
Si parte per costruire. Si torna con una storia da raccontare

Quando si parte per un progetto di costruzione in Perù, si parte sì per costruire, ma soprattutto si parte con le orecchie e il cuore aperti. Si parte con la consapevolezza che ogni casa costruita è prima di tutto un incontro: un incontro con una storia che chiede di essere ascoltata.
Per i ragazzi che vengono dalla parte “fortunata” del mondo, quella in cui l’acqua esce dai rubinetti e le pareti sono solide e calde, vivere anche solo pochi giorni in mezzo alle baracche di Nuevo Santa Maria è uno impatto con la realtà fortissimo. Ma è lì che, ascoltando, si scopre un’umanità che resiste anche dove non sembra esserci nulla. Una fede profonda, una forza che sorprende, e soprattutto una famiglia che, nonostante tutto, resta unita.
Oggi vogliamo raccontarvi la storia di Prisila Pérez, 50 anni, madre di tre figli, una delle donne che ha ricevuto una casa costruita dai nostri volontari lo scorso anno a Cañete, in una delle zone più povere del Perù. Le sue parole ci hanno toccato nel profondo. E oggi vogliamo condividerle con voi.
Prisila viveva in una baracca fatta di legno, plastica e teli, a diretto contatto con la terra. Non c’è una strada asfaltata, né acqua corrente. “Viviamo così… non perché ci piace, ma perché non abbiamo abbastanza. Ma stiamo qui, tranquilli, con la famiglia. E ci sentiamo bene, perché almeno siamo insieme.”
Vive sola con due dei suoi figli. Il più piccolo ha 16 anni ed è affetto da autismo. Uscire da casa per lui è quasi impossibile. Il maggiore, invece, ha 27 anni ed è diventato il suo sostegno principale.
“Lui studia e lavora. È come un padre per me. Ma a volte mi vergogno a chiedergli dei soldi per il cibo… e allora cucino una sola volta al giorno. A volte mangiamo una sola volta, a volte nemmeno quella."
Il marito di Prisila se n’è andato lasciandola con tre figli piccoli e una montagna di debiti. “Non avevo soldi. Dovevo pagare ogni mese, e lui si prendeva gioco di me. Così ho iniziato a vendere dolci, gelatine, caramelle. Mi portavo i bambini dietro, anche se si addormentavano per la stanchezza…”
In ogni parola di Prisila c’è una fede incrollabile che è il suo sostegno anche nelle notti più buie.
“Ci sono giorni in cui non riesco neanche ad alzarmi. Vorrei dormire e non svegliarmi più… ma poi penso ai miei figli, e a Dio. E mi dico: ‘Dio mi darà la forza.’” Per lei, la fede non è una via di fuga, è una forza concreta. È ciò che la fa rialzare, anche dopo le giornate più dure. Quando ha saputo che sarebbe stata selezionata per ricevere una casa, Prisila ha faticato a crederci. “Non volevo illudermi. Ho detto a mia sorella: ‘Vedremo. Se viene, sarà un dono di Dio.’ E poi mi hanno confermato che ero tra i selezionati. Mio figlio ha detto: ‘Mamma, ora avremo ognuno la nostra stanza!’”
La casa costruita dai volontari non è solo un tetto sopra la testa. È un luogo dove potersi sentire al sicuro e dove poter riposare davvero. “Dormiremo al caldo. Non passerà più il freddo. Non cadrà più la pioggia dentro. Adesso potremo riposare davvero.”
Quando i volontari si preparavano a ripartire, Prisila si è commossa. Nei suoi occhi, la gioia per la casa si mescolava alla tristezza del distacco. “Mi dispiace che ve ne andiate. Non vorrei. Ma porterò con me tutto il bene che mi avete fatto. Dio vi benedica per quello che fate e per l’amore con cui lo fate.”
Questa storia ci ricorda che costruire una casa è importante, ma ascoltare una storia lo è ancora di più. Perché solo ascoltando si può incontrare davvero l’altro.
Per i giovani che arrivano qui per aiutare, è spesso uno shock culturale e umano il contatto con queste realtà. Non immaginavano che esistessero situazioni così difficili, ma ne escono cambiati. Perché le storie come quella di Prisila aprono gli occhi, mostrano che nella povertà estrema esistono valori profondissimi: la fede, l’amore familiare, la forza della speranza condivisa.
E anche quando i volontari tornano a casa, noi speriamo che le parole restino. Come semi. E ogni seme, prima o poi, fiorisce.

