
La vostra vera missione comincia a casa
Oggi ci concediamo 45 minuti di riposo in più e verso le 9:30 partiamo per benedire le case. La cerimonia dura circa tre ore perché ci sono 30 case da benedire, e Padre Cesar vuole dare il giusto spazio a ogni famiglia. Dopo il segno della croce, chiede alla famiglia se, oltre alla benedizione, desidera pregare per qualcosa o qualcuno in particolare. Tutte le famiglie, senza eccezione, chiedono preghiere per i propri cari, soprattutto per i figli, presenti in 29 delle 30 famiglie, e per la loro salute, spesso precaria a causa delle difficili condizioni di vita. Padre Cesar benedice ogni angolo della casa, sia all'interno che all'esterno. Le famiglie rivolgono parole di ringraziamento ai ragazzi, augurando che tutto il bene che hanno fatto si moltiplichi nelle loro vite.

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Le famiglie chiedono ai ragazzi di non cambiare mai e di mantenere sempre l'atteggiamento di gioia, supporto ai bisognosi, e dedizione al lavoro duro, che hanno dimostrato durante questo tempo insieme. Pregano affinché Dio li benedica, insieme alle loro famiglie.
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Finita la benedizione, ogni famiglia ci saluta con abbracci, qualche lacrima o molte lacrime e qualche festeggiamento. Molte famiglie ci hanno accolto con cibi fritti o torte. Dopo, ci riuniamo tutti attorno alla mensa, dove abbiamo preparato una grigliata in puro stile argentino, con salsicce per gustare i "choripanes", ovvero salsicce nel pane.
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Facciamo la foto di gruppo con lo staff, poi una con tutti i ragazzi, e infine torniamo a casa.


Il pomeriggio è dedicato al passatempo preferito delle missioni: il calcio. Dispiace per le ragazze che non riescono a organizzarsi né per giocare a calcio né per giocare a pallavolo, quindi assistono facendo un tifo potente. Si formano cinque squadre: una composta dagli argentini della zona, una dallo staff di Wecare, una da Roma e due da Milano. I ragazzi delle altre città si uniscono alle squadre di Roma e Milano per rafforzare le formazioni. La prima squadra ad arrivare in finale è quella dello staff, che nei tempi regolamentari pareggia 0-0 contro Roma. Se racconto questo episodio con particolare entusiasmo, è perché, dopo anni di assenza da queste partite per paura di farmi male o di far male a qualcuno, questa volta ho partecipato e ho segnato il goal decisivo nei rigori, portandoci in semifinale. Non sarebbe giusto fermarsi qui, quindi continuiamo: l'altra squadra a raggiungere la finale è una delle squadre di Milano. Alla fine, il torneo viene vinto dallo staff, che batte Milano 2-0. In questa partita, però, non ho partecipato, poiché avevo altri impegni.
Il primo appuntamento di questo tardo pomeriggio si sposta alle 19:00 per dare il giusto tempo ai ragazzi che desideravano giocare a calcio. Alle 19:00 ci incontriamo quindi in auditorium e, dopo aver letto e ascoltato la seguente lettera, i ragazzi devono scrivere una lettera a se stessi. La lettera in questione è questa:
Cari ragazzi,
Sono passate poco meno di due settimane da quando vi siete ritrovati negli aeroporti di Roma e Milano, ma anche Bologna e Londra, la mattina prestissimo pronti per affrontare un viaggio molto lungo, forse più lungo di quanto avevate immaginato, o di quanto sapevate, visto che qualche giorno prima della partenza arrivavano messaggi chiedendo conferma sul giorno del volo, figuriamoci se vi eravate informati prima di dove fosse Posadas. Dopo praticamente due giorni di viaggio, uno in aereo e un altro in pullman, esattamente quello che faremo ora al nostro rientro, siete arrivati qui. Posso immaginare le prime impressioni, che non sono state molto lontane da chi vi aveva preceduto di qualche giorno: un freddo quasi devastante, una casa molto vecchia, stanze minuscole, letti scomodi, materassi sottilissimi, e bagni anni ‘30. Probabilmente, i nostri amici delle stanze 1 e 2, che sono quelli che mi hanno più tartassato prima della partenza per stare insieme, e a nostra insaputa sono finiti nelle stanze più spartane della struttura, sono quelli che hanno avuto l’impatto più grande (ricordo ancora Mezzaroma e Massimo disperati chiedendomi se glielo avevo fatto apposta o per dispetto a sistemarli lì).
E il giorno dopo, dopo una delle notti più fredde degli ultimi anni a Posadas, siamo andati a scaricare, super coperti a causa del freddo, i tre camion con le prime 30 case. Ci siamo dovuti confrontare con le tecniche dei ragazzi di Techo, non abituati a gestire numeri così alti di case e volontari. Con la migliore delle intenzioni, hanno cercato di guidarci su come fare, e siamo stati nutriti, soprattutto per chi di camion li scarica da tanti anni, con una botta di umiltà e ascolto che forse ancora oggi facciamo fatica ad accettare, ma che in fondo fa tanto bene. Ma, c’è anche da dire, che al secondo scarico delle 30 case, le cose sono andate molto diversamente. Abbiamo gestito noi lo scarico e, nonostante il caldo, devastante più del freddo dei primi giorni, abbiamo finito prima del previsto.
Ora stiamo per tornare. Qualcuno non vede l’ora, qualcuno magari si sarebbe fatto qualche giorno in più, altri diranno che potrebbero farne altre settimane. È tutto comprensibile: c’è una normale nostalgia di casa nel cuore di ognuno di noi, quella casa che sta dall’altra parte dell’oceano, ed è comprensibile perché quella stessa nostalgia di casa l’abbiamo nei confronti di questo posto così lontano dalle nostre vite, così spoglio da tutto ciò che riempie le nostre vite quotidiane, ma che, in qualche misterioso modo, un po’ “casa” lo possiamo chiamare. In qualche modo, questa casa vi mancherà. Casa è, o dovrebbe essere, quel luogo sicuro dove possiamo mostrarci nella nostra nudità e vulnerabile, perché ci scopriamo amati profondamente, chiamati per nome, non anonimi, visti, notati, importanti… e dove possiamo amare più liberamente, e questo convento di Fatima, un po’ ci ha garantito tutto ciò.
Tra qualche giorno, chi più chi meno, tornerete alla comodità delle vostre vite privilegiate, piene non soltanto di cose materiali, ma soprattutto di opportunità e di esperienze. Vi ritroverete al mare, in montagna, o in qualche altra meta esotica per un viaggio molto diverso da quanto avete appena vissuto. Tra qualche giorno quanto avete vissuto qui sarà un ricordo, una piccola nostalgia. E questa nostalgia sarà presente ogni volta che, pur avendo tutto, vi mancherà che il vostro tempo abbia un senso, che il vostro tempo si trasformi in un’ opera di bene per qualcun altro, che nel vostro tempo ci sia l’incontro costante con persone così diverse da voi ma che vi hanno voluto bene con ogni singolo gesto, che nel vostro tempo ci sia l’incontro con altri ragazzi che come voi, si sono ritrovati qui per tirare, o almeno tentare, la parte più bella di ognuno di voi.
Tra qualche giorno, tra tutte le comodità e magari qualche eccesso che la vita vi ha offerto, e vi offre in continuazione, vi ritroverete a pensare a queste 30 famiglie che vivevano nel fango, ai bambini pieni di terra in faccia che giocavano con una libertà che i bambini da noi invidierebbero, alle madri rimaste sole, la cui unica forza è l’amore per i loro figli, e ai giovani padri che fanno orari estenuanti pur di portare un pane a casa ogni giorno. Forse, a 15.000 km di distanza, davanti a un magnifico piatto di pasta o una pizza stratosferica, vi tornerà alla mente la famiglia di Noelia, che può mangiare solo a pranzo e a merenda, e solo da lunedì a venerdì grazie alla mensa, e che il sabato e la domenica vanno alla discarica, sia per cercare qualcosa da rivendere, sia per trovare cibo avanzato da qualcuno e poi buttato. Quanto tra qualche settimana da questo giorno vi ritroverete a indossare i vostri bellissimi, e a volte anche costosissimi vestiti, penserete ai piedi scalzi dei tanti bambini, o a quanto ci tenevano ad avere una maglietta di Wecare, anche se sporca di terra e del sudore degli ultimi giorni. Ma tranquilli, non capiterà solo a voi. Mi ritroverò anche io osservando mio figlio che ha tutto, una madre e un padre che lo amano e si amano, penserò ad Angel, Bairon, Nestor, Benicio, Siro, Eric e tutti i bambini di Kirchner e Il Pozo, che vivono nella sporcizia, senza giocatoli, che non possono curarsi adeguatamente, che non mangiano abbastanza, che non possono comprare quaderni o penne, o a cui manca un padre, o a cui un padre ha dato fuoco…
E a questo punto potremo fare due cose. Sentirci profondamente in colpa di avere tutto ciò che è essenziale e anche qualche eccesso, per poi tornare a dare poco valore alle cose senza un vero cambiamento nelle nostre vite… O sentirci profondamente grati, profondamente fortunati, e avere “sete e fame” di sfruttare tutti questi privilegi che abbiamo, che avete. E ancora di più: chiedervi sinceramente come fare per restituire tutto il bene che la vita vi ha dato dal momento in cui siete nati dalla parte “giusta” del mondo. Cosa darai in cambio?
Non so se ci avete fatto caso, ma durante le benedizione delle case, le famiglie non solo vi esprimevano ma loro profonda gratitudine, ma vi auguravano anche che tutto il bene che avete portato in questi giorni vi sia moltiplicato. Si tratta un po’ di questo: restituire con la propria vita e con gratitudine più di quanto abbiamo ricevuto, con altruismo e non con egoismo, evitando di pensare a fini personali che, sebbene possano arricchirci superficialmente, ci impoveriscono nella dimensione che conta di più .
Quanto amore metterai nella tua vita d’ora in poi? Non potete tornare uguali a casa. Ti devi amare, devi amare l’unicità che c’è in te, la tua originalità, ciò che ti distingue dagli altri, sei unico e questa è la tua più grande ricchezza. Non stare a rincorrere modelli di vita che all’apparenza sembrano perfetti e pieni, ma non sono altro che il vuoto più totale. Il fondamento per la tua felicità è iniziare da te, dal conoscerti, amarti, accoglierti. Ti sei sentito amato in quest’esperienza? Te lo sei mai chiesto quanto sei stato amato? Sei stato amato dall’accoglienza delle persone che ti sono state vicine in questo gruppo. Sei stato amato dalla famiglie alle quali hai cambiato la vita. Sei stato amato ogni volta che un bambino ti ha chiamato per nome, anche se tu facevi fatica a ricordare il suo a distanza di pochi giorni o addirittura ore. Sei stato amato quanto ti sei sentito notato e visto. Sei stato amato ogni volta che qualcuno ti ha chiesto come stai. Sei stato amato ogni volta che qualcuno si è interessato alla tua storia e ti ha dato ascolto. Sei stato amato ogni volta che sei stato corretto per poter tirare ciò che di più bello, vero e buono hai in te. Sei stato amato ogni volta che mamma o papà ti hanno chiamato, magari dicendoti che ti amano, e che sono fieri di quanto stai facendo. Sei stato amato ogni volta che qualcuno dello staff ti ha dato importanza, ti ha ascoltato e si è preso cura di te.
E hai pure tanto amato. Hai amato ogni volta che con gentilezza e il sorriso hai fatto un favore a qualcuno. Hai amato ogni volta che pur essendo stanco morto non ti sei arreso a prestare il tuo aiuto. Hai amato ogni volta che non ti sei fermato alle infantili lamentele e hai cercato soluzioni per portare a compimento la nostra missione. Hai amato ogni volta che hai ascoltato qualcuno. Hai amato quando hai dato una mano non dovuta solo per venire incontro a qualche amico in difficoltà. E ti sei amato ogni volta che ti sei preso sul serio, che hai usato tutto il tempo che ti è stato dato per andare dentro di te e vedere che in mezzo a tutto ciò che a volte ti fa sentire solo o sola, inadeguato o inadeguata, ci sono tante altre cose che ti rendono qualcosa di buono, bello, vero e giusto, qualcuno di amabile.
La missione non finisce oggi, né domani quando inizieremo a tornare, né dopodomani quando lasceremo l’Argentina. La vera missione, quella della tua vita, inizia oggi. Perché ognuno di voi è chiamato a dare frutto a partire dalla propria unicità. Ricorda sempre che quello che non fai in vita lascia una sorta di buco nella storia, una mancanza, non tanto per i fatti, chiunque ti può sostituire nei fatti, ma nessuno ti potrà mai sostituire nel come fai le cose e non solo le cose. Ricorda sempre che ci sono persone che solo tu puoi amare, persone che solo tu puoi abbracciare, sguardi di amore che solo tu puoi dare, gesti che solo tu puoi fare, parole che solo tu puoi pronunciare. Là fuori, a casa, nel mondo, ci sono persone che solo tu sei chiamato a entrare nella loro vita e fare una differenza, le cui conseguenze neanche le puoi immaginare oggi. Il bene si moltiplica, se tu fai la tua parte, a partire da chi tu sei, tutto cambierà per il meglio. Spero di cuore che a fine di questo viaggio ognuno di voi possa rispondere, senza paura, alla domanda: Perché è bello essere te? Perché è buono essere te? Perché è vero essere te? Se riesci a rispondere a questa domanda, hai tutte le carte in regola per, amandoti, avere quella vita piena di cui ogni uomo e donna del mondo, a prescindere dalla cultura, epoca o contesto, ha una sete infinita.
E per finire… visto che chiudiamo con la sete infinita. Molti di voi siete alla terza esperienza, un paio alla quarta, qualcuno alla quinta, molti alla seconda, e tanti altri alla prima… e non sappiamo bene come andrà d’ora in poi, se ci rivedremo o meno. Ma una cosa ve la devo dire, anche perché siete più grandi e tutta una serie di scelte nella vita già le avete fatte. Se per un momento capisci di essere come quel giovane ricco del Vangelo, ricco di possessi, ricco di giovinezza, ricco di interiorità, e che pur avendo tutto ciò ti manca qualcosa perché percepisci dentro di te una fame e sete che niente di questo mondo può saziare… non dare la colpa al mondo o agli altri che non ti bastano, e neanche al tuo cuore che vuole sempre di più. Alza gli occhi al cielo piuttosto e dai un’opportunità, ma una opportunità vera a Dio. Dio non è un insieme di teorie o dottrine, di Dio bisogna fare esperienza. Solo, o almeno con me è stato così, l’esperienza di un amore infinito e incondizionato che mi ama da sempre proprio come lo fa Dio, è la garanzia di poter essere così come sono e andare veramente bene. L’approvazione e il valore di chi tu sei o perché vali non la devi trovare negli altri, ma nel fatto che sei infinitamente amato, profondamente amato, senza se e senza ma, perché c’è in te un’opera unica dell’amore di Dio. É veramente bello e buono essere te, ma devi essere tu il primo e la prima a crederci, altrimenti, non verrà mai fuori quella bellezza che racchiude il tuo essere e che in tanti momenti, come la luce che entra in una stanza buia tramite uno spiraglio, è venuta fuori in questa esperienza. È veramente bello essere te. Buon rientro.
Finita la lettura, i ragazzi si mettono comodi uno a uno per scrivere la propria lettera a se stessi. Cercano di riflettere su quanto hanno imparato durante il viaggio, identificando le luci che li hanno guidati. Questo esercizio li aiuta a rivedere in prospettiva il loro passato, con le sue gioie e sofferenze, a comprendere meglio il presente e a proiettarsi con slancio e speranza verso il futuro.
Ci incontriamo alle 20:30 in cappella per la messa finale, dove Padre Cesar ci invita a iniziare la vera missione della nostra vita: costruire la nostra casa, la casa dei nostri affetti, dei nostri sogni e dei nostri desideri, partendo dalla gratitudine. Senza la gratitudine, non si può costruire nulla. Egli ci incoraggia a non sprecare le esperienze vissute in questi giorni, ma a far sì che, nel tempo, possano dare frutti per gli altri. Il dono che abbiamo ricevuto è per essere condiviso.
Dopo la messa, ci aspetta un delizioso pollo al forno con riso, che ricorda un po' i sapori del Perù. Era previsto un pasto in stile argentino, ma le condizioni ancora fragili di alcuni stomaci ci hanno fatto optare per una scelta più prudente. Concludiamo così la serata, salutando Padre Cesar che partirà domattina presto, e preparando le valigie in vista della nostra partenza alle 7:30 verso la nostra prima tappa, Gualeguaychú.
Le 30 case costruite dai ragazzi per le 30 famiglie:

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