
Lo sguardo del "barrio"
Alle ore 7:00 argentine, mezzogiorno in Italia, i componenti dello staff sono fuori dalle stanze dei ragazzi. Non avendo più i telefoni, si torna alle vecchie abitudini: voci umane, nocche sulle porte. Allen7:20 siamo già tutti pronti per la preghiera. Volti assonnati, i primi sorrisi, la voglia di fare colazione. Fuori è ancora buio.
Alle 8:20, si parte, direzione: Autopista Sur (el barrio), il luogo dove costruiremo le case, una delle tappe della nostra missione. Inizia l’esperienza ed è difficile raccontarla, perché le esperienze si vivono. Con le parole si rischia sempre di essere retorici, di scadere nei luoghi comuni, usando frasi già fatte, frasi confezionate, frasi finte.
Divento un cronista per conto dei ragazzi, cerco di ascoltarli, di leggere nei loro occhi ciò che provano, ciò che li lascia senza parole, ciò che li emoziona. La povertà e il degrado sono ovunque, ma la voglia di fare prende il sopravvento e allora inizia lo scarico dei materiali, di tutto ciò che serve per costruire una casa.
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A Tucuman fa freddo, ma se il sole si riesce a fare forza tra le nuvole, ti puoi togliere la felpa e rimanere in maglietta. Lavoriamo insieme passandoci le travi e guardandoci negli occhi. Siamo una grande catena di montaggio, con un cuore e un’anima.
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Abbiamo scaricato il materiale per nove case, incontrato le famiglie e passato del tempo con i bambini, che sembrava non aspettassero altro che intercettare le nostre attenzioni e i nostri sorrisi. C’è un’immagine che non riesco a levarmi dalla testa: due bambini della favelas che, sulla strada in mezzo al fango, hanno lo sguardo rivolto verso il cielo.
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Verso le 17:00 siamo tornati in albergo. Prima di cena i ragazzi si sono presi del tempo per riflettere e per cercare delle risposte alle tante suggestioni che sono state poste loro. Si può dire che è stata una giornata intensa, con tanto lavoro da fare ed emozioni da vivere.
Ora siamo stanchi ma anche grati. Grati verso noi stessi e verso il Signore.
