dei disegni sull'apparato digestivo e l'apparato respiratorio. Alcuni, quindi, preparano le mura che faranno da base ai disegni (per le quali non c'è bisogno di nessun tipo di arte o capacità artistica) e gli altri - i più bravi nel disegnare - si occupano dei disegni veri e propri che sono i più complessi.

Un terzo gruppo gruppo infine porta con sé tutte le valigie piene di regali, giocattoli, pennarelli e quaderni che abbiamo portato dall’Italia e incominciano a dividere i materiali per le varie fasce d’età dei bambini per poi distribuirli nelle varie classi. A differenza di quando siamo stati qui ad agosto con i ragazzi in cui i bambini erano un quarto di quelli che sono ora (circa 400), oggi abbiamo a che fare con circa 1500/1600 bambini, i quali durante la giornata seguono fondamentalmente le lezioni. Molti di noi, quindi, fanno vari giri delle aule cercando di aiutare gli insegnanti. In alcune classi alcuni di loro si infastidiscono un pochino perché interrompiamo le lezioni e non siamo proprio di aiuto, in altre classi, invece - soprattutto quelle dei più piccoli - il nostro aiuto e la nostra compagnia sono tanto apprezzate grazie anche alla presenza di disegni, quaderni, mattoncini, mattoni, matite. Inoltre si fanno tanti canti e si balla tutti insieme.


Per quanto riguarda il cantiere, il lavoro va avanti alla grande: c’è un gruppo che si dedica a picconare le pietre che servono per il cemento che va a riempire le fondamenta e le colonne di quella che sarà questa nuova aula (che è la quarta che i volontari di Wecare costruiscono in questa scuola), un altro gruppo si dedica a portare i mattoni che sono stati lasciati dalla ditta di costruzione a circa 200 metri da dove stiamo costruendo, mentre un altro gruppo ancora continua ad alzare il muro utilizzando sia il cemento che i mattoni.  A differenza dei ragazzi -  che seguono molto di più le divisioni dei vari gruppi di lavoro - gli adulti prendono i gruppi come una guida o un orientamento molto, molto flessibile, forse troppo. E quindi tra di loro si scambiano i diversi ruoli a metà giornata.  Ma è anche giusto visto che riescono a organizzarsi molto bene: ognuno fa quello per cui è più portato e soprattutto riescono a dosare e a tenere conto della propria stanchezza, la quale anche solo dopo un giorno, si inizia a far sentire. Ovviamente hanno iniziato a muovere molto tutti muscoli, soprattutto quelli delle braccia, e si cominciano a sentire i primi dolori.


Arrivata l’ora del pranzo una decina di persone viene destinata al servizio della mensa: fanno entrare i bambini, cominciano a servire i piatti, aiutano e accompagnano i più piccolini, e così via. Mi sembra che questo sia un momento molto gradito da tutti quanti.

Finita la mensa dedicata ai bambini, abbiamo 45 minuti di pausa massimo per poter pranzare e poi riprendiamo i lavori nei vari cantieri e con i soliti cambi di “personale” da un cantiere all'altro. Nel cantiere di costruzione in particolare si crea un ambiente di divertimento e di ballo: si cominciano a mettere i mattoni al ritmo di musica e con grande rapidità riusciamo a riempire di cemento tutte le sette colonne portanti dell'aula e, a fine giornata, anche la costruzione del muro è arrivata molto in alto. Devo dire che il ritmo di lavoro di questo gruppo è veramente veloce, forse perché perdono poco tempo e ognuno di loro è molto concentrato a fare il suo.

Infine verso le 16:30 torniamo a casa. Tra una cosa e l’altra arriviamo verso le 17:00, ovviamente con la solita sosta a metà strada, nel bel mezzo dell’autostrada (per modo di dire visto che ha al massimo due/tre di andata e ritorno), dove i nostri volontari si fermano per comprare più avocado possibili dalle signore che li vendono ai lati strada. Arrivati finalmente a casa c'è un momento di relax e di condivisione. Molti vanno al bar all'angolo a prendersi una birra. Altri rimangono nel bar vicino. Fa un po’ ridere il fatto che a un certo punto alcuni di loro si avvicinano tutti puliti, preparati, “acchitati” e propongono di andare a fare un giro in "città". Anche se chiamarla città è un po’ eccessivo visto che si tratta di un paesino che ha una sola strada, con qualche piccolo negozio e niente di più. Però felici loro, felici noi!

Alle 19:30 ci ritroviamo, dopo aver dato qualche tempo per continuare la lettura del nostro testo che, va detto, ha creato un po’ di scalpore in senso negativo: a detta di molti il testo presenta un linguaggio un po’ troppo giudicante. Ma noi che seguiamo i gruppi cerchiamo di riscattare quegli aspetti essenziali che possono essere utili alla vita di ognuno. Perché, tralasciando alcune frasi infelici o posizioni forse troppo rigide che più che avvicinare allontanano, ci sono anche delle riflessioni molto belle che riguardano la tematica dell'amore. L’amore visto nella prospettiva delle opere di misericordia, sia quelle corporali, come il dar da mangiare a chi ne ha bisogno, vestire chi non ha i vestiti, e così via, e di quelle più spirituali, come possono essere l'ascolto e il perdono dell’altro. Quello che cerchiamo di trasmettere è che noi viviamo questa esperienza come un’esperienza d’amore, soprattutto a livello fisico, ma che non si può mai scindere il corpo dalla propria interiorità e dal proprio cuore. Quindi quello che si vive è un tutt’uno di anima e corpo. In questa esperienza non c'è soltanto un dare fisico, ma viene coinvolto tutto il nostro essere. Facciamo notare come, soprattutto la dimensione fisica del donarsi, che è bellissima, sia insufficiente se noi nella nostra vita - soprattutto quella in Italia - non ci dedichiamo anche a trovare il tempo da dedicare a qualcuno, ad arrivare al perdono, ad ascoltare veramente l’altro, a rimanere accanto a chi magari passa per un momento di sofferenza. È quindi un invito a tutti a chiedersi: “Dove possiamo trovare la fonte di energia, di forza? Dove possiamo trovare quella spinta che ci possa permettere di amare non soltanto in quello che ci viene più facile, più comodo o più “naturale”, ma anche e soprattutto in quelle situazioni dove ci vuole sacrificio, dove c'è una sfida, dove ci si deve mettere veramente in gioco. Crediamo che un cuore libero e pieno è quello che riesce ad amare “senza se e senza ma” e soprattutto, viste le dinamiche delle nostre vite, in quelle circostanze più “interiori” che ci sfidano e che sono appunto quelle più difficili.