
La prima esperienza di volontariato di Wecare in Albania è appena iniziata!
Atterriamo all’una di mattina a Tirana. Ad attenderci il caldo, Pietro e un bellissimo autobus. Unico difetto: mancanza di spazio dove mettere le valigie. Saliti leggermente “ammassati” tra una valigia e l’altra affrontiamo un piccolo viaggio fino all’hotel. L’hotel è molto bello… almeno per l’ala riservata alle donne. L’ala riservata agli uomini è sicuramente più scomoda, ma siamo certi che i ragazzi non si faranno intimorire da qualche comodità in meno… anzi.
Nonostante l’ora tarda ci svegliamo alle 7,30 e, dopo un abbondante prima colazione i ragazzi sono pronti ad affrontare la giornata. Le facce sono stanche ma sul volto vediamo già quello sguardo curioso di chi non sa a cosa vada incontro.
L’obiettivo principale della missione “fisica” può essere riassunto in tre aree chiavi. Una parte del gruppo passerà il suo tempo in una casa famiglia con circa quindici bambini dagli zero ai dodici anni. Le suore che si occupano di questi bambini, senza alcun sussidio statale e affidandosi solo alla provvidenza, infatti, sono ben felici di essere aiutate, non solo nel giocare e far studiare i bambini, ma anche nella costruzione e il miglioramento delle aree della casa famiglia.
Loro, infatti, essendo prese dall’educazione e il mantenimento dei bambini fanno difficoltà a seguire e mantenere la gestione ordinaria della casa. I ragazzi dunque divideranno il loro tempo chi giocando con i bambini, chi studiando con loro, chi cucinando per i ragazzi e per gli altri volontari (mangeremo sia all’una che la sera in casa famiglia e la corvette sarà affidata ogni giorno ad un gruppo diverso di volontari), chi rimettendo in sesto uno splendido parco giochi in stato di semiabbandono e chi costruendo una piattaforma in cemento sul quale poi sarà possibile fissare delle piccole piscinette gonfiabili che permetteranno ai ragazzi di sconfiggere l’appiccicoso caldo albanese.


Come ogni primo giorno delle missioni che si rispetti la mattina procede più lentamente. Bisogna creare, con il passare dei giorni, quell’amalgama misteriosa che rende le missioni così speciali. I ragazzi ancora si devono conoscere tra di loro, comprendere bene quale sia il loro ruolo in questo viaggio e soprattutto fare l’abitudine con attività così distanti dalla loro vita quotidiana. Nel frattempo, un altro gruppo si reca ad un centro che accoglie ragazze con differenti disabilità. La maggiore ha 73 anni e la minore ha circa 7 anni. Il loro compito sarà condividere il loro tempo con le ragazze, cucinare per loro e costruire un gazebo in legno che permetta alle persone di passare del tempo all’aria aperta senza essere prosciugate da sole. L’impatto con questa realtà lascia chiaramente le sue impressioni sui ragazzi sin dal primo istante. Siamo certi che di tutte queste esperienze fisiche (costruzioni, dedicare del tempo ad altre persone con necessità differenti) e materiali (cucinare, pulire, sparecchiare, fare tutto ciò per 80 persone non è così banale come può sembrare) sapranno prendere qualcosa che possa aiutarli anche nell’altra parte del viaggio: quella dell’itinerario interiore personale.




Oggi abbiamo cercato di mettere l’accento sulla necessità di prendersi sul serio, prendere sul serio le proprie gioie e i propri dolori. Affrontare le proprie paure e lavorarci per poter splendere di quella luce vivida e propria di chi affronta la vita con la consapevolezza interiore di star seguendo una stella polare. Abbiamo esortato i ragazzi a spendersi al massimo durante questi giorni e a dimostrarsi aperti e sorridenti sia al luogo, alle persone e agli altri volontari che ai testi e alle riflessioni che ci accompagneranno in questi nove giorni. La giornata finisce in hotel verso le 21, i ragazzi stanchi, anzi stanchissimi ma felici di affrontare quest’avventura così diversa.