Non è "solo" volontariato ma un’esperienza di vita
Sono 19 gli anni che oggi ci separano dalla nostra prima partenza. Nel 2005 partirono 3 ragazze universitarie, con un’organizzazione praticamente sconosciuta, anzi totalmente sconosciuta, nell’incredulità dei propri genitori, ma probabilmente con lo stesso desiderio che accomuna oggi i quasi 500 giovani che da un paio di anni ogni estate partono con Wecare in diverse parti del mondo.
Negli anni abbiamo capito, dalla testimonianza di chi partiva e da quanto i nostri occhi riuscivano a cogliere, che quanto veniva offerto ai centinaia di giovani in partenza era molto più di una “vacanza” per fare del bene o un semplice, per quanto ricco, viaggio di volontariato. Si presentava così un’esperienza di vita altamente formativa, che richiedeva di mettere da parte molte delle sicurezze dietro le quali tanti adolescenti e giovani, e anche adulti, spesso si nascondono per evitare qualsiasi cosa che possa metterli a disagio o alla prova, e catapultandoli in un'esperienza di lavoro e servizio con un nobile fine: portare un po’ di speranza e sollievo alla vita di centinaia di bambini, famiglie, persone.

È una combinazione di fatica fisica, impatto emotivo, e la possibilità di scavare dentro il proprio cuore insieme a dei coetanei che, in pochi giorni, diventano amici. Amici con cui si può essere veramente trasparenti, quasi “nudi”, ridere, sorridere e piangere insieme… ma soprattutto sorreggersi a vicenda.
È un’esperienza che mette in risalto la ricchezza di ognuno dei partecipanti, lontani dall’omologazione che a volte, piuttosto spesso, la nostra società propone o impone. Si cresce così nella consapevolezza di essere unici, di essere chiamati a qualcosa di grande e bello, e che il posto che ognuno occupa nella storia dell’umanità è insostituibile.

È un insieme di vissuti che sprona a guardare anche le proprie fragilità e debolezze come “luoghi” in cui crescere: perché esse ci ricordano che non siamo perfetti, e che non siamo neanche chiamati a esserlo; ci ricordano che abbiamo bisogno degli altri, quanto gli altri hanno bisogno di noi; ma sono soprattutto possibili crepe tramite le quali può passare un po di luce, luce che illumina e riscalda la propria identità.
È un breve momento della vita in cui si smette di vivere per assecondare i desideri degli altri, le aspettative che sono alla radice di tante ansie e sensi di inadeguatezza tra i giovani, e si vive assecondando i desideri più profondi del cuore: quello di stare insieme, in amicizia, e quello di amare… insieme a quello di essere amati, valorizzati, per quel che si è.

È anche una pausa alla frenesia della propria vita, piena di impegni uno più importante dell’altro, uno più determinante dell’altro per il proprio futuro, come se un’intera esistenza si giocasse nell’acquisizione di qualche abilità e non nel guardarsi, accettarsi e amarsi nella propria unicità.
E così anche in questo inizio di estate del 2024 sono partiti i primi 86 ragazzi, provenienti da diverse città italiane, per donare del tempo, il presente così prezioso perché non torna mai. Un piccolo gruppo in partenza da Roma mentre uno piuttosto numeroso in partenza da Milano. Insieme all’entusiasmo di fare qualcosa di bello, l’euforia di andare dall’altra parte del mondo, ci si convive con le solite “adolescentate”, come indicazioni che entrano da un orecchio e ne escono dall’altro, insomma cose che puntualmente ci fanno sorridere e altre addirittura ridere… e qualcuna forse un po anche arrabbiare.

Non manca chi arriva in aeroporto senza passaporto… e che grazie al largo anticipo con cui diamo appuntamento prima del volo si riesce a risolvere in poco tempo. O ragazzi, o ragazze, che decidono in totale autonomia, una volta atterrati a Lima, di uscire dalla zona delle valigie alla ricerca di un bagno, abbandonando appunto il proprio bagaglio senza poter rientrare a riprenderlo dopo. O chi a poche ore di dover consegnare il cellulare cerca di corrompere uno staff offrendo addirittura 50 euro a settimana se può avere di nascosto il proprio smartphone.
Una volta recuperate le valigie carichiamo i pullman in rigorosa fila italiana, ovvero in un “ammucchio” di persone che si superano a vicende senza molto ordine ne senso pur di essere i primi a caricare il proprio bagaglio e salire sul pullman! Arrivati a “casa”, dopo circa un’ora di traffico limeno, chi più chi meno i nostri ragazzi divorano tutto ciò che ce a portata di mano, senza badare alla visibile fatica che si intravede nei loro volti e occhi! Segue un breve briefing con tre indicazioni precise per la prima serata: la prima sull’abolizione dell’autonomia decisione, ovvero che ogni cosa che vogliono fare va comunicata e coordinata con i responsabili; la seconda sul bere o meno l’acqua dal rubinetto, cosa assolutamente vietata pur di salvaguardarli da passare parecchie ore seduti sul gabinetto; e infine l’importanza, molto grafica nelle sue conseguenze, di non buttare la carta nel cesso. Comunichiamo piano piano le stanze, e mentre si esce dall’auditorio per rivolgersi alla propria stanza si “molla” il proprio cellulare.
Piano piano il cortile di quella che sarà la nostra casa nei prossimi sette giorni si svuota, la stanchezza ha la meglio sui ragazzi, e anche se domani le attività inizieranno un'ora più tarde del solito, noi già sappiamo che la stragrande maggioranza sarà sveglia molto presto in una lotta continua con il jet lag!