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Ricerca sul dolore: risorsa o condanna?
Questa mattina i ragazzi scendono a colazione con passo lento e occhi ancora impastati di sonno. La stanchezza comincia a farsi vedere: una settimana di lavoro inizia a pesare sulle spalle e dentro gli sguardi. Ma proprio oggi, quando la fine del viaggio si avvicina e la tentazione di rallentare si fa più forte, li invitiamo a fare l’opposto: a dare tutto, a regalare alle persone che incontriamo l’ultima, piena energia rimasta.
Il cielo, per ora, ci è amico. Le previsioni però parlano di pioggia nei prossimi giorni, perciò oggi non c’è tempo da perdere. Dopo la preghiera e una colazione abbondante, i ragazzi si mettono in marcia. Destinazione: la casa famiglia. Ad attenderli, la terza riflessione personale, un tempo silenzioso e profondo in cui confrontarsi con una domanda difficile e forse per loro nuova: che rapporto ho con il dolore? Chi mi aiuta a portarlo? In che modo mi cambia?
Li vediamo scrivere, pensare, alcuni con lo sguardo fisso nel vuoto, altri con la penna che corre. Questo momento è diventato, giorno dopo giorno, una piccola ancora: uno spazio dove poter posare le emozioni e guardarle in faccia.
Finita la riflessione, la routine ormai collaudata prende forma. Il gruppo si divide: una parte rimane in casa famiglia, l’altra si dirige alla struttura che ospita ragazze con disabilità. Ma oggi c’è anche una novità. Un monastero di clausura poco distante da dove lavoriamo ci ha chiesto una mano. Un polmone verde in una zona che verde non è, ed è proprio per questo che le suore lo offrono a tutte le famiglie della zona. Ma un giardino, per restare vivo, ha bisogno di mani. E le mani oggi sono quelle di cinque dei nostri ragazzi, che si sono rimboccati le maniche per ridare vita a ciò che era sbiadito: una panchina, una bacheca per gli annunci, due statue che avevano perso il loro bianco originario.
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Nel frattempo, nella struttura, tutto procede con una fluidità nuova. I ragazzi ormai conoscono spazi e ritmi, e sanno dove è il loro posto. C’è chi gioca con le ragazze, chi balla con loro, e chi cerca di aiutarle nella loro routine quotidiana. E poi c’è chi si infila subito in cucina: taglieri, verdure, mestoli e padelle. Lì si lavora insieme alla suora di turno per preparare il pranzo per tutti. E noi, sorridendo, ci chiediamo: li stiamo davvero rimandando a casa un po’ più autonomi? Forse non tutti cucineranno un pranzo completo, ma almeno sapranno come si taglia una cipolla.
In casa famiglia l’aria oggi è diversa. Si avverte quella sensazione di “quasi fine”, quando si tirano le somme e si guardano con occhi nuovi le cose fatte. Il parco giochi, per esempio, è ormai quasi pronto. I ragazzi hanno smontato, con attenzione e fatica, tutte le vecchie strutture in legno, ormai logore e pericolose. Pezzi rotti, schegge e assi instabili: erano giochi che un tempo avevano fatto divertire i bambini, ma che oggi non potevano più essere usati. Ora il terreno è sgombro, manca solo livellarlo per bene, dare un colpo di tosaerba e prepararlo a qualcosa di nuovo.
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I giochi che arriveranno saranno diversi: costruiti in metallo, pensati per durare, resistenti al tempo e agli urti. Purtroppo non riusciremo a vederli montati: il lavoro per realizzarli è complesso e la consegna avverrà dopo la nostra partenza. Ma questo non toglie nulla all’impegno che i ragazzi ci hanno messo. Hanno preparato il terreno, letteralmente e simbolicamente. Hanno tolto ciò che era vecchio per fare spazio a qualcosa di nuovo, e questo – anche se invisibile – vale tanto quanto il gioco finito. Senza di loro, senza le mani e il sudore di questi giorni, i bambini non avrebbero avuto uno spazio per giocare, per essere semplicemente bambini, per dimenticare – almeno per un po’ – il peso delle storie che portano sulle spalle.

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Alle 12:30, come ogni giorno, i due gruppi si ritrovano per il pranzo. Tavoli apparecchiati, facce impolverate, mani sporche, ma sorrisi larghi. Oggi il menù è stato particolarmente gradito: pollo e purè. E se il silenzio improvviso durante il pasto è un indicatore affidabile, possiamo dire con certezza che è stato un successo. Non è avanzato nulla!
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Nel pomeriggio il lavoro in cantiere continua a dare soddisfazioni. Dopo giorni a lavorare con pale, carriole e cemento, i ragazzi sono riusciti a completare tutta la gettata. È uno spazio nuovo che prende forma. Le suore ci hanno raccontato cosa ci metteranno: una piccola piscina che gli è stata donata, per permettere ai bambini di rinfrescarsi nelle giornate più calde. E poi, una piccola sorpresa: Proprio lì, accanto alla piscina, abbiamo montato, di nascosto, un grande trampolino. I bambini non sapevano nulla, e, una volta finito di montare e svelata la sorpresa ai bimbi la loro gioia era inesprimibile, la potevi cogliere nella sua essenza tra un salto e l’altro, insomma, una vera gioia, per i bambini, per le suore e per noi.
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Finito il lavoro si torna in hotel, classico rapidissimo pit stop (o quasi) e via di nuovo in casa-famiglia. Una volta arrivati ci si divide nei consueti gruppi di riflessione. Insieme si riprendono le fila dei discorsi interrotti due giorni prima, si traccia un bilancio e si scava insieme nei misteri della vita e del cuore umano. Come sempre sono momenti molto belli, intensi, in cui la ricchezza degli adolescenti esce allo scoperto in tutto il suo splendore. È realmente emozionante vedere quanta è vasta l’interiorità di ragazzi che si interrogano. Finiti i gruppi si mangia, sempre più stanchi ma forse sempre più felici. Il ritorno in hotel è scandito dalle note dei classici italiani, che siamo sicuri culleranno anche il riposo tra le braccia di morfeo dei nostri volontari.

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