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June 14, 2023

Non per la comodità ma per cose straordinarie è fatto l’animo umano

Fernando Lozada

Il cuore di ogni uomo e donna su questo mondo è un mistero, e come mistero rimane, su tantissimi versi, incomprensibile e indecifrabile. Questo però non ci libera dal fatto di porci domande fondamentali, come, così per cominciare, cosa sia l’essere umano e cosa frulli nel suo cuore o quali siano i suoi desideri più profondi.

Il periodo adolescenziale è un periodo del tutto particolare. Si cerca di trovare un posto non tanto a casa, perché a casa tutto ciò che viene detto magicamente non va più bene, non nel senso che effettivamente non vada bene, ma semplicemente non viene ascoltato, e se ascoltato, non viene troppo spesso assecondato. Gli adolescenti hanno bisogno di trovare sé stessi, o meglio di ritrovarsi, nel confronto con i loro coetanei, in prospettiva al mondo dove vivono e dove sono chiamati ad agire e che, in alcuni casi, vivono come sopravvivenza.

La vita dell’adolescente è tosta, anche per quei fortunati (o sfortunati a seconda dal punto di vista) che hanno tutto, a cui non manca niente: e non parliamo solo di cose materiali, più o meno presenti, ma delle opportunità e delle possibilità. Se questo si combina con un mondo che sembra esigere da loro solo la performance e mettere prima il “cosa fai” o “cosa raggiungi” anziché il “chi sei”, e che si caratterizza per il “tutto subito”, credo si crei una bella bomba. Perché quando hai tutto, o ti dicono di aver tutto, e vieni giudicato da quell’ente che si chiama società sulla base di quanto sei performante e di quanto vai veloce, in molti si perdono.

Si perdono nei sensi di colpa, si perdono nei sensi di inadeguatezza, nella paura di non farcela, e si rifugiano in diversi modi. Nel voler sembrare più grandi di quanto in verità siano (con il rischio di bruciare tappe della vita), nel voler sopraffare gli altri, sia a livello fisico che nell’imporsi con il linguaggio. Nel perseguire modelli di vita “irraggiungibili” ma soprattutto vuoti di contenuto vero.

È dura la vita del giovane, perché in tutto questo miscuglio sembra non abbia più maestri, ovvero adulti che con fermezza, soprattutto nel passato, li abbiano indicato una cornice nella vita, in modo da imparare a distinguere tra ciò che è vero, in quanto autentico, e ciò che è falso, tra ciò che è bello e ciò che opacizza questa bellezza, tra ciò che buono e ciò che ci allontana dalla bontà. Maestri adulti appassionati della vita, e che mostrino loro la bellezza del desiderare e dello sperare, e non maestri frustrati o stressati da un ritmo di vita insostenibile.

Ecco, spesso la bellezza del desiderare viene a mancare quando si ha tutto, perché se abbiamo tutto, cosa mai possiamo desiderare? Il “sempre di più” è un movimento impregnato nell’anima umana, che però si caratterizza per portare alla frustrazione quando questo “sempre di più” si realizza falsamente nel possedere cose, o nel potere, invece di portare a un’esperienza di pienezza, a ciò che riempie, quando si gioca, per esempio, nel mettere “sempre di più” amore.

La bellezza dello sperare e dell’attesa invece viene a mancare in una società che pretende tutto subito: e spesso questa dinamica segna anche i diversi ambiti della vita umana quali i rapporti interpersonali, amicizie o amori, il lavoro e la crescita professionale, l’amore per lo studio o una passione, o il portare avanti una missione. Sono tutte realtà fondamentali dell’esistenza umana a cui piano piano si affacciano gli adolescenti, in ordine cronologico ovviamente, e che se vissuti con la fretta del “tutto subito” rischiano di costruirsi quali castelli di sabbia. Al contrario, le cose durevoli hanno bisogno di pazienza, e di mettere ogni tassello non solo nel posto giusto, ma anche nella maniera più salda possibile.

Che c’entra tutto questo con un viaggio dall’altra parte del mondo dove buona parte della giornata sarà spesa in un duro lavoro fisico e in cui ci sarà una forte prova psicologica per l’impatto con una povertà mai vista dove ci sono persone come loro? C’entra tutto, perché l’esperienza di “ritirarsi” lontani da tante certezze, che a volte più che certezze sono veri e propri ostacoli alla sfida con sé stessi, di farlo con un gruppo di loro coetanei, che nei giorni diventeranno anche amici a tutti gli effetti, e che li porterà a portare avanti una missione per trasformare la vita di tante persone, e diventare, per poco e nel poco, salvezza per qualcun altro, gli dice forte che loro non sono la somma delle loro performance, che non devono dimostrare niente, che è bello essere sé stessi e che ognuno di loro è unico, che l’attesa è bella perché fa solo crescere il desiderio, che il loro tempo è prezioso e che con esso possono rendere tutto ciò che c’è di ordinario nella vita, qualcosa di veramente straordinario.

In effetti, l’essere umano, ma direi addirittura soprattutto i giovani, non sono fatti per la comodità, il benessere o il lusso, ma la loro anima brama, a volte nascostamente, per fare della loro vita qualcosa di eroico, di straordinario.

Nelle prossime pagine di questo diario di viaggio si potrà avere uno sguardo su quanto siamo venuti a fare in Perù, Ecuador e Ruanda, con il grande limite degli occhi di chi scrive. Si cercherà un giusto equilibrio tra vissuto interiore e vissuto pratico, nonché qualche aneddoto, perché la vita reale è così, non è un manuale di filosofia come non è un mero esercizio di cose pratiche, ma è un insieme di vissuti che rendono il nostro passo su questa terra qualcosa di meraviglioso e per cui vale la pena di vivere e morire.

Siamo partiti molto presto questa mattina, da Roma alle 4:00 e da Milano alle 5:00. I ragazzi, tutti tra i 14 e i 16 anni, sono 74, anche se oggi sono partiti in 72 perché gli altri due ci raggiungeranno nei prossimi giorni. Noi accompagnatori siamo invece 14. Le sorprese e gli aneddoti non sono mancati, quanto meno non quelli di cui sono venuto a conoscenza o di cui sono stato testimone, come un ragazzo che ha imbarcato letteralmente tutto, nella distrazione, rimanendo unicamente con il passaporto e la carta di imbarco in mano. O una ragazza che a pochi metri da aver superato i controlli ha abbandonato le sue carte di imbarco, ritrovate da uno dei ragazzi dello staff. L’arrivo a Madrid è stato caratterizzato da un’invasione di massa al McDonalds: le patatine fritte delle 10:00 e gli hamburger belli grassosi e odoranti sono stati i pasti più amati. Non avevo mai visto il jamon iberico prendere cosi tanti “pali”. E poi la cosa più classica delle classiche, il ritardo della nostra partenza sia per il cattivo tempo sia perché i ragazzi del gruppo avevano pensato bene di sedersi dove gli pareva, come se fossero alla metro o su un autobus qualunque, o forse pensando che l’aereo fosse tutto nostro… e quindi dopo pochi minuti di stare a bordo ecco che li vedi da una parte all’altra dell’aereo con i loro zaini saltando da un sedile all’altro alla ricerca del giusto compromesso con le hostess spagnole un po’ scocciate, che non si caraterizzano per la loro tenerezza.

Arrivati a Lima abbiamo fatto il controllo dei passaporti, aspettato circa un’oretta finché tutti recuperassero la propria valigia, e finalmente siamo partiti verso la casa de retiro San Agustin, al sud della città di Lima. Arrivati lì abbiamo mangiato, e brevemente prima di dormire abbiamo fatto un briefing, per ritirare a tutti, o almeno speriamo, i cellulari, e per dare qualche indicazione per questa prima notte.