.jpeg)
Quella felicità che non finisce
Al terzo giorno finalmente riusciamo ad avere una sveglia che scorre liscia, senza intoppi. Alle sette in punto i ragazzi sono pronti nella sala da pranzo, breve preghiera e inizia la prima colazione. Oramai hanno esperienza, sanno cosa gli piace e cosa no, cosa è funzionale per affrontare la giornata e cosa invece alla lunga si rivelerà un nemico.
Sette e trenta si parte per la casa-famiglia e, una volta arrivati, affrontiamo subito la seconda conferenza. Esaminiamo un tema delicato in cui il confine tra banalità e menzogna rischia sempre di essere superato: quello della felicità. Cerchiamo di approfondire con loro cosa sia la felicità. Qualcosa che va e viene, più dipendente dalle situazioni esterne che da noi? Un qualcosa che dura un attimo e scorre, come l’acqua nel corso di un fiume, come se la felicità fosse l’attimo gioioso che viene gustato pienamente nella sua essenza, effimero, rapido, quasi causale? O forse una posizione di agiatezza che ci permette di affrontare la vita con tutti i mezzi e le comodità possibili? Sono chiaramente domande retoriche, i ragazzi, come tutti gli uomini da quando il mondo è mondo fanno esperienza dell’inquietudine e manchevolezza, della fame di infinito che è presente nel loro cuore.
E questi stessi ragazzi si rendono conto che questa insoddisfazione essenziale di fondo della natura umana, non è colmabile con qualcosa che sia finito, come scrive splendidamente Leopardi nel suo zibaldone: “... il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per dir così dalla terra intera, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, la mole e il numero meraviglioso dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio. Immaginarsi il numero dei mondi infiniti e l’universo infinito e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande di siffatto universo, e sempre accusare le cose di insufficienza e nullità, e patire mancamento e vuoto e perciò noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di umiltà che si venga nella natura umana”.
La seconda domanda, dunque, una volta definito il perimetro di senso entro cui muoversi diventa: Ma voi, siete felici? Una domanda all’apparenza semplice, sicuramente chiesta svariate volte al giorno nelle più diverse situazioni, ma che, posta in un contesto del genere si capisce presto che è l’anticamera per una domanda di fondo ancora più essenziale: tu, la mattina, perché ti alzi? Ossia, che cosa da senso alla tua giornata, alla tua vita? E a partire da quello si approfondisce il tema del: cosa ci rende felici, che tipo di felicità cerchiamo e se la felicità che cerchiamo è stabile e duratura, come una roccia, oppure è mutevole e soggetta ai movimenti del vento, come la sabbia.
.jpeg)
Lasciamo i ragazzi con il compito di portarsi dentro queste domande e meditarci durante l’arco della giornata, mentre lavorano o si interfacciano con le persone del luogo. Mentre fanno i conti con una realtà così differente dalla loro, così dura, triste sotto molti aspetti ma al contempo estremamente felice in situazioni così delicate che risulta commovente trovarci fonti di gioia.
.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
I ragazzi approcciano la giornata lavorativa con piglio navigato. Ogni giorno di più sanno dove andare e cosa fare, i gruppi si dividono e ognuno affronta la giornata con la sua carica esteriore e il suo carico interiore. Grande novità di giornata, che fa uscire un lato che io (per esperienza personale) chiamo “da Papà” a molti dei nostri ragazzi è l’entrata in scena di decespugliatore e tagliaerba. A turno i ragazzi, chi più e chi meno, si dilettano nel girare sotto il sole tagliando uno splendido (e alto) prato del campetto da calcio che (altra novità di giornata) abbiamo iniziato a ristrutturare oggi (in vista di un partitone finale grandi contro piccoli che già promette scintille).


.jpeg)
.jpeg)


.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
.jpeg)
La sera, dopo una rapida doccia in hotel, si torna a mangiare in casa-famiglia, ma prima di sederci a tavola ci dividiamo in gruppi e prendendoci del tempo per noi affrontiamo, in una riflessione di gruppo appunto, un po’ tutto ciò che è stato vissuto in questi brevi ma intensi tre giorni. A tavola poi le discussioni sembrano farsi più serie. Il gruppo si sta creando e piano piano i ragazzi si aprono agli altri, all’esperienza e a loro stessi.

.jpeg)

.jpeg)

.jpeg)

