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July 5, 2024

Oltre le difficoltà: l'amore incondizionato di una nonna

Fernando Lozada

La giornata di oggi inizia come tutte le altre, ma un piccolo gruppo di ragazzi è stato svegliato prima per aver fatto un piccolo scherzo, non di cattivo gusto, ma leggermente fuori posto, la sera precedente. Così, vengono svegliati un po' prima per fare un po’ di attività fisica con lo staff. Alla fine, più che una punizione, al di là della rinuncia a qualche prezioso minuto di sonno, diventa soprattutto un momento per stare insieme, ridere, e lamentarsi in amicizia, ritornando più forti di prima.

Oggi dovrebbe essere l’ultima giornata di lavoro. Infatti, ci organizziamo affinché sia così. I lavori nel cantiere sopra sono quasi finiti, quindi un'intera squadra di 12 ragazzi con il loro staff di riferimento si unisce alle 4 squadre già presenti nel cantiere di sotto. Ci manca solo l’ultimo quinto del campetto, che è più grande di quello sopra.

Sono già arrivate anche le porte, che sistemeremo durante la mattinata, insieme ai pali per le reti, che mettiamo per evitare che i palloni finiscano troppo lontano dal campo. Si lavora duro, ma oggi è una giornata migliore delle precedenti: esce persino il sole. È anche l'ultimo giorno in cui i ragazzi visitano i vari centri nel pomeriggio, perché domani dedicheremo la giornata alle rifiniture, all'inaugurazione e benedizione dei campi, e poi a trascorrere del tempo con le persone del posto, con un torneo finale di pallavolo e calcetto.

Oggi, con alcuni ragazzi, visitiamo alcune delle famiglie beneficiarie perché, mentre si lavora, c’è il rischio di perdere di vista il motivo per cui si fanno le cose. I progetti, come diciamo sempre, hanno come fine ultimo le persone, che in questi giorni è difficile vedere perché, durante la settimana i bambini sono a scuola, com’è giusto che sia, e gli adulti lavorano.

Ci colpisce particolarmente la storia della signora Alicia, una nonna di 56 anni che vive con sua figlia e i suoi due nipoti. È originaria di Huancavelica, una città delle montagne peruviane, ed è arrivata a Lima vent’anni fa in cerca di condizioni di vita migliori. È arrivata con sua figlia, che negli anni ha avuto due bambini, un maschio e una femmina. Hanno iniziato dal nulla e, anche se sono passati vent'anni, le promesse della capitale si sono rivelate ingannevoli. La loro qualità di vita, sebbene migliorata, non è ancora dignitosa.

Oggi non vivono più in una sorta di tenda o accampamento come prima, a diretto contatto con la terra. Sono riusciti a comprare un terreno e a costruire una struttura in cemento e mattoni, anche se molto rudimentale e senza rifiniture. Tuttavia, vivono alla giornata.

La figlia parte alle sei del mattino e lavora come domestica in una casa dei quartieri benestanti di Lima, tornando alle 20:30-21:00 di sera. Questo orario le impedisce di dedicare tempo ai suoi figli, che al suo rientro stanno già dormendo. Anche se non dormissero, la fatica del lavoro, molto attivo e faticoso, la costringerebbe comunque a riposarsi.

Quindi, campano solo con questo stipendio. La nonna, oltre che cucire qualche maglione, non riesce a lavorare perché soffre di dolori muscolari e non ha le risorse per farsi curare. Il figlio maggiore, per fortuna, continua ad andare a scuola; ha 15 anni e gli mancano due anni per finire. Sperano tanto che possa andare all’università.

La più piccola, che ha cinque anni, anche se sembra ne abbia molti di più, soffre di epilessia da quando ne aveva due. Questo ha compromesso il suo sviluppo motorio e del linguaggio, rendendole difficile camminare e parlare correttamente.

Cogliamo il dramma di questa famiglia nel pianto della nonna, che vorrebbe almeno vedere sua nipote camminare bene, avere una motricità normale, e soprattutto le piacerebbe poterla vedere studiare. Purtroppo, a scuola non possono accoglierla a causa dell'epilessia, che richiede un trattamento per il quale non hanno le risorse.

Per loro, ogni giorno è una lotta. Una lotta contro il freddo, l’esposizione alle malattie, e la mancanza di un'alimentazione adeguata che servirebbe a rafforzare il sistema immunitario.

Insomma, ci sono tante cose che ci sfuggono della povertà, cose che ci sfuggono e che si "nascondono" dietro ai sorrisi di queste persone che ci accolgono ogni giorno, grate per la nostra presenza e per quello che stiamo facendo.

Questa signora di 56 anni lo dimostra e, nonostante le sue difficoltà quotidiane, riesce a rivolgerci parole di affetto e stima. Vede nei campi sportivi che stiamo costruendo una possibilità di distrazione, ma anche un modo per tenere lontani dalla strada molti dei loro bambini, che altrimenti non avrebbero un posto sicuro dove stare insieme e rischierebbero di finire in “brutti giri”.

Nel pomeriggio salutiamo i vari centri che abbiamo visitato in questi giorni. Siamo praticamente a metà del viaggio e il tempo vola incredibilmente. L’accoglienza è sempre calorosa e i saluti sono sempre tosti, specialmente per alcuni ragazzi, sia nostri che dei vari centri. In molte situazioni, si creano dei piccoli legami e, tra promesse di rivedersi, che sappiamo bene non necessariamente saranno mantenute, ci si saluta con un abbraccio e un pianto finale.

C'è la certezza di aver fatto qualcosa di bello e utile in questi giorni, lasciando un piccolo segno, una piccola testimonianza di affetto, che spesso è ciò di cui le persone hanno più bisogno. Ciò di cui abbiamo tutti bisogno.

Tornati a casa, i ragazzi giocano a calcio come sempre. Devo dire che i maschi del gruppo hanno legato molto tra loro, ed è una cosa davvero bella. Non voglio cantare vittoria, ma grazie a Dio non ci sono stati litigi. Credo che il calcio abbia unito profondamente questi ragazzi, e non ci sono ancora state rivalità tra le città, a differenza di qualche anno fa. I ragazzi si sono mostrati molto amichevoli tra di loro, il che è un ottimo fondamento per quando dovremo lavorare insieme e scaricare i camion nei prossimi giorni.

Le ragazze, invece, girano per lo più in piccoli gruppi: appena arrivano, si lavano, si preparano e si organizzano per la prossima attività. I maschi, invece, cercano di giocare a calcio fino all'ultimo secondo disponibile. Noi speriamo che tutti loro si lavino, anche se non è affatto garantito, però ce lo aspettiamo dato che passano la giornata tra polvere e cemento e la chiudono con una bella dose di sudore.

Quindi, come attività finale della giornata, è prevista la nostra terza riflessione di gruppo, una sorta di conferenza in cui affrontiamo un tema abbastanza difficile. Prendiamo in esame una ferita, ovvero quella delle sofferenze relazionali, e analizziamo come queste lascino in noi una traccia profonda. Spesso, questa traccia si traduce in un pensiero indesiderato, che emerge lentamente e che viviamo come ansia o senso di colpa: la sensazione di non essere all’altezza. Queste sofferenze si trasformano in paure: la paura di rimanere soli, di deludere, di non essere amati.

La cosa più faticosa, senza fare un lungo excursus su tutto ciò che abbiamo discusso questa sera, è uscire dalla dinamica del dare per ricevere, dalla percezione degli atti d'amore come una merce di scambio. Colpisce quanto sia presente nei dialoghi di gruppo l'esperienza interiore di sentire il dovere di essere bravi, giusti, buoni, obbedienti, i “migliori”, per non deludere gli altri.

Specialmente a questa età, i genitori pensano che gli adolescenti non li considerino, ma in realtà gran parte delle loro sofferenze sono legate alla relazione con i genitori e alle aspettative che essi hanno su di loro.

In questi giorni ho visto nei gruppi più piccoli che il 99% dei ragazzi viene con l'idea che per essere amati e far sentire orgogliosi i propri genitori, devono essere i migliori: bravi a scuola, eccellenti nello sport e nel sapere quello che studieranno nel futuro. È un equilibrio delicato, perché pur cercando di rassicurare i ragazzi che è normale che i genitori li spronino, l'importante non è tanto essere i migliori quanto dare il massimo, a seconda delle proprie possibilità e magari anche superando i propri limiti.

Però l'amore, l'esperienza dell'amore di un genitore verso un figlio, sono sicuro che non si basa su voti o risultati agonistici, né su ciò che i ragazzi raggiungono all'università. Per loro, uscire da questa logica è molto difficile. Vivono spesso con un senso di colpa per aver ricevuto tanto, e talvolta si rendono conto che delle loro piccole azioni possono ferire o deludere i propri genitori, anche se involontariamente. C'è la tendenza, nei ragazzi, ad assolutizzare e a dare troppo peso alle reazioni dei propri genitori, credendo che qualsiasi errore possa mettere a rischio la loro stima e il loro amore.  

L'amore non è qualcosa che si guadagna, perché l'amore è gratuito e va oltre un calcolo del tipo "tu hai fatto tot, quindi ricevi tot". È qualcosa di profondo e incondizionato, che va al di là di qualsiasi somma o moltiplicazione.

Chiudiamo la serata con il solito cenone, in un ambiente di gioia e amicizia con tutti i ragazzi.