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September 3, 2025

Oltre la stanchezza, con il cuore pieno

Sveva Coda Nunziante

Questa mattina, sull’onda degli ultimi giorni, la stanchezza negli occhi dei ragazzi era ancora più evidente. Ma, nonostante ciò, non si spegne mai quel sorriso e quell’attenzione che sono sempre pronti a donare al lavoro e ai bambini.

Oggi, appena arrivati, li abbiamo divisi in piccoli gruppi e portati alle risaie che circondano la scuola di Kibaya: distese ordinate di quadrati verdi, dove le giovani piantine di riso crescono immerse nell’acqua. Un paesaggio quasi irreale, pieno di colore e di una pace difficile da trovare altrove. Uno dei maestri, Diogene, ci ha raccontato che il riso è uno dei prodotti più coltivati in Ruanda, fondamentale per l’economia e la vita di tutti, e ci ha spiegato in poche parole il processo che va dalla semina alla raccolta. I ragazzi ascoltavano con attenzione, come sempre accade quando scoprono nuove curiosità su questo Paese che, giorno dopo giorno, sta conquistando un posto speciale nei loro cuori. Un po’ come quando i bambini insegnano loro una nuova parola o quando il preside racconta di come funziona il sistema scolastico locale.

Oggi, complice la velocità e l’efficacia con cui hanno portato avanti il lavoro, si sono concessi ritmi leggermente più tranquilli: qualche pausa in più, qualche momento di svago per non consumare troppo in fretta le poche energie rimaste. Anche le partite di pallavolo, solitamente molto animate, sono state meno frequenti: segno che i ragazzi hanno dato il massimo e che ogni goccia di forza spesa è stata per un obiettivo comune. E noi non possiamo che ringraziarli dal profondo del cuore: non solo per aver costruito i bagni, ma per l’attenzione, la determinazione e l’empatia dimostrate verso i bambini e tutto lo staff della scuola.

Le aule, ormai esplose di colori, hanno preso nuova vita. Mentre sistemiamo gli ultimi dettagli, i maestri passano a curiosare, con gli occhi colmi di gratitudine: ci raccontano quanto sia importante per i bambini studiare in uno spazio allegro, con scritte e disegni che li aiutino a imparare parole, numeri e concetti nuovi.

Dopo pranzo, il solito riposino rigenerante: tutti insieme, felpe e cappelli calati sugli occhi, e mezz’ora di silenzio per ricaricare le energie. Poi si riparte, perché, anche se le batterie sono scariche, hanno promesso di finire il lavoro… e sanno che lo faranno.

La sera, dopo un po’ di riposo, si va a cena. Ormai da qualche giorno condividiamo il pasto con tre giovani ballerini locali, conosciuti quando erano venuti a fare una performance per noi. Ragazzi pieni di talento e sorrisi, che però ci hanno confidato di avere spesso difficoltà a mettere un piatto in tavola. E i nostri volontari li hanno accolti come vecchi amici: li fanno sentire a casa, consapevoli che chiedere aiuto non è mai facile, soprattutto in una realtà così diversa dalla propria.

Dopo cena, ultimi gruppi di riflessione del viaggio: si parla di amore, dell’amare gli altri ma anche di amare sé stessi. Il gruppo diventa una lente nuova attraverso cui guardare la propria vita: ci si accorge che non si è soli nelle difficoltà, che tanti vivono la stessa fatica di accettarsi. Condividere esperienze e piccole strategie diventa un modo per sentirsi più leggeri e, forse, un po’ più liberi.

E mentre la notte scende su Kibaya, ci rendiamo conto che il vero cambiamento non è solo nei muri colorati delle aule o nei bagni appena costruiti… ma negli occhi di chi tornerà a casa con un cuore più grande di quando è partito.