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Non si butta via niente della nostra vita
Riprendere il ritmo non è mai semplice, anche quando la pausa è stata breve. Ieri è stata una giornata intensa: sveglia alle 4 del mattino e partenza per Iguazú, per lasciarci stupire dalla potenza della natura. Cinque ore di pullman, con una breve sosta, e poi via per una lunga “passeggiata” interrotta solo da una pausa pranzo di 90 minuti, fino alle 17, quando abbiamo iniziato il rientro. Alle 22:30 siamo finalmente arrivati a Posadas, e verso le 23:30 quasi tutti dormivano già. Una giornata bellissima e impegnativa… o solo faticosa, dipende dall’umore dei ragazzi!
E oggi tocca riprendere il ritmo, sia del nostro viaggio esteriore, ma anche di quello interiore. È la giornata dello scarico: un intero camion ci aspetta, carico dei moduli per le seconde otto case. Stavolta lo sforzo è un po’ più leggero, visto che i pilotes, le fondamenta di tutte e 16 le case, erano già stati distribuiti durante il primo scarico. Oggi ci “basta” scaricare e sistemare pareti, travi, lamiere e altro materiale più piccolo, casa per casa.

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E riprende anche, da dove l’avevamo lasciato, il nostro viaggio interiore, quel percorso del cuore, come alcuni di noi lo chiamano. Eravamo rimasti lì, nel dolore, dentro il paradigma del male, nel confronto con il nostro limite e con la nostra umanità: quella tensione costante tra il desiderio di infinito e la realtà della nostra fragilità. Siamo finiti nel tempo, perché un giorno moriremo; finiti nel corpo, perché non possiamo tutto; finiti anche nella nostra tensione alla perfezione, perché, pur attratti dal vero, dal buono e dal bello, ci troviamo spesso a fare scelte che non corrispondono a ciò che siamo davvero. Scelte che non esprimono la parte più autentica, e forse più bella, di noi stessi. Così ci capita di fare il male tanto quanto di subirlo, di ferire quanto di essere feriti.
Riprendiamo il nostro cammino con un terzo momento di riflessione personale: il dolore e la sofferenza di ciascuno di noi. A partire dai testi che ci accompagnano, ogni ragazzo è invitato, nell’intimità del proprio “diario di viaggio”, ad addentrarsi nel mistero del proprio dolore, quello passato che ancora oggi fa sentire la sua presenza, e quello presente che, in qualche modo, continua a intrecciarsi con la propria vita. Dare un nome al male che ci abita, a quei pensieri, emozioni e sentimenti che, spesso senza accorgercene, condizionano le nostre scelte e, ancor più profondamente, il modo in cui guardiamo noi stessi: ciò che crediamo di essere, di poter fare, e persino ciò che pensiamo di meritare.
L’esortazione più importante, almeno per me, è ricordare che nulla della nostra vita va buttato via. Nemmeno ciò che ci ha fatto più male, nemmeno le ferite ancora aperte. Tutto ha un senso, tutto può servirci, anche se oggi non riusciamo a comprenderlo. Fa parte di un disegno più grande. Nulla va scartato, perché proprio ciò che ci ha ferito, se accolto, accompagnato, sostenuto da una compagnia e da un amore vero, può trasformare il nostro cuore. Non da solo, ma insieme a qualcun altro, può diventare qualcosa di più profondo e più bello. Ma per iniziare questo cammino serve il coraggio di dare un nome a ciò che ci abita, di guardarlo in faccia. E soprattutto: di non vergognarsene. Di non nasconderlo.
Partiamo puntuali alle 9:15, ma al nostro arrivo, alle 10, del camion ancora nessuna traccia. C’è stato un problema e ci dicono che ci sarà un ritardo. Dopo qualche minuto di attesa, i ragazzi ci chiedono se possono andare a trovare le loro famiglie “vecchie” e per noi va benissimo. Perché non è scontato, ed è bello vedere questo desiderio di rincontrarsi, di rivedere come stanno vivendo oggi, nelle nuove casette. Entrare e trovare le famiglie già dentro, con qualche vecchio mobile sistemato alla meglio e un letto un po’ sfondato, ci commuove. In quella semplicità loro trovano gioia, quella gioia e quella serenità che spesso a noi mancano, pur avendo tutto, e molto più di quanto ci servirebbe davvero per vivere una vita comoda.
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Verso le 10:40 finalmente arriva il camion. Non serve dire molto: in un attimo tutti i ragazzi sono pronti per iniziare la giornata di scarico. Il sole è implacabile, e anche se il meteo segna 26 gradi, la sensazione è di almeno 38: sotto il sole sembra di bruciarsi, tanto è intenso. Per questo, più volte ricordiamo ai ragazzi di bere e di prendersi delle pause all’ombra. Il lavoro dei ragazzi è, ancora una volta, eccezionale. Sono un po’ più distratti del solito, forse per il poco sonno della giornata precedente, forse per la stanchezza, il sole che picchia forte, o la fatica di scaricare il camion. Probabilmente è un po’ tutto insieme. Eppure portano a termine tutto in tempo record.

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Dopo una pausa pranzo di circa 45 minuti, a base di choripán, alle 15:15 hanno già finito di distribuire correttamente tutti i moduli delle case.
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Alle 15:30 ci raduniamo per comunicare ai ragazzi la composizione delle squadre di costruzione per questa settimana e per chiamare, una a una, le famiglie beneficiarie. Molti volti sono ormai familiari: i ragazzi hanno già giocato con i bambini nei giorni precedenti, e alcuni di loro hanno già scelto i loro “preferiti”, quindi non fanno troppa fatica a indicare la squadra che vorrebbero per costruire la loro casetta. Così, una a una, le squadre vengono scelte e accompagnate dalle famiglie fino al terreno dove sorgerà la nuova abitazione.
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Alle 16:15 rientriamo a casa, prima del previsto: i ragazzi sono entusiasti all’idea di avere più tempo per giocare a calcio, mentre le ragazze ne approfittano per una doccia con capelli. Alle 19:00 partecipiamo alla Santa Messa, e alle 20:00 è l’ora della cena. La grande sorpresa per tutti è la presenza di quattro torte per festeggiare il compleanno di Matteo, del nostro staff. In realtà il compleanno era ieri, ma tra partenze e scarichi sarebbe stato difficile festeggiarlo come si deve. Dopo il briefing delle 21:00 in cui comunichiamo alcuni aspetti pratici di questi giorni, i ragazzi creano i soliti gruppi : c’è chi gioca a carte, chi chiacchiera, chi semplicemente si gode il tempo insieme.