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August 8, 2024

La ricerca di una felicità senza fine, piena e infinita.

Fernando Lozada

Siamo al quinto giorno in Ruanda. Partiti l'ultimo giorno di luglio, in un viaggio che per chi veniva da Milano è durato un'intera giornata, siamo arrivati all'aeroporto di Kigali la mattina prestissimo del 1° agosto. Il controllo dei passaporti è stato interminabile, a causa della lentezza del personale delle migrazioni e dell'unico sportello per i visti.

Ci immergiamo nella cultura africana, o meglio, nei ritmi africani, che ci sembrano così lontani dal nostro modo di fare tutto in fretta per riempire la giornata di attività. Già qui sorgono le prime domande: sono loro a essere troppo lenti, o siamo noi a vivere troppo nella frenesia? Mi piace sperare che la risposta sia un po' nel mezzo, ma forse un pochino più dalla nostra parte. Ho la profonda convinzione che il tempo sia prezioso e che si possa gustare senza necessariamente andare a rallentatore. Ma questa è solo una mia, molto limitata, prospettiva.

Tra una cosa e l'altra, finiamo di caricare le valigie, e gli 86 ragazzi, verso le 3:30 del mattino. In questo momento, sono contento della scelta di quest'anno di passare la prima notte a Kigali, anziché partire direttamente verso Kibaya, il che avrebbe significato andare a dormire all'alba. L'albergo dista pochi chilometri dall'aeroporto, distanza che percorriamo in soli 5 minuti. Quattro pullman pieni di ragazzi e un quinto pieno di valigie. Arrivati in albergo, inizia l'eterno check-in. Non è bastato mandare i documenti e la distribuzione in anticipo; i ritmi africani ci obbligano a fare una lunga fila affinché ognuno dei ragazzi riceva la chiave della stanza. Finalmente arriva l'annuncio più atteso: l' indomani la colazione sarà pronta dalle 7:00 in poi, per poi partire alle 9:30. E piano piano, tutti scompaiono nelle loro stanze e il silenzio inonda il nostro albergo.

I primi coraggiosi si vedono verso le 8:30, pronti per la nostra prima colazione africana: uova sode, qualche spezzatino, fagioli, pane e abbondante frutta. Nessuno osa prendere lo spezzatino, figuriamoci i fagioli! Alle 9:30 siamo tutti fuori dalle stanze, con le valigie pronte per essere caricate nel pulmino giallo, destinato al trasporto dei bagagli. I quattro pulmini bianchi, invece, trasporteranno i ragazzi. Infine, c'è la nostra macchina: una Toyota Land Cruiser verde Safari degli anni '90. Nei giorni a seguire temiamo di “perderla”, dato che ogni volta che proviamo ad accenderla succede qualcosa. Tuttavia, è utile per emergenze o trasporti speciali.

I ragazzi visitano il Memoriale del Genocidio. Noi del Team, al nostro quinto viaggio in Ruanda, preferiamo evitare: è un’esperienza molto forte e difficile da affrontare, che molti non riescono a sostenere. Il Memoriale racconta infatti in modo dettagliato questo tragico evento che ha segnato il Paese 30 anni fa, un periodo che, in termini di storia, è insignificante. Ma questa è una storia ancora molto viva. È impressionante prendere consapevolezza che molti degli uomini dai 30 anni in su sono veri e propri sopravvissuti. Come il nostro Valens, il nostro “tuttofare”, che vide suo padre, madre e quattro fratelli venire uccisi mentre lui, insieme ad altri tre fratelli, si nascondeva nel controsoffitto della loro casa.  Fa impressione sapere che alcuni uomini dai 55 anni in su sono stati carnefici, giovani adolescenti all’epoca del genocidio, che presero le armi e uccisero coloro che fino al giorno prima erano amici e compagni di vita.

Dopo la visita al Memoriale, risaliamo sui nostri pullman e iniziamo il viaggio verso Kibaya. Ci fermiamo in un ristorante lungo la strada, dove abbiamo organizzato un buffet che sarà molto simile a quello dei giorni successivi: riso, patatine fritte, spaghetti, spezzatino, fagioli e qualche verdura cotta, come broccoli e piselli.

Kibaya dista solo 110 km da Kigali, ma il limite di velocità su queste strade è di 60 km all’ora, trasformando quello che potrebbe essere un viaggio di un’ora in uno di due ore. Questo tempo si allunga ulteriormente a causa di una gara ciclistica su strada. Kigali, con le sue numerose colline, ospita anche eventi come l’Ironman 70.3, cosa che sinceramente non mi sarei mai aspettato. La gara ci causa infatti una coda di circa 10 km. Finalmente arriviamo a Kibaya, al St Joseph Center, verso le 18:30.

Una volta arrivati, distribuiamo i ragazzi nelle stanze il più velocemente possibile, per poi ritrovarci alle 19:00 nell'auditorio dove si terranno diverse delle nostre attività. È il momento di fare l'introduzione all'esperienza che stanno per iniziare. Dobbiamo ricordare ai ragazzi che il nostro volontariato si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo è il volontariato stesso, che comporta sia una fatica fisica che psicologica, con al centro le persone, soprattutto i bambini che incontreremo. Sono loro il senso di tutto ciò che facciamo. Il secondo pilastro è il gruppo, uno spazio di conoscenza personale, libertà e amicizia, in cui condividere una missione comune. Infine, c'è il percorso interiore, che comprende momenti di riflessione, conferenze, riflessioni di gruppo e personali, e per chi lo desidera, la possibilità di partecipare alla messa quotidiana.

Invitiamo i ragazzi a dare valore al loro tempo, una realtà preziosa che non ci torna mai indietro. Li invitiamo a sfruttare e a nutrirsi di tutto ciò che quest’esperienza ha da offrire. Il punto di partenza, però, deve essere una domanda fondamentale: "Cosa sono venuto a cercare?" Non è tanto un "perché sono venuto", che potrebbe trasformarsi in tanti piccoli perché, ma piuttosto cercare dentro ognuno di noi quella spinta iniziale, quella "mancanza" che c’è nel nostro cuore, che ci spinge ad andare lontano da casa, lontano da ogni comfort, lontano dai nostri luoghi sicuri, per faticare e, attraverso questa fatica, trasformare la vita di qualcun altro.

In seguito, consegniamo a ciascun partecipante due magliette e un libretto di riflessioni, che sarà per loro come una sorta di diario con testi e domande per aiutarli a guardarsi dentro e dare un nome a tutti quei pensieri, emozioni e percezioni che emergono durante l’esperienza.

Finalmente arriva l’ora della cena e, subito dopo, il temuto momento della consegna dei cellulari. Uno alla volta, i partecipanti si liberano dei loro dispositivi, immergendosi, con questo piccolo gesto, ancora di più nella realtà in cui sono chiamati a vivere e trasformare, e anche, perché no, a lasciarsi trasformare da essa.  Piano piano, gli spazi comuni del nostro albergo si svuotano. Tutti sono visibilmente stanchi, avendo dormito solo quattro ore, più quel sonno scomodo fatto in pullman.

I nostri primi tre giorni di lavoro sono stati molto intensi. Dal 2 al 4 agosto, i ragazzi – o meglio, i giovani – sono stati divisi in otto gruppi, ognuno con un compito specifico assegnato giorno per giorno.

Abbiamo due cantieri aperti. Il primo è destinato alla ristrutturazione totale della cucina. La vecchia cucina è stata demolita, mantenendo solo le fondamenta. Il lavoro dei ragazzi consiste nel preparare il cemento e costruire gradualmente i vari muri interni ed esterni della futura cucina. Era da tempo che desideravamo realizzare questo intervento. Siamo arrivati qui per la prima volta nel 2021 e siamo stati subito colpiti dalla quantità di bambini che vengono nutriti da questa mensa, che spesso fornisce loro l'unico pasto della giornata. In totale, circa 1600 bambini vengono nutriti durante il periodo scolastico, mentre in questo periodo di vacanze sono circa 400.

Durante l'anno, le spese per gli alimenti e i cuochi sono coperte da un'altra organizzazione non profit romana, da noi di Wecare e dallo stato del Ruanda. Negli anni scorsi, la costruzione di quattro nuove aule a carico di Wecare non solo ha migliorato la comodità per i bambini all'interno delle aule, ma ha anche permesso l'arrivo di nuovi studenti grazie alla maggiore disponibilità di spazio e alla possibilità di nutrirsi. Costruire più aule significa dover dare da mangiare a più bambini. In questo contesto, la mensa e la cucina giocano un ruolo fondamentale per la scuola. Per questo motivo, abbiamo deciso di iniziare con la ristrutturazione totale della cucina, rendendola più salubre e meglio organizzata per poter sfamare un numero così elevato di bambini affamati. A questo cantiere vengono assegnati ogni giorno tre gruppi, per un totale di circa 33 volontari.

Il secondo cantiere si trova al centro della scuola e consiste in un'enorme spianata dove, al termine della missione, sorgerà un campo da pallacanestro. Il lavoro include la preparazione del terreno, la distribuzione della terra e l'inizio della stesura del cemento. Essendo molto lontani dalla capitale, qui è difficile avere accesso a macchinari pesanti, come le betoniere. Chi ha esperienza nella preparazione del cemento sa bene quanto sia diverso lavorare con una betoniera rispetto a farlo a mano. Dopo il terzo giorno di lavoro, non ci sono tracce di betoniere, quindi tutto il lavoro viene eseguito manualmente. A questo cantiere sono assegnate altre tre squadre di ragazzi, per un totale di circa 33 volontari.

Le due squadre rimanenti si dedicano alla decorazione delle aule con dipinti dal valore pedagogico. Poiché l'accesso ai libri è limitato, il modo migliore per apprendere e seguire le lezioni di scienza, matematica e altre lingue è utilizzare le mura come grandi racconti e storie, proprio come avveniva nell'arte antica. Ogni giorno, quando una squadra è assegnata a questo compito, non mancano i sorrisi, non tanto perché gli altri cantieri siano temuti, ma principalmente perché lavorare nelle aule offre riparo dal sole.

L'ultima squadra è destinata alle attività con i bambini. Inizialmente, è l'attività più desiderata, ma con il passare delle ore, nonostante sia gratificante, si inizia a sentire il desiderio di una pausa. Seguendo il ritmo delle danze per sei ore al giorno, l'esperienza si rivela un vero e proprio allenamento per una maratona, o meglio, per una ultramaratona di danze, giochi e inseguimenti dietro bambini pieni di energia.

Nota climatica: ci troviamo a 1600 metri di altitudine. Per fortuna, non ci sono zanzare, ma il caldo è intenso e il sole è estremamente forte. Per alcuni, questo rappresenta una piacevole opportunità per abbronzarsi, sebbene il risultato sarà un’abbronzatura da muratore, dato che, alla fine, tutti sembrano diventare un po' tali. Il caldo aumenta notevolmente la fatica, rendendo essenziale ricordare ai ragazzi di idratarsi costantemente.

Sul fronte delle riflessioni, il percorso che offriamo ai ragazzi continua e sembra suscitare in loro lo stupore e l'inquietudine necessari per scavare dentro di sé, alla ricerca di risposte e, soprattutto, di nuove domande. Dopo l'invito del primo giorno a chiedersi cosa siamo venuti a cercare, abbiamo proseguito con una riflessione personale alla fine del primo giorno di lavoro. Ogni partecipante è stato invitato a compilare un riquadro suddiviso in quattro rettangoli, dove scrivere ciò che li rende felici, ciò che ha causato loro tristezza o dolore, le loro paure e, infine, i propri desideri. Questi quattro rettangoli rappresentano una figura simbolica del cuore, inteso come la dimensione più profonda e intima di ogni persona, in cui eventi e vissuti si articolano in queste quattro "cavità" che, in qualche modo, arricchiscono l'individuo.

Abbiamo deciso di esplorare ciascuna delle "cavità" iniziando da quella delle gioie. Così, all'inizio del secondo giorno di lavoro, i ragazzi partecipano a una prima "conferenza" in cui proviamo a dare loro delle chiavi di lettura e degli strumenti per riflettere sul proprio essere. Partire dalle "gioie" significa riconoscere che l'animo umano cerca da sempre la felicità, intesa come una pienezza interiore e una pace del cuore. A questo proposito, leggiamo insieme il racconto biblico del giovane ricco, che ha molte somiglianze con i nostri giovani volontari. Nel racconto, il protagonista è un giovane, oltre alla sua giovinezza, noto per la sua grande ricchezza e per essere una persona di buona moralità.

Possiamo considerare questo personaggio come estremamente completo: ricco di tempo per la sua gioventù, ricco di possibilità per la sua condizione economica e ricco umanamente, poiché ha seguito i comandamenti sin da giovane. Nonostante la sua apparente autorevolezza, ciò svanisce quando si rende conto di avere tutto ma decide di rivolgersi a un maestro venuto da un remoto villaggio della Giudea per porre la domanda fondamentale: "Come posso ottenere la vita eterna?" Tradotto nei nostri tempi, questa domanda rappresenta la ricerca di una felicità senza fine, piena e, possiamo dire, infinita.

Una riflessione che emerge da questo è che ogni uomo e donna, in qualsiasi epoca della storia, può ricondurre la propria esistenza alla ricerca di una risposta a questa domanda, alla ricerca di pienezza. Indipendentemente dal momento storico, dal contesto geografico o dalla cultura, nel cuore di ogni essere umano c'è un'incessante domanda di pienezza.

Un'altra riflessione che emerge è quanto questo giovane assomigli a molti di noi, e in particolare ai nostri volontari. Giovane, quindi ricco del tempo che gli resta in questa vita; ricco, inteso come abbondante di possibilità, grazie alla sua condizione agiata, che non solo garantisce tutto il necessario per vivere, ma anche qualche “eccesso”; e ricco di animo, come i nostri ragazzi, che, scegliendo di dedicare il proprio tempo a questa esperienza, dimostrano di non essere persone egoiste, ma piuttosto di avere la voglia di mettersi in gioco e sporcarsi le mani per aiutare gli altri.

Colpisce il fatto che, nonostante abbia tutto ciò che il suo mondo può offrire, questo personaggio si trovi senza risposta alla domanda più cruciale della vita. Pur essendo circondato da ogni comodità e ricchezza, si confronta con la propria interiorità e riconosce che tutto ciò non basta. Avverte una profonda insoddisfazione e un "rumore" interiore che gli indica e che gli dice che tutto ciò non può veramente essere tutto, che tutto ciò non basta a placare la sua fame e sete di infinito, di qualcosa di molto più grande.

Non so quanti di noi abbiano vissuto questa esperienza: avere “tutto” e allo stesso tempo percepire un vuoto, un vuoto che, sebbene positivo, ci ricorda costantemente che nulla di questo mondo—indipendentemente dalle sue bellezze o imperfezioni—potrà mai saziare completamente il cuore dell'uomo e della donna. È come riconoscere che esiste un principio di eternità dentro di noi, un desiderio che nulla di finito in questo mondo potrà mai colmare.

Prendiamo atto che esistono modi per nutrire questa fame interiore. Proprio come ci prendiamo cura della nostra dimensione biologica attraverso una dieta equilibrata, visite mediche regolari e attività fisica, è essenziale nutrire anche la nostra interiorità, che ha fame e sete di significato. Le difficoltà emergono quando, per placare questa fame e sete, ci affidiamo a realtà superficiali e instabili, che spesso lasciano un senso di vuoto e insoddisfazione, lasciandoci affamati e assetati.

È quando affidiamo la nostra felicità al benessere materiale, ai successi o ai beni posseduti - che per carità sono tutte realtà valide - , ma che passano, cambiano e che possono crollare, spesso lasciandoci più vuoti di prima. Al contrario, nutrirci di amore, servizio e virtù non solo può placare in parte la nostra fame e sete, ma può anche accrescerle. Questo non avviene perché restiamo insoddisfatti, ma perché è talmente buono, vero e bello vivere l’amore, il servizio e la virtù, che ne desideriamo sempre di più. Ecco, la sfida principale è riconoscere quali “alimenti” ci lasciano veramente appagati e quali, invece, ci rendono solo più vuoti.

Concludiamo questa riflessione affermando che per vivere una vita piena e autentica, è essenziale vivere secondo chi noi siamo veramente e non conformarci semplicemente alle aspettative del mondo esterno. Solo così possiamo garantire l'autenticità della nostra esistenza. Tuttavia, per essere veramente fedeli a noi stessi, dobbiamo prima conoscerci a fondo e poi amarci. E forse, questa è la sfida più difficile di tutte.

Nella riflessione del terzo giorno, questa volta personale, i ragazzi hanno ricevuto una selezione di testi per approfondire il tema della fame di infinito. Tra questi, abbiamo letto loro un testo di Leopardi, che con le sue parole esplora una realtà profondamente umana. Questo testo ci tocca in modo particolare quando siamo in profondo contatto con la nostra interiorità. “... il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per dir così dalla terra intera, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, la mole e il numero meraviglioso dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio. Immaginarsi il numero dei mondi infiniti e l’universo infinito e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande di siffatto universo, e sempre accusare le cose di insufficienza e nullità, e patire mancamento e vuoto e perciò noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di umiltà che si venga nella natura umana”.

Oltre al testo di Leopardi, abbiamo proposto altri scritti che offrono diverse prospettive sulla ricerca della felicità. Dopo aver letto questi testi, i ragazzi affrontano una serie di domande finalizzate a trasformare le intuizioni offerte dai vari autori in elementi concreti della propria vita. L’obiettivo è che la luce dei testi illumini le loro esperienze personali e aiuti a dare nome e significato a quanto viviamo e che a volte sono difficili da esprimere. Questo spazio di riflessione personale è prezioso, soprattutto in un'epoca in cui è difficile trovare tempo per sé e dedicarsi a domande che, pur senza voler "turbarci" interiormente, mirano a farci vivere con maggiore profondità e a evitare che l'esistenza rimanga superficiale.

Sempre in questo secondo giorno di lavoro, la sera, abbiamo organizzato i primi gruppi di riflessione e di condivisione. I ragazzi sono stati divisi in 10 gruppi: due di ragazzi, che poveri sono solo 18 (o più che poveri, per essere precisi, fortunati!), e 8 gruppi di ragazze, ben 68 in totale. Ogni gruppo è guidato da un membro dello staff, che funge da moderatore e propone domande per approfondire la tematica proposta o semplicemente creare uno spazio di condivisione, dove ognuno possa sentirsi libero di mettersi in gioco e di raccontarsi, raccontarsi a partire dall’esperienza vissuta in questi giorni e dalle riflessioni, che inevitabilmente offrono nuove chiavi di lettura del nostro passato e della persona che siamo oggi.

Nei gruppi, si vive un momento di solidarietà e empatia, uno spazio di libertà in cui si sorride, si piange, ci si racconta e si ascolta. Questo avviene sia con amici di lunga data che con persone che, fino a pochi giorni fa, erano perfetti estranei ma che, condividendo questa esperienza, stanno diventando parte della propria vita e, forse, anche cari amici. Le domande che guidano le riflessioni di gruppo sono: “Dove cerchi la felicità?” e, successivamente, “Cosa ti toglie la felicità?”.

Nella prima domanda, normalmente incontriamo le relazioni e le persone che ci amano, quella rete di affetti che ci sostiene e ci ricorda che siamo amati e che andiamo bene così. La seconda domanda, invece, ci confronta con le sofferenze passate e presenti delle nostre vite. Così, gradualmente, ci avviciniamo alla tematica della prossima conferenza e delle due riflessioni personali previste per il quarto giorno di lavoro. Ma di queste parleremo nel prossimo post!