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July 5, 2023

Ogni nostra ferita può diventare qualcosa di prezioso grazie all’amore

Fernando Lozada

Questa mattina diamo inizio al terzo blocco delle riflessioni, quella che ha come tematica la sofferenza. In ogni viaggio questa tematica, insieme alla quarta, è una delle più sentite poiché ci sono tante ma tante situazioni in cui i ragazzi e le ragazze si ritrovano. 

Le idee fondamentali di questa tematica è prendere consapevolezza che la sofferenza, insieme a tutti i suoi “derivati” (ferite, la morte, la malattia, l’invecchiare), è una presenza costante nella vita dell’essere umano. Non esiste nessuno che non abbia avuto a che fare, o quanto meno non ne abbia fatto esperienza, anche se fosse indiretta. Ci sono poi delle sofferenze più legate alla dimensione corporea della nostra vita, come le malattie o la morte stessa. E ci sono quelle che hanno più a che fare con la nostra dimensione interiore quali la noia, o la mancanza di senso, e la solitudine, come mancanza di comunione. E per gli adolescenti queste due realtà sono pane quotidiano: l’esperienza che quanto fanno non ha un senso, o quanto meno uno che a loro convinca; e quella di sentirsi soli pur essendo sempre circondati da persone. 

Il messaggio centrale però è quello di vedere le nostre sofferenze come possibilità: di crescita, di maturità, di diventare più sensibili, più empatici, più saggi, ma soprattutto di essere un giorno quella persona di cui noi avevamo bisogno quando stavamo in una situazione di difficoltà. Ogni nostra ferita può diventare qualcosa di prezioso grazie all’amore, grazie a chi ci sta accanto, come la ferita provocata dal granello di sabbia nella conchiglia che poi diventa un perla. Che ogni nostra ferita ci rende solo più preziosi, come le linee d’oro che uniscono i pezzi rotti nei vasi nell’arte del kintsugi, che è un invito a non buttare ciò che è rotto o crepato, come tante volte ci capita di fare con le relazioni, ma cercare di tornare al primo amore, al perché di quei rapporti. 

Infine vedere nelle sofferenze e nelle ferite come la possibilità di alzare lo sguardo e nel chiedere aiuto, renderci conto che non siamo mai soli, che abbiamo bisogno degli altri e che quando gli altri non bastano, non perché cattivi o incapaci ma solo perché limitati e fragili come noi, forse si fa spazio nella nostra vita anche a Dio, quale Padre amorevole.

Il lavoro va avanti alla grande. E verso quasi le 14:00 possiamo dire di aver finito tutto. Le scale, lunghissime, le tribune, enormi, e il gigantesco campo da calcio. Da sopra è imponente, e rende fieri i ragazzi. Gruppo per gruppo li portiamo in alto sulla Croce che governa la montagna. Da lì si vede bene la separazione dal muro dalla Lima residenziale e bella, dall'ammasso di case che è Pamplona alta.

Dopo il bis del pranzo i ragazzi partono nelle varie case nella loro penultima giornata presso i loro, ormai, amici. 

Torniamo a casa verso le 18:30, appena in tempo per una doccia veloce e poi andare a messa, che oggi è alle 19:00. Dopo aver mangiato e dopo aver festeggiato Federico, che oggi ha fatto 17 anni, le ragazze si riuniscono tutte in auditorio. 

Qui devo essere molto sincero, perché non so bene cosa dire alle ragazze. E comincio a braccio, e credo sia venuto un bel discorso su quanto loro abbiano la capacità e la forza di operare veri miracoli nella vita di noi uomini. E che come con i ragazzi, anche loro hanno tutta una serie di cose in comune che sono molto più profonde e importanti di quanto siano le magari centinaia di cose diverse. E dopo aver fatto l’esercizio del giorno precedente questo è chiarissimo. Credo che a fine esercizio le ragazze sanno di non essere sole, e sanno soprattutto che basta una parola per ritrovarsi circondate da altre ragazze che come loro soffrono le stesse cose, ma soprattutto sono l'una per l’altra consolazione fatta di parole, gesti, abbracci e baci