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September 13, 2023

Lasciarsi prendere da altre mani

Guendalina Sassoli de Bianchi

Pantaloni rigidi di fango e polvere che, alla mattina, ti aspettano in fondo al letto (basta saltarci dentro e sei pronto ), scorte di autan, antimalaria, un percorso di terra rossa, capanne di fango e bananeti a perdita d’occhio che rimarranno impressi nell’animo per sempre: così ogni mattina 70 ragazzi partono in pullman. Destinazione: la scuola di Kybongo. C’è tanto da fare!

I 70 ragazzi sono i “nostri ”ragazzi , la scuola dove c’è tanto da fare è nella missione di Wecare in Rwanda, un Paese che al solo nominarlo spaventa i più (compresi amici e compagni dei nostri ragazzi), perché l’Africa Nera intimorisce di default, anche se il Rwanda è un paese felice che vive sotto un dittatore stranamente amato dai più.

Da un anno sono il Presidente di Wecare, mi chiamano "Pres.", e quest’anno, per la prima volta, sono andata in Missione in Rwanda coi ragazzi: abbiamo costruito aule, dipinto quelle esistenti e fatto tante altre cose... ma non è di questo che voglio scrivere ora, bensì di quel viaggio ogni mattina in pullman...
Sul ciglio della strada alcune persone ci salutano, composte ma sorridenti, incuriosite da tanti “muzungu” - uomini bianchi - mai visti prima: ho il dubbio che in questa zona rurale del sud ne abbiano mai visto anche solo uno.

E poi ci sono i bambini.
I protagonisti indiscussi di questa storia e di questa esperienza. Cominciano a correrci intorno dalla strada, a gruppi, ridendo e saltando. I nostri ragazzi li guardano interdetti, composti sui loro sedili e mi guardano di sottecchi finché io mi permetto di dire “sicuramente sono felici se li salutate”... È un attimo! Le braccia si sporgono dai finestrini, i bambini corrono per dare un immaginario “five”, l’autista rallenta, sbanda per evitare i più piccoli che si avvicinano troppo e da lì si procede a passo d’uomo perché i più grandi sono riusciti a prendere una mano e non la lasciano più, ai più piccini non resta che correrci accanto fino a che gli autobus non si fermano nello spiazzo davanti alla scuola.

Non so come , ma queste mani dei nostri ragazzi che si tendono con naturalezza a farsi “prendere ” da altre mani – sconosciute e già misteriosamente amiche – è l’imprevisto più bello e pieno di speranza.


Montale, nella sua poesia Prima del viaggio, dopo aver minuziosamente descritto i preparativi per un viaggio e le aspettative ad essi connessi, si chiede – scetticamente – che cosa rimarrà del viaggio temendo che tutto rimarrà come prima... e conclude con questo verso: un imprevisto è la sola speranza. Ecco, questi bambini sono l’imprevisto che non rende vano il viaggio ma lo compie aprendo, per ciascuno dei nostri ragazzi nuovi e inimmaginati sentieri nel proprio animo e chissà, forse per alcuni, nella propria vita.


È questo il tipo di imprevisto per il quale ciascuno di noi “deve” essere Presidente con me, per desiderarlo, cercarlo e prendersi cura.

Immaginate, quindi, questi ventenni, presi d’assalto da centinaia di bambini sotto i 10 anni (in mensa ne abbiamo contati 300), scalzi o con delle sbrindellate ciabattine di plastica, sporchi di polvere - è inevitabile- con dei vestiti fatti dalla mamma con i tessuti tipicamente africani alcuni, altri con magliette e pantaloncini più o meno a pezzi che riportano scritte europee, frutto del nostro mandare gli abiti usati a chi ne ha più bisogno. Potrebbero essere i bambini dei nostri semafori, ma non lo sono. Sorridono, ridono, ti cercano e, specialmente, trasmettono grande gioia.

Nessun momento della giornata prescinde da loro, perché sono ovunque.
Alcuni salgono in braccio e non scendono per ore. La tradizione africana è che dei piccoli si prendano cura i fratelli grandi, che puntualmente compaiono quando c’è un problema, perché sanno di avere la responsabilità dei più piccoli, se li mettono sulle spalle e ripartono. Questi bambini non vivono in braccio alla mamma (come è stato per i miei!) e- per loro - trovarsi in braccio a delle giovani “mamme” e “papà” credo sia un’emozione grande.

Nessuno ha paura, ti seguono, ti prendono la mano, si affidano totalmente.
In pochi minuti i nostri ragazzi si trovano a fare gli intrattenitori, a giocare e a ballare con bambini che non capiscono una parola di quello che dicono, molti non sanno nemmeno dirti il loro nome. Puoi comunicare solo con gli occhi, con il linguaggio del corpo, con un’ empatia che devi trovare velocemente dentro di te, con la tua energia vitale, sapendo per certo solo una cosa: sono lì per te, probabilmente anche tu – per loro - sei l’imprevisto più speciale che sia capitato.

Sono trascorsi pochi giorni; eppure, sembra lontanissimo quel 1° agosto della partenza, quella timidezza di chi conosceva per la prima volta i compagni di viaggio e cercava un altro timido su cui poggiar la spalla, quel naturale timore che aspetta le prime 24 ore per sciogliersi all’evidenza del concetto magico “siamo tutti sulla stessa barca ”, che si fa più chiaro quanto più ci si allontana dalla propria “riva”: quei bambini e quella gioia hanno travolto tutto.

È alla sera che salgono i pensieri accumulati e ignorati durante la giornata, nel silenzio dei patii dell’albergo, seduti sulle sedie di plastica sotto l’unica luce rigorosamente al neon.


Qualcuno mi chiede : “Secondo te quanto sanno del nostro mondo? O anche solo del mondo fuori dal loro bananeto? Oggi uno dei grandi che parlava inglese mi ha detto che il suo sogno è andare a Kigali almeno una volta nella vita. Ma da grandi faranno i coltivatori come i loro genitori? Uno dei ragazzi di 10 anni è davvero più intelligente degli altri, anche di me, e non avrà nemmeno un centesimo delle opportunità che avrò io. Perché? Non è giusto, io cosa posso fare?”

Ascoltandoli mi rendo conto dell’impatto che queste missioni hanno avuto sui miei figli e perché sono voluti tornare tante volte negli ultimi 10 anni. Si entra in contatto con sé stessi, si è catapultati in un mondo che devi affrontare per forza e che scardina tutti i tuoi canoni, i tuoi cliché.


La cosa più straordinaria di questi ragazzi è che non ne vedo crollare nemmeno uno, anzi, giorno dopo giorno sono più felici, si fanno più domande e cercano risposte anche tra di loro.


Il loro Instagram tace... è già ora di posare ai piedi del letto i pantaloni rigidi di fango e polvere, al punto che il giorno dopo devi semplicemente saltarci dentro: vien voglia di non scrollarne nemmeno un granello per trattenere tutto di questa esperienza davvero unica .