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August 3, 2023

Questa esperienza sarà un ritorno all’essenziale

Fernando Lozada

La pubblicazione di oggi abbraccerà due giornate: quella del 1 agosto, ovvero quella del viaggio, e quella del 2 agosto, il giorno in cui siamo arrivati a Kigali e abbiamo fatto l’introduzione alle missioni insieme a un sopralluogo del nostro cantiere e un po’ di giochi con i bambini del villaggio.

Siamo partiti sia da Roma che da Milano a metà mattinata (anche se il volo da Roma aveva più di un’ora di ritardo) e siamo atterrati nel primo pomeriggio a Istanbul dove, dopo due ore di scalo, abbiamo finalmente preso l’aereo per Kigali: nostra destinazione finale. Il volo Istanbul-Kigali lo abbiamo fatto in un aereo abbastanza piccolo per cui l’80% delle persone sull’aereo erano componenti del nostro gruppo. Con un po’ di turbolenza atterriamo all’1:00 del mattino (del 2 agosto) a Kigali. Scendiamo dall’aereo e un paio di pullman ci aspettano per fare letteralmente 100 metri. Dopo essere scesi dai pullman inizia il primo incontro con la burocrazia e soprattutto con i tempi africani - molto lenti e molto formali - per carità con tanti sorrisi da parte di chi ci accoglie ma la lentezza e la formalità a volte fanno perdere la pazienza (soprattutto quando vanno oltre - almeno dal mio punto di vista - ciò che è ragionevolmente pratico e di senso comune). Iniziamo a passare il controllo delle migrazioni e qui dipende chi ti capita ai controlli: c’è chi passa veloce senza fare troppe domande, c’è invece a chi viene addirittura chiesto il numero ruandese per poterlo contattare successivamente e confermare effettivamente i motivi del nostro viaggio. Diciamo che per chi dice che siamo qui per “turismo” non c'è problema e passa veloce, per chi invece parla di missione umanitaria, la questione diventa più lunga perché richiedono più informazioni. Il che non è un problema - ci mancherebbe - ma rende tutto molto più lento. Superato questo primo incontro con la burocrazia ruandese, ci tocca pagare il visto: una tassa fissa di 40€ (che grazie al cielo si possono pagare anche con la carta) che viene richiesta ad un unico sportello per tutto il volo (composto da più di 100 persone). Superata questa tappa scendiamo le scale e arriviamo al servizio di controllo delle valigie a mano per poi finalmente recuperare le valigie grandi. Miracolosamente - contro ogni pronostico - arrivano tutte quante le valigie.

C’è un ultimo controllo da superare, quello della dogana: purtroppo due delle nostre valigie finiscono nell’ufficio della dogana in quanto sono convinti che Santiago - membro dello staff - sia un trafficante di vestiti. Apriamo le valigie e ci mettiamo una mezz’ora a far capire loro che ciò che c’è nelle buste sono le mutande di Santiago e non il frutto di una vendita clandestina di vestiti. Dopo un’ora di discussione e mentre i ragazzi mano a mano escono per caricare le proprie valigie sui nostri pullman, finalmente riusciamo a partire alle 3:30 del mattino. Partiamo con 5 minibus: in uno ci sono tutte le valigie e negli altri quattro tutti i ragazzi, più una macchina che ci accompagna per tutte la strada. La prima cosa che colpisce è che Kigali è una città molto pulita, anche le strade sono perfette, e c’è tanto verde, il che rende tutto ancora più bello. Gli africani, però, hanno una fissa: la velocità. Non si possono superare i 60/70 km orari anche se ci si trova in autostrada. Infatti, sul nostro tragitto ci sono almeno un trentina di autovelox dall’aeroporto di Kigali al Centre di St. Joseph di Kibungo dove dormiremo.

Così per percorrere gli 87 km che dividono l’aeroporto dalla nostra destinazione ci mettiamo due ore. Arriviamo così alle 5:30 del mattino con il sole che sorge e con la consapevolezza che dormiremo molto poco. Inizialmente i ragazzi, nel ricevere il messaggio che avrebbero dormito fino alle 10:00, erano molto felici, ma non avevano tenuto conto dell’orario di arrivo. Dopo aver scaricato i mini bus e preso tutte le valigie, distribuiamo i ragazzi in stanze doppie e finalmente possiamo andare a dormire. Dopo quattro ore i ragazzi dello staff cominciano a svegliare, stanza per stanza, tutti i ragazzi del gruppo per andare a fare la prima colazione.

Poi ci riuniamo in una sorta di auditorio dove facciamo un’introduzione all’esperienza che i ragazzi stanno per cominciare. Iniziamo con una domanda che invitiamo loro a farsi soprattutto in questi primi tre giorni: “Cosa sei venuto a cercare?” “Perché sei partito?” Insieme a queste domande facciamo loro un invito a prendere sul serio quest’esperienza e a sfruttarla al massimo, anche perché ha significato un investimento di tempo, un investimento economico, un “sacrificio” delle proprie vacanze estive, e quindi è bene e bello sfruttare ogni singola occasione che si presenterà. Dopo una breve introduzione sottolineiamo i tre elementi fondamentali che costituiscono le esperienze di volontariato di Wecare.

La prima è che al centro c’è la persona, e questo può sembrare banale ma banale non è, perché in fin dei conti quello che ci spinge a fare le cose, a noi come organizzazione e ai ragazzi, non è la costruzione di una scuola in sé (per carità realtà tangibili e fondamentali che rimangono e che saranno essenziali per la comunità di questo villaggio), ma tutto questo è necessario perché dietro c’è il bisogno di una persona, di più persone, di una comunità di famiglie, di bambini che non hanno lo spazio dove poter studiare. Quindi invitiamo i ragazzi a ricordare sempre per chi stanno facendo tutto questo, soprattutto in quei momenti dove saranno stanchi e mancheranno le forze, quando avranno sete, ci sarà il caldo, saranno scomodi. Le nostre esperienze mettono al centro la persona, coloro che “serviamo”, i destinatari dei nostri progetti. Tutto questo vuol dire divertirsi e vivere l’esperienza al massimo delle proprie capacità mettendo da parte i propri capricci e le proprie comodità, che nel nostro mondo tante volte ci impediscono di vedere fino a che punto siamo capaci di arrivare, comodità che risolvendoci tutto, spesso, non ci allenano alle sfide della vita. L’esperienza di Wecare Missions non è altro che un’esperienza di allenamento alla vita, dove vengono a mancare tante cose (per quanto belle e che non hanno nulla di male) che non sono essenziali. Invece a contatto con tutto ciò che è essenziale viene a galla tutto ciò che di più bello hanno i ragazzi, che piano piano cominceranno a conoscersi senza maschere e senza sovrastrutture.

Un secondo elemento che invitiamo ad approfondire è quello dell’esperienza di amicizia. Il gruppo è composto da 52 ragazze e 22 ragazzi. Facciamo un invito che questa sia anche un’esperienza di amicizia autentica: li invitiamo a mostrarsi così come si è, a non aver paura e a non farsi paranoie, a vedersi con altri occhi e a lasciarsi guardare con altri occhi perché qui non c’è nulla da dimostrare.

Infine, sottolineiamo l’importanza del viaggio interiore. La caratteristica che crediamo ci distingua da altre realtà, infatti, è quella di offrire ai nostri partecipanti un percorso di  riflessioni che va da quelle personali, alle condivisioni di gruppo, alle conferenze che approfondiscono delle tematiche importanti nella vita di tutti i giorni da un punto di vista esistenziale e psicologico, però con un’apertura alla dimensione spirituale che è essenziale, dal nostro punto di vista, per la vita di ogni essere umano.

Infine, perché tutto questo possa venire fuori nel miglior modo possibile, in breve parliamo del regolamento, che non è altro che la cornice che permette di vivere l’esperienza al massimo. Dopo di che consegniamo loro le magliette, il libretto di riflessioni e ci congratuliamo per la raccolta fondi da loro effettuata che ci permetterà di coprire buona parte delle spese delle due aule e, come gesto di gratitudine, diamo un piccolo premio alle 5 persone che hanno raccolto di più.

Infine ritiriamo tutti i cellulari, poi pranziamo e partiamo finalmente verso la scuola, dove lavoreremo per tutti questi giorni. La scuola dista circa 10 km, ma, come dicevamo, qui si va piuttosto lenti, quindi ci mettiamo circa mezz’ora per arrivare. Dopo un tratto di strada asfaltata molto bella dove si vede il contrasto tra il cielo, il verde degli alberi e il rosso della terra, percorriamo una strada sterrata di colore rosso. Su tutto il tragitto ci aspettano dei bambini, che appena avvertono il nostro arrivo, escono dalle loro case e ci salutano e rincorrono con dei sorrisi stupendi e cercando di attirare la nostra attenzione. Colpisce così fin da subito questa accoglienza piena di gioia e disinteresse dove i piccoli mostrano tanto affetto e amore.

Arrivati infine alla scuola, ci aspettano altri bambini e l’ingegnere che si occupa dei lavori. Ci sediamo e ci spiegano l’importanza del lavoro che stiamo per fare: le aule sono sovraffollate, i bambini sono troppi e spesso, durante le lezioni, non avendo spazio a sufficienza, mischiano addirittura bambini di diverse fasce d’età compromettendone cosi l’istruzione. Queste due aule che i ragazzi costruiranno sono essenziali per loro.

Dopo di che facciamo un sopralluogo di tutta la scuola: vediamo l’aula che abbiamo costruito l'anno scorso e tutti i murales e i disegni pedagogici dipinti . I ragazzi rimangono stupiti non tanto dell’aula costruita, ma soprattutto dai disegni realizzati dai ragazzi dell’anno scorso. Infine iniziamo a giocare con i bambini in un grande prato poco al di sotto della scuola.  Devo dire con mia grande gioia che ci vuole ben poco affinché i nostri ragazzi volontari si mettano al lavoro: tirano subito fuori il meglio di loro e la loro parte più “bambina” che parla di libertà, di gioia, di disponibilità e iniziano con un gioco dopo l’altro. C’è chi balla, chi salta, chi fa a gara di flessioni, chi gioca a calcio o con un frisbee, chi insegna ad andare in bicicletta o chi fa dei semplici cerchi con diversi tipi di giochi, in più tante ragazze prendono in braccio i bambini per coccolarli, abbracciarli e farli giocare. C’è chi cerca anche di scambiare qualche parola con i bambini dopo aver cercato le parole fondamentali per poter comunicare con loro. Dopo un paio d’ore di questa attività torniamo con i pullman verso la nostra casa.

Tornati a casa ci rincontriamo in auditorium per fare un questionario iniziale che punta ad aiutare tutti i partecipanti tramite 8 domande molto “provocatorie” a capire in quale punto della loro vita si trovano. L’idea è quella di “smuoverli” e di aiutarli a pensare: “Io in che punto della mia vita mi trovo? In che momento mi trovo oggi?” I ragazzi, ognuno per conto suo, si trovano degli angoli nella nostra struttura per poter rispondere alle domande sul loro libretto di riflessioni e lo fanno per circa un’ora.

Dopo di che ceniamo e dopo cena i ragazzi rimangono un po’ tra di loro a chiacchierare, a bersi una birra, a giocare a carte. Il che mi sorprende perché immaginavo che, per la stanchezza, andassero tutti subito a dormire. Invece non è così. Staremo a vedere domani!