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La missione non finisce ma continua nella vita di tutti i giorni
Conclusa la nostra solita routine mattutina, ci ritroviamo in auditorio per il primo momento di lavoro personale scritto della giornata. Nei loro libretti, i ragazzi trovano di nuovo quel quadro vuoto due per due che avevano incontrato il primo giorno: una sorta di mappa simbolica delle cavità del cuore, di cui avevamo parlato all’inizio del viaggio. Cavità che custodiscono le sofferenze, le paure, le gioie e i desideri più profondi. Quel quadro, allora, era stato un primo tentativo per misurare quanto ciascuno di loro conoscesse se stesso e quanto fosse capace di mettere nero su bianco ciò che porta dentro. Oggi, quasi due settimane dopo, con la consapevolezza che questo viaggio ha portato in ognuno, grazie al dono di sé, all’esperienza dell’amicizia, al cammino interiore, i ragazzi sono invitati ancora una volta a “prendere la temperatura” della propria interiorità. Molte cose saranno cambiate. Alcune saranno diventate più chiare o più profonde. Altre, forse, sono emerse solo adesso.
Partiamo, come sempre, intorno alle 9:15, ma prima facciamo una deviazione con un gruppetto di ragazzi autoproclamatisi chef. Ci fermiamo in un supermercato all’ingrosso per acquistare il necessario per cucinare una pasta al ragù: una scelta forse un po’ discutibile, considerando quanto siamo vicini al rientro in Italia, ma del tutto comprensibile dopo giorni di totale astinenza dalla pasta. Alle 10:30 siamo tutti al Pozo, dove le nostre famiglie ci aspettano. Padre César arriva con un secchio d’acqua che benedice, e un ragazzo dello staff si improvvisa chierichetto. Così, squadra per squadra, casa per casa, il padre benedice non solo le nuove abitazioni, ma soprattutto le famiglie che vi abiteranno. Sono 16 momenti, 16 incontri, 16 volti e storie che ci commuovono nel vederli commuoversi chi più apertamente, chi con discrezione.



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A rendere tutto ancora più vivo e gioioso ci sono i bambini, che si uniscono a noi in una piccola “procesión”, saltellando di casa in casa con una felicità contagiosa e una voglia di giocare che, in fondo, non è così diversa da quella dei nostri ragazzi, giovani quasi non più adolescenti.
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Concluso il giro delle benedizioni, facciamo la consueta foto di gruppo, mentre lo staff si ritaglia il suo momento davanti all’asado, fiero del fuoco acceso e della carne già in cottura. Oggi, infatti, è il giorno dei choripanes: pane caldo e salsiccia alla griglia, semplice e irresistibile. Quattro o cinque a testa, e ce n’è abbastanza per sfamare anche i bambini del posto, che non tardano ad avvicinarsi.
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Tornati a casa, c’è spazio per l’immancabile match calcistico tra i ragazzi e lo staff. Alzo gli occhi al cielo sperando che nessuno si faccia male.. l’anno scorso un ragazzo si è rotto qualcosa alla caviglia.. e inizio osservando da bordo campo. Ma a metà del primo tempo, la tentazione è troppo forte, e decido di entrare anch’io. La partita si chiude con un 1-1 nei tempi regolamentari, e ai calci di rigore sono i ragazzi ad avere la meglio. Io, nel frattempo, ho giocato solo fino a metà del secondo tempo: il mio orologio, con una certa insistenza, mi ha fatto notare che stavo compiendo uno sforzo straordinario per gli standard abituali del mio corpo, e mi ha gentilmente suggerito di riposare. Come dargli torto!
Alle 19:00, dopo che tutti, o quasi, si sono lavati, partecipiamo alla messa di chiusura delle missioni. A me tocca leggere il salmo del giorno, che recita: “Chi semina nel dolore raccoglie nella gioia.” Una frase che sento parlare un po’ di noi: ci ricorda che non dobbiamo escludere il dolore, ma anzi, avere il coraggio di seminarci dentro, perché proprio lì può nascere qualcosa di bello. La gioia vera.
Verso le 20:15, la pasta è pronta. La fame è tanta. E, tutto sommato, nonostante non sia proprio una pasta all’italiana, i ragazzi sono soddisfatti e grati. Alle 21:00 siamo di nuovo tutti in auditorio, pronti per il secondo e ultimo esercizio scritto della giornata, e anche l’ultimo di questa missione. Questa volta, i ragazzi sono invitati a scrivere una lettera a sé stessi. Ma prima di farlo, leggiamo loro questa lettera:
"Cari ragazzi,
siamo arrivati alla fine di questa esperienza. I giorni che ci restano da vivere insieme non fanno più parte della nostra missione, del motivo principale per cui siamo venuti qui, anche se sicuramente saranno momenti belli, da vivere ancora in compagnia. In quella compagnia che, in questi giorni, avete scoperto e che, in modi diversi, per ciascuno di voi, è stata un sostegno.
Ora che siamo alla fine del viaggio, sentiamo tutti con più forza la stanchezza. Certo, anche a causa delle poche ore di sonno che alcuni di voi si sono concessi. Ma soprattutto è la stanchezza che è conseguenza di esservi donati con tutto il vostro cuore e le vostre azioni alle persone che avete incontrato. Tutto questo, attraverso la costruzione di 16 case. La fatica sarebbe stata forse meno se la giornata di riposo, per quanto bella, fosse stata davvero “di riposo”. Ma ora è il momento di fermarsi e fare i conti con se stessi e chiederti se hai vissuto e sfruttato veramente questa esperienza come ti abbiamo invitato a fare il primo giorno. O te la sei fatta sfuggire, perdendoti pezzi preziosi. Ti sei veramente donato, affrontando la fatica, superando ogni stanchezza pur di portare a termine non solo la casa che ti era stata affidata, ma anche passando del tempo con quelle persone tanto lontane da noi per tanti punti di vista eppure così simili, nelle cose che contano davvero? Ti sei aperto agli altri, all’incontro, mostrandoti per ciò che sei veramente, senza indossare maschere? Hai avuto il coraggio di farti conoscere in modo autentico, per donare agli altri il tuo vero io? Hai avuto il coraggio di guardarti dentro, farti quelle domande scomode che spesso eviti, e magari anche dandoti delle risposte, anche se dure, su te stesso e la tua storia? Hai approfittato di quei momenti di silenzio e riflessione che ti sono stati donati, consapevole che nella vita di tutti i giorni è sempre più raro trovare tempo prezioso per guardarti dentro?
Dicono che il modo più efficace per ricordare qualcosa è fare elenchi di cose concrete. Allora vorrei, almeno da quanto ho visto in questi giorni e quanto ho sentito nei vari gruppi, lasciare tre desideri per voi:
La prima cosa che vi auguro è di portare nel cuore un’esperienza di gratitudine. Siate grati. Non solo per l’esperienza vissuta qui, quello mi sembra abbastanza scontato, e credo lo sia anche per tutti voi. Vorrei che cogliate la bellezza della vostra vita e siate grate per essa. Nessuno ha una vita perfetta. Nessuno ha una storia perfetta, né nel passato, né nel presente, e probabilmente nemmeno nel futuro. Ma la perfezione non è umana. Il che non vuol dire non desiderare sempre di migliorarsi con entusiasmo e intraprendenza. Intendo che la ricerca della perfezione fine a se stessa può logorarvi, perché è irraggiungibile. Nessuno di noi porta mai essere perfetto né potrà mai avere la vita perfetta. E va bene così. La fragilità, con tutte le sue ricchezze, è ciò che ci rende profondamente umani e che da gusto alla vita.
Vorrei invitarvi a guardare le vostre vite, le vostre storie, la vostra famiglia, le vostre amicizie, i vostri successi quanto i vostri fallimenti, insomma tutto della vostra vita, con un cuore grato. Non solo perché siete persone molto fortunate a cui non manca niente di quanto è essenziale, almeno dal punto di vista materiale, ma perché spero che in questo viaggio abbiate scoperto e riconosciuto, dandogli un nome, non soltanto a ciò che vi affligge, ma soprattutto spero che abbiate colto quanto amore c’è stato e c’è nella vostra vita, anche in mezzo alle imperfezioni dei vostri rapporti. Vorrei che tutti voi, in qualche modo, possiate finire questa esperienza guardandovi allo specchio, dopo queste due settimane, e sentirvi fiero di chi siete, e amandovi sempre di più, senza sentirti mai inadeguato, senza disprezzarti, senza pensare di non essere abbastanza. Siate grati
La seconda cosa che vi auguro è di portarvi a casa la consapevolezza di quanto sia prezioso il vostro tempo. La vita, la vostra vita, è una sola. E, anche se alla vostra età non si pensi a fatto alla sua fine, ricordate sempre che nessuno vi potrà mai ridare indietro il tempo perduto. Ora sta a voi decidere se sarà tempo perso o tempo donato. Donare il proprio tempo non significa altro che riempirlo di senso. Non fare le cose a caso, buttando via la propria vita, perché è esattamente quello che fai quando butti il tuo tempo, ma scegliere di amare in ogni momento. Può sembrare un compito difficile, e probabilmente all’inizio lo è. Ma amare è meno complicato di quanto può sembrare perché ce l’avete nel cuore della vostra esistenza. Senza amore, nessuno va da nessuna parte. È per quanto sia difficile da accettare, ella nota non potrete mai scegliere chi vi ama, né come, né quanto. Ma sta a voi, te, scegliere sempre di amare.
Amare è il rimedio più forte contro la noia e la solitudine che a volte circonda le vostre vite quasi non più adolescenziali. Ed è la cura più grande alla solitudine che tante volte colpisce le persone del nostro tempo. Spesso siamo così circondati da connessioni o da tante persone, ma così lontani dai nostri cuori, al punto da fare fatica ad aprirci per paura di essere un peso. A che serve avere mille persone intorno se il nostro cuore poi deve rimanere chiuso in un baule con un lucchetto per la paura di essere di peso o che qualcuno lo possa spezzare.
Il tempo che vi è stato dato in questa vita è un tempo per amare, e potete amare in ogni situazione, perché amare non è soltanto una decisione ma amare lo si vede da come fai le cose, da come parli, da come guardi le persone, da come ti relazioni, sia con gli altri che con te stesso. Se è vero che il tempo è ciò che di più prezioso abbiamo, allora usalo per fare qualcosa di altrettanto prezioso.. e non c’è niente di più prezioso che amare ! Amare con il tuo amore, cioè con la tua identità, a partire da ciò che tu sei. Che tu sia unico significa che ci sono persone che solo tu potrai amare in un certo modo. Non per quello che fai, ma per come lo fai tu per loro. Che tu sia unico vuol dire che il tuo sguardo, il tuo abbraccio, le tue azioni possono arrivare dov’è altre non lo potranno mai fare, perché come puoi amare tu, non potrà mai amare nessuno. Non è tanto l’azione in sè.. sulle azioni siamo tutti più o meno sostituibili. Ma nessuno potrà mai sostituirti nell’amore, perché ognuno ha un modo unico di farlo. Il tuo amore è insostituibile. E così grande è il tuo valore, che è direttamente proporzionale non solo alla capacità che hai di amare, ma a quanto realmente ami. Una vita senza amore… non è vita.
Un terzo desiderio per voi.. Ama te stesso. Sembra facile da dire. Ma può essere una grande impresa farlo. Eppure, è la base di tutto. Per poter essere in pace, felice… devi prima amare te stesso. Per poter avere rapporti sani e non scaricare le nostre ferite e paure sugli altri c’è bisogno che tu ami te stesso. Devi farlo per farti conoscere davvero, senza paura del giudizio o dell’abbandono. Se qualcuno ti lascia per ciò che in te non va… allora è meglio così. Perché l’amore, se è vero, ama tutto, anche ciò che in te “non va”. O vuoi essere amato solo parzialmente? Vuoi essere amato per ciò che mostri? O per tutto ciò che sei? In questo importante compito di amare te stesso bisogna mettere da parte le bugie che hai creduto su di te. Tu non sei un peso.
Tu non sei inadeguato. Tu non sei insufficiente o non “non abbastanza”. Tu non sei il tuo aspetto. Tu non sei invisibile. E non sei nè solo nè sola. Tu sei, come dicevamo prima, la tua immensa capacità di amare, di sognare, di desiderare. Se qualcuno ti ha fatto credere il contrario, se qualche situazione ti ha fatto dubitare, ricordati questo: un solo errore non definisce chi sei. Non ti determina come persona. Giudichiamo i fatti, non le persone! Nessuna di quelle frasi è la verità, nessuna di quelle frasi è la tua verità.. e per quanto difficile sia per alcuni di voi, o sia stato, ricordatevi che nella vita possiamo sempre ricominciare. Sempre. L’ultima parola sulla nostra vita ce l’avrà la nostra morte e finché essa non arriva possiamo sempre trasformare ogni momento in un vero e proprio capolavoro.
Cari ragazzi siamo arrivati alla fine. Ma questa non deve essere la fine di niente. La vostra missione continua a casa, cominciando da voi stessi. Poi dai vostri cari. Il bene che avete fatto qui deve essere solo un timido riflesso di tutto il bene che potete fare con le vostre vite. Non sottovalutate mai la potenza dell’ascolto, della presenza. Quell’ascolto e quella presenza che voi stessi tante volte cercate a volte senza risposta. Siate voi quella risposta che a volte è mancata nelle vostre vite. E se non è mancata, allora siate voi stessi la risposta che avete ricevuto.
Prendete in mano la vostra vita. E che sia una vita piena, mai mediocre. Perché non solo non vi meritate altro che la pienezza, ma il vostro cuore avrà sempre quell’esigenza di una vita piena, una vita felice, una vita con un amore fedele, incondizionato e per sempre. Non vi meritate niente di meno."
Uno a uno, i ragazzi si alzano, prendono carta, penna e una busta, e si spargono per la struttura alla ricerca del posto giusto per scrivere dove entrare in sé stessi e raccontare ciò che non vogliono dimenticare. Per alcuni l’esercizio si conclude intorno alle 22:00, per altri si va ben oltre le 23:00… E forse, anzi, sicuramente, è un buon segno. Domattina si parte: si torna a Buenos Aires, dove ci aspetta un giro per la città e, la sera, un asado fatto in casa. Domenica invece ci sposteremo sul fiume che segna il confine tra Argentina e Uruguay, per un’uscita in barca prima di dirigerci verso l’aeroporto.
Le 16 case costruite dai ragazzi e le 16 famiglie incontrate da loro in questi giorni:
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