Maria Rosa. Come una fenice.
Maria Rosa ha occhi vivaci, una voce squillante e un’ironia che riempie la stanza. Basta sentirla parlare una volta per riconoscerla sempre. È una presenza viva all’interno dell’Hub, dove viene ogni giorno da oltre un anno insieme al suo compagno Denis. All’Hub la conoscono tutti e, quando apre bocca, è impossibile non fermarsi ad ascoltarla. “Sono una chiacchierona,” dice ridendo, “ma anche una che sa ascoltare. E se c’è una cosa che non sopporto, è chi tradisce la fiducia.” Ci conosciamo da tempo, ma questa volta ci ha raccontato la sua storia.
Quando le chiediamo una canzone che la rappresenti, risponde senza esitazione: “Le donne amano con tutta l’anima”, di Peppino di Capri. Ce ne canta un pezzo: “Le donne amano con tutta l’anima, ad occhi chiusi stanno lì a sognare, quando promettono, sai, non tradiscono mai, le donne amano e ti perdonano.” Una scelta che la dice lunga: Maria Rosa ama con tutta se stessa, con fedeltà, profondità e senza riserve. E, come ci racconta, spesso è proprio questa generosità ad averle fatto più male.
Nata a Carbognano, un piccolo paese in provincia di Viterbo, è figlia unica di una mamma casalinga e un papà operaio. “I miei genitori mi hanno dato tutto. A casa ero felice. Fuori, invece, era un incubo.” A tre anni iniziano le convulsioni, le cadute, i barcollamenti. E da lì, l’incubo della scuola. Minacce, bullismo, solitudine. “Mi prendevano in giro, mi chiamavano pazza. Ho vissuto otto anni di bullismo continuo. Per questo, finite le medie, ho smesso. Per paura.” A 14 anni lascia la scuola, anche se avrebbe sognato un futuro diverso. “Mi dicevano che ero portata per le lingue. Se avessi potuto studiare, avrei fatto la concierge in un albergo. Perché mi piace sapere tutto degli altri, ma senza mai tradire un segreto. Sono affidabile io, il problema sono sempre stati gli altri”.
Da quel momento resta a casa con i genitori, aiuta la nonna in casa con le pulizie, finché a 21 anni si sposa con un ragazzo di un paese vicino. “Credevo fosse amore,” dice con un sorriso amaro. Dalla loro unione nasce Lucrezia, la figlia che porta ogni giorno nel cuore. Ma il matrimonio si rivela presto un cammino in salita, segnato da tradimenti, accuse e tensioni sempre più insostenibili. Fino a un epilogo tragico: “Dopo 18 anni, mio marito si è tolto la vita. Era ossessionato dalla gelosia, mi accusava di tutto. E io, semplicemente, non ce la facevo più.”
Con Denis, il compagno di oggi, decide di fuggire in Sardegna per tentare un nuovo inizio. Ma anche lì la vita non le dà tregua: perde insieme a lui il lavoro come donna delle pulizie, è costretta a rientrare nel paese natale, si ritrova sommersa dai debiti, la casa viene pignorata, e infine è costretta a separarsi da sua figlia. “Lucrezia è stata affidata a sua zia. Io non avevo abbastanza soldi. E mio marito ha fatto in modo che tutto il paese mi voltasse le spalle. Anche mia figlia non mi ha più parlato. Mi sentivo sola contro il mondo.”
Da un anno e tre mesi Maria Rosa e Denis vivono a Roma, ma senza una casa. “La mia pensione da vedova è di 600 euro. Con quella cifra, o mangi o paghi l’affitto. A un certo punto non siamo più riusciti a fare entrambe le cose.” Così hanno cominciato a dormire per strada. O meglio, sugli autobus notturni. “Ci saliamo e scendiamo tutta la notte. Un po’ su una linea, un po’ su un’altra. I bus partono a mezzanotte e girano fino alle cinque. Le tessere sono le uniche cose che abbiamo. Dormire per strada è pericoloso. Se resti nello stesso posto, qualcuno ti può prendere di mira. A volte danno fuoco alle tende, a volte ti rubano il portafogli. C’è una guerra tra poveri. Sull’autobus, almeno, ci sentiamo più sicuri.” Alle sei del mattino vanno ai bagni pubblici gratuiti della stazione San Pietro, e poi alle 8:15 entrano all’Hub. Lì restano fino alle 15:30. “E poi di nuovo in giro, fino a sera. Alla fine ci fermiamo in un bar vicino a Termini, dove ci regalano i panini avanzati. Così si chiude la giornata.”
All’Hub, però, trovano una pausa. “Qui è casa. Ci sentiamo al sicuro, c’è la doccia, la tv, il pranzo caldo. Di inverno non prendi freddo. Passiamo la giornata insieme ad altre persone, che ormai sono diventate amiche.” Maria Rosa ama la televisione, che definisce “la cosa più sincera che ho trovato nella vita”. All’Hub la guarda spesso, con la stessa curiosità di una studentessa instancabile: “La TV mi ha insegnato più di certi professori. Sono curiosa, mi piace imparare. Amo la storia – soprattutto quella dell’Egitto – la geografia, la fantascienza e i film degli anni ’70 e ’80. E poi mi piacciono le storie delle persone.”Fin da bambina, cercava chi volesse raccontare: “Stavo sempre accanto ai vecchietti che parlavano della guerra. Mi incantavano.”
Ci racconta anche della sua passione per l’arte sacra. Le capita spesso di entrare nelle chiese solo per ammirare le sculture, i dipinti, gli affreschi. “Credo in Dio, ma lo prego a modo mio. A messa non vado quasi mai, ma non perché non voglia… vorrei sentirmi più in ordine, vestita bene, elegante. Mi piacerebbe tanto partecipare alla Messa solenne a Santa Maria Maggiore.”
Maria Rosa ha ancora tanti sogni. Sogna una casa, “perché da lì ricomincia tutto.” Sogna di aprire una birreria piena di giovani, con tanta musica e piena di vita. Sogna un secondo figlio, ma solo quando avrà un tetto. Sogna di ricucire il rapporto con la sua prima figlia, Lucrezia.
“Sono grata ai miei genitori, perché mi hanno dato la vita. E nonostante tutto, io non ho mai perso la speranza di trovare un uomo vero. L’amore è l’unica cosa che mi tiene in vita. Perché senza amore, non si vive.”
E mentre ci guarda, con quello sguardo ostinato, ci lascia con l’immagine che più la rappresenta: “Io sono come la fenice”, ci dice guardandoci dritto negli occhi. “Mi puoi vedere a terra per un periodo. Ma non mi lascio abbattere. Risorgo sempre dalle ceneri.”
Quella di Maria Rosa è una storia che lascia il segno. Ma non è un’eccezione. Ne ascoltiamo tante, all’Hub. Storie di persone comuni, con vite dignitose e “normali”, che a un certo punto si sono trovate sull’orlo del precipizio. A volte basta una separazione, la perdita del lavoro, qualche debito di troppo. A volte è la somma di più ferite: un lutto, una malattia, la solitudine. E all’improvviso, ciò che sembrava impossibile diventa realtà: non riesci più a pagare un affitto, non sai dove passare la notte, ti trovi a vivere per strada. Non perché lo hai scelto, ma perché può capitare. A tutti.
È per questo che ascoltare storie come quella di Maria Rosa è importante. Perché ci ricordano che dietro ogni persona che incontriamo — su un autobus, a un incrocio, all’Hub — c’è una vita. Una vita fatta di sogni, cadute, tentativi, fallimenti, paure e speranze. Una vita che vale la pena ascoltare. E che merita, sempre, la possibilità di ricominciare.