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July 5, 2025

Quella felicità che non finisce

Santiago Masetti

Al terzo giorno finalmente riusciamo ad avere una sveglia che scorre liscia, senza intoppi. Alle sette in punto i ragazzi sono pronti nella sala da pranzo, breve preghiera e inizia la prima colazione. Oramai hanno esperienza, sanno cosa gli piace e cosa no, cosa è funzionale per affrontare la giornata e cosa invece alla lunga si rivelerà un nemico.

Sette e trenta si parte per la casa-famiglia e, una volta arrivati, affrontiamo subito la seconda conferenza. Esaminiamo un tema delicato in cui il confine tra banalità e menzogna rischia sempre di essere superato: quello della felicità. Cerchiamo di approfondire con loro cosa sia la felicità. Qualcosa che va e viene, più dipendente dalle situazioni esterne che da noi? Un qualcosa che dura un attimo e scorre, come l’acqua nel corso di un fiume, come se la felicità fosse l’attimo gioioso che viene gustato pienamente nella sua essenza, effimero, rapido, quasi causale?  O forse una posizione di agiatezza che ci permette di affrontare la vita con tutti i mezzi e le comodità possibili? Sono chiaramente domande retoriche, i ragazzi, come tutti gli uomini da quando il mondo è mondo fanno esperienza dell’inquietudine e manchevolezza, della fame di infinito che è presente nel loro cuore.

E questi stessi ragazzi si rendono conto che questa insoddisfazione essenziale di fondo della natura umana, non è colmabile con qualcosa che sia finito, come scrive splendidamente Leopardi nel suo zibaldone: “... il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per dir così dalla terra intera, considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, la mole e il numero meraviglioso dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio. Immaginarsi il numero dei mondi infiniti e l’universo infinito e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande di siffatto universo, e sempre accusare le cose di insufficienza e nullità, e patire mancamento e vuoto e perciò noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di umiltà che si venga nella natura umana”.

La seconda domanda, dunque, una volta definito il perimetro di senso entro cui muoversi diventa: Ma voi, siete felici? Una domanda all’apparenza semplice, sicuramente chiesta svariate volte al giorno nelle più diverse situazioni, ma che, posta in un contesto del genere si capisce presto che è l’anticamera per una domanda di fondo ancora più essenziale: tu, la mattina, perché ti alzi? Ossia, che cosa da senso alla tua giornata, alla tua vita? E a partire da quello si approfondisce il tema del: cosa ci rende felici, che tipo di felicità cerchiamo e se la felicità che cerchiamo è stabile e duratura, come una roccia, oppure è mutevole e soggetta ai movimenti del vento, come la sabbia.

Lasciamo i ragazzi con il compito di portarsi dentro queste domande e meditarci durante l’arco della giornata, mentre lavorano o si interfacciano con le persone del luogo. Mentre fanno i conti con una realtà così differente dalla loro, così dura, triste sotto molti aspetti ma al contempo estremamente felice in situazioni così delicate che risulta commovente trovarci fonti di gioia.

I ragazzi approcciano la giornata lavorativa con piglio navigato. Ogni giorno di più sanno dove andare e cosa fare, i gruppi si dividono e ognuno affronta la giornata con la sua carica esteriore e il suo carico interiore. Grande novità di giornata, che fa uscire un lato che io (per esperienza personale) chiamo “da Papà” a molti dei nostri ragazzi è l’entrata in scena di decespugliatore e tagliaerba. A turno i ragazzi, chi più e chi meno, si dilettano nel girare sotto il sole tagliando uno splendido (e alto) prato del campetto da calcio che (altra novità di giornata) abbiamo iniziato a ristrutturare oggi (in vista di un partitone finale grandi contro piccoli che già promette scintille).

La sera, dopo una rapida doccia in hotel, si torna a mangiare in casa-famiglia, ma prima di sederci a tavola ci dividiamo in gruppi e prendendoci del tempo per noi affrontiamo, in una riflessione di gruppo appunto, un po’ tutto ciò che è stato vissuto in questi brevi ma intensi tre giorni. A tavola poi le discussioni sembrano farsi più serie. Il gruppo si sta creando e piano piano i ragazzi si aprono agli altri, all’esperienza e a loro stessi.