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June 22, 2024

Tu non sei vero quando sei egoista, tu sei vero quando ami.

Fernando Lozada

La giornata di oggi inizia come sempre con la preghiera del mattino. Dopo colazione, riprendiamo il nostro percorso sulle cavità del cuore con una conferenza sul mistero del male nel mondo e sulla sofferenza, una tematica che contrasta con quanto abbiamo visto finora. Abbiamo parlato di felicità, dell’importanza di conoscersi e amarsi, di cogliere la propria unicità ed esserne fieri. Questo porta a potersi svegliare ogni mattina, guardarsi allo specchio e dire: "È bello essere me, è bella la mia storia, è bello che io ci sia".

Ci rendiamo conto che, nonostante il profondo desiderio umano di bene, a volte sbagliamo strada. Non serve un evento catastrofico per sentirsi fuori posto; basta una parola tagliente che ferisce o un piccolo episodio che ci mette in crisi e che fa saltare tutti i nostri piani, facendoci sentire inadeguati e minando la sicurezza che pensavamo di avere. L’esperienza del male tocca tutti noi, poiché l’essere umano, spesso per motivi egoistici, sceglie di rifiutare l’amore e ciò che è buono, vero e giusto. C'è una crepa, una sorta di ferita nel cuore umano, che contrasta con il suo desiderio più profondo: quello di amare.

Tutti facciamo del male e, a volte, ne subiamo le conseguenze. Chiaramente nessuno è felice nel fare del male e nessuno lo è quando subisce un torto o qualcosa di negativo.

La sofferenza fa parte della nostra vita e, anche se si può avere tutto in termini materiali e di possibilità, tutti percepiamo il dolore. Anche quando la salute non manca, a volte può venire a mancare la serenità interiore, manifestandosi come fatica, dolore, sofferenza interiore, o il sentirsi persi e non amati.

La sofferenza o il dolore, presi singolarmente, sono segni che qualcosa non va e richiedono attenzione. Un esempio chiaro è la spia del motore di una macchina: quando si accende, indica che c'è un problema da risolvere. Non è la spia il problema, ma ciò che essa segnala. Analogamente, il dolore e la sofferenza non sono il problema in sé, ma sintomi di qualcosa di più profondo che necessita di attenzione e di cura. Questo succede anche in ambito medico con il nostro corpo fisico, ma è lo stesso anche a livello interiore. Quando percepiamo un malessere o un'inquietudine negativa, è un segnale che qualcosa non sta andando come dovrebbe.

Usiamo anche il termine "peccato". Viviamo in un’epoca in cui parlare di peccato sembra quasi medievale, associato a qualcosa di oscuro, antico e noioso o da “boomer” come direbbero i nostri ragazzi. Ma in realtà, il peccato non è altro che "sbagliare mira", cioè andare fuori strada, deviare. Non si tratta di perfezione, che spesso porta con sé altre complicazioni, ma dell'esperienza del dolore che deriva dallo “stare fuori posto”.

Colleghiamo questo all'esperienza della felicità, che nasce dalla consapevolezza di chi siamo e dal trovare il nostro posto nel mondo, essere dove siamo chiamati ad essere. Parliamo anche degli idoli ai quali spesso affidiamo il compito di “salvarci” e di farci stare bene. Ci sono i classici tre: piacere, possesso e potere. Pensiamo che accumulare piacere fisico o sensoriale ci renda pienamente felici, ma non è così. Allo stesso modo, crediamo che possedere molte cose ci dia sicurezza e felicità, ma anche questo è un errore. Il potere, spesso visto come un mezzo per raggiungere la felicità, si trasforma frequentemente - come vediamo in molta politica - in corruzione. Ciò che dovrebbe essere un sistema al servizio delle persone viene spesso utilizzato per fini e interessi personali, diventando uno strumento di corruzione invece che di servizio.

Oggi emerge un nuovo idolo: le aspettative degli altri. Vivere per accontentare gli altri porta a compromessi con se stessi, a tradire la propria autenticità e a rinunciare a ciò che riflette veramente chi siamo. Questo ci porta inevitabilmente a sbagliare e a soffrire.  Anche quando le aspettative provengono da persone che ci vogliono bene, spesso rinunciamo alla nostra dimensione più profonda. E questo ci porta a fare errori, a “peccare” e a stare male.

Concludiamo il discorso invitando tutti a riflettere: quanto delle cose che facciamo o viviamo sono realmente per la nostra autentica felicità e quanto per accontentare gli altri, rischiando di tradire noi stessi? All'origine del malessere c'è spesso una rottura con la propria identità.

Dopo la conferenza, siamo partiti con un quarto d'ora di anticipo, chiedendo agli autisti degli autobus di essere puntuali. Oggi sono stati precisi e puntuali, arrivando sul campo di lavoro in orario. Ci siamo divisi nei soliti gruppi e finalmente abbiamo iniziato a lavorare.

Oggi abbiamo incontrato Marcelo, un bambino sordo muto che vive proprio di fronte al nostro cantiere. Ci osservava da lontano, timido e incerto. Sua mamma ci ha raccontato che, a causa della sua condizione, fa fatica a relazionarsi con gli altri e non esce mai di casa.

Alcuni dei nostri ragazzi, comprendendo la delicatezza della situazione, hanno iniziato a coinvolgerlo lentamente nei lavori di trasporto delle pietre e preparazione del cemento. Anche se ha difficoltà a comunicare, abbiamo visto un cambiamento immediato sul suo volto. Marcelo si sentiva "visto" e, per la prima volta, visibilmente felice di stare con ragazzi più grandi di lui.

È interessante notare che, quando si è attenti, la realtà intorno a noi può parlare e ricordarci qualcosa che magari stiamo cercando di approfondire. Questo episodio si può certamente collegare alla conferenza di questa mattina in cui abbiamo parlato di come il dolore e qualsiasi momento di difficoltà può essere anche un'opportunità, ma dipende da due fattori: come lo si affronta e chi ti sostiene in quel momento. Il dolore, per non avere l'ultima parola, ha bisogno di essere trasformato, e spesso non possiamo farlo da soli. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci supporti e ci sproni. Ed è stato molto bello vedere questo realizzarsi in questo bambino, che nonostante la sua situazione dolorosa, ha trovato sostegno nei ragazzi oggi.

Dopo aver mangiato il solito pollo e riso, ma questa volta preparato in una modalità totalmente diversa dalle precedenti, siamo partiti ben più tardi del solito, alle quattro, ma in cinque posti, perché si è riaperta la possibilità di visitare un centro che accoglie uomini, giovani e anche bambini che sono soli e abbandonati a se stessi. I nostri ragazzi, un gruppo di ragazzi, sono andati a dare il loro contributo, passando del tempo con loro, giocando, chiacchierando.

Verso le 17:30 siamo rientrati tutti. Oggi non è previsto né un gruppo né una riflessione personale di nessun tipo. Quindi i ragazzi hanno potuto giocare a calcio, chiacchierare o semplicemente guardare gli altri giocare a calcio (sinceramente, non capiamo bene quanto possa essere divertente, ma loro sembrano apprezzarlo9. Ci siamo poi incontrati un po' più presto del solito, alle otto, per mangiare tutti insieme e successivamente fare un briefing finale, e così abbiamo chiuso la giornata.

Finora, nei nostri ideali, non abbiamo raccontato le cose divertenti, o che possono essere divertenti. Al secondo giorno, dopo essere arrivati, abbiamo dovuto recuperare alcuni dispositivi elettronici che alcuni ragazzi avevano tenuto con sé, pensando ingenuamente, alcuni sicuramente sì, altri un po' meno, di poterli collegare alla rete Wi-Fi e così poter usare WhatsApp, Instagram o TikTok (a cui ci si può collegare anche da altri dispositivi e non necessariamente dal telefono). Abbiamo trovato, per ora, solo una persona che aveva tenuto con sé il suo vecchio telefono. Lo abbiamo beccato e ovviamente, essendo un maschietto, abbiamo provveduto a un po' di allenamento fisico. Dopo avergli fatto chiedere un numero da 1 a 201 ai suoi compagni, all'insaputa di tutto, e aver ricevuto il 102, ci siamo allenati con lui facendo 102 flessioni. Purtroppo, per il suo fisico, non è riuscito a farne più di 30, le ultime 10 tra l'altro con le ginocchia a terra. È stato molto divertente fare 24 minuti di Plank con lui. Ovviamente, in quattro minuti non è mai riuscito a farli tutti, ma è stato comunque molto divertente.