Quando tutto manca capiamo cosa è veramente essenziale
Mentre da due giorni il terzultimo gruppo estivo di Wecare – questa volta composto da una cinquantina di ragazzi tutti maggiorenni – si trova in Argentina per costruire 18 case, oggi, ultimo giorno di luglio, parte il nostro penultimo gruppo. Siamo in 42: 37 volontari, di cui 3 che ci raggiungeranno sabato, e, 5 membri dello staff.
La nostra destinazione è Assamba Assi, un villaggio a tutti gli effetti, a soli 80 km a est di Yaoundé, la capitale del Camerun, ma che richiede circa tre ore di macchina a causa delle condizioni delle strade che attraversano quella che possiamo definire, a tutti gli effetti, giungla.
È l’esperienza più tosta di Wecare: più spartana, più nuda, priva di tutto ciò che, per noi, è comodità e – spesso – di molte cose che consideriamo essenziali e che effettivamente lo sono! Lavoreremo all’interno di una scuola, dove da tre anni, in collaborazione con Lemanik, stiamo costruendo un dormitorio affinché i bambini della zona possano frequentare le lezioni senza dover affrontare, ogni giorno, dai 6 ai 15 km a piedi per andare e tornare. Il dormitorio è composto da tre edifici: un’area comune con cucina e refettorio e uffici, un’area per i maschi e una per le femmine. Essendo estate e non essendoci le lezioni, i dormitori sono a nostra disposizione. Tuttavia, mentre quello femminile è già stato completato ed è davvero bello, quello maschile è ancora un “work in progress”... Ma torniamo all’Italia.
Sappiamo già in partenza che saranno 10 giorni intensi e lenti, non solo per il ritmo africano, ma anche perché tutto si svolge nello stesso luogo. Abbiamo chiesto ai ragazzi di portare tonno, olio e qualche classica “porcheria” per portare un po’ di gioia ai pasti, che saranno cucinati da noi con gli ingredienti disponibili in Camerun.
Già alla partenza si presentano i primi intoppi: uno dei ragazzi perde il passaporto due giorni prima. Fortunatamente riesce ad ottenerne uno d’emergenza, ma resta l’incognita: lo faranno salire sull’aereo, dato che il visto è stato emesso con il vecchio documento? Un altro ragazzo scopre, proprio al momento del check-in, che sul visto manca una cifra del numero del passaporto. Inizialmente non li vogliono far partire, ma dopo qualche telefonata da parte dei genitori e del personale dell’aeroporto, li fanno salire last minute.
A Milano, invece, un ragazzo si presenta con la sola carta d’identità, pensando erroneamente di poter partire così. Per fortuna riesce a tornare a casa e recuperare il passaporto in tempo. Voliamo quindi da Roma, Milano e anche una ragazza da Bologna. Atterriamo tutti a Istanbul alle 14:25 ora locale.
Il gruppo è finalmente al completo! Ci si riconosce e conosce al gate E4. Molti di loro hanno già vissuto più viaggi con Wecare, alcuni anche quattro di fila, e tra le veterane c’è una ragazza con sei missioni alle spalle. Sono 17 ragazze e 20 ragazzi, e già al primo sguardo si percepisce che sarà un bel gruppo.
Il volo procede normalmente. I ragazzi esultano nel vedere che ci sono gli schermi (erano preoccupati che l’aereo fosse troppo piccolo per averli: 6 sedili per fila). Il volo dura 6 ore e 40 minuti. Per alcuni vola, per altri è lento. Atterriamo a Yaoundé poco dopo mezzanotte.
I controlli sono tre, tutti rigorosamente con ritmi africani: controllo del vaccino per la febbre gialla, conversione del visto elettronico in cartaceo, controllo passaporti. In questa fase scopriamo altri tre errori nei visti: due ragazzi hanno dimenticato l’ultimo numero del passaporto e uno ha inserito quello della carta d’identità. Fortunatamente li fanno entrare, ma dovranno rifare il visto per poter uscire.
Attendiamo con una certa euforia le valigie. Ma le valigie non arrivano. Nessuno dei passeggeri trova la propria. Le uniche valigie presenti sono... di un volo di due giorni fa! E il cattivo odore di una valigia rossa, ormai al quinto giro, conferma la teoria. Un addetto alla sicurezza ci liquida con un secco: “You’re in Yaoundé, sir. Ask Istanbul.”
Ci mettiamo in fila per denunciare lo smarrimento. Non si può fare una denuncia di gruppo, quindi ci mettiamo comodi. Iniziamo all’1:30, finiamo alle 4. Ma il mood è sorprendentemente positivo: i ragazzi cantano, ridono, Elena suona la chitarra, si fanno video e foto. Sanno bene che basta poco per stare bene, anche in queste condizioni.
Fuori ci accoglie Filippo con acqua e qualche snack. Saliamo sul pullman con i soli zaini, e quasi tutti crollano dal sonno. Alle 6:30 ci fermiamo in mezzo alla giungla: la strada è impraticabile. Scendiamo a 8, 12 o forse 15 km dal villaggio (nessuno è d’accordo sulla distanza). Arrivano mezzi di fortuna che ci trasportano a gruppi. Alle 10:15 arriva l’ultima macchina con gli ultimi cinque.
Appena arrivati alla scuola, invece di dormire, i ragazzi giocano a calcio e le ragazze intrattengono i bambini. Alle 10:45 è pronta la colazione: ananas in quantità industriali, caffè, latte, pane e uova strapazzate. Non ci possiamo lamentare.

Presentiamo la missione: i ragazzi sono esperti, quindi bastano poche parole. Ricordiamo loro che questo viaggio ha numeri più piccoli e che tutto ruota attorno all’amicizia. L’amicizia come strumento per conoscersi, per accogliere la propria unicità e come forza che nutre anche il volontariato.
Motiviamo i ragazzi ad andare oltre la disavventura delle valigie: nonostante tutto, anche in queste condizioni, abbiamo più di quanto possieda ognuno dei bambini a cui stiamo donando il nostro tempo.
Vista la situazione dei dormitori, decidiamo di dividere quello femminile: una parte per le ragazze, una per i ragazzi. Prepariamo gli spazi e finalmente ci concediamo un meritato riposo. Chi più chi meno, crolliamo per un’ora e mezza, due. Sono passate oltre 24 ore da quando siamo partiti.
Alle 12:30 creiamo un “delta team” per la cucina. La fortuna ci assiste: un ragazzo ha il tonno nello zaino a mano, una ragazza l’olio d’oliva. Con cipolle, riso bianco e quei due ingredienti prepariamo una prelibatezza. Applausi ai cuochi, preghiera e… si divora tutto!
Nel pomeriggio dividiamo il gruppo in due: cantiere (preparazione del terreno per l’aula) e animazione per circa 80 bambini. Alle 18 ci laviamo come possiamo. L’acqua c’è, ma il cambio no. Rimettere i vestiti sporchi è un’esperienza da raccontare.





Scopriamo che c’è un volo in arrivo da Istanbul la sera stessa, attendiamo notizie sulle valigie. Un altro gruppo cucina la cena. Non abbiamo elettricità per tutti: un generatore alimenta solo la casa del sacerdote, dove ricaricheremo il minimo indispensabile. Quindi accendiamo un falò intorno al quale si chiacchiera e si passa la serata cantando a suon di chitarra.
Fa buio presto, verso le 19:00, e vista la stanchezza, dopo aver mangiato dei meravigliosi fagioli, andiamo tutti, lentamente, a dormire.