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August 8, 2023

Tutte le ferite possono diventare oro

Fernando Lozada

Dopo la solita routine di ogni mattina, ci incontriamo in auditorio per affrontare la terza conferenza di questo viaggio. Dopo esserci fatti le domande sul perché siamo qui, su cosa di ha portato a vivere questa esperienza, su che cosa siamo venuti a cercare, scavando piano piano nei desideri profondi che ci portiamo nel cuore, oggi affrontiamo la tematica della sofferenza.

Le idee fondamentali di questa tematica è prendere consapevolezza che la sofferenza, insieme a tutti i suoi “derivati” (ferite, la morte, la malattia, l’invecchiare), è una presenza costante nella vita dell’essere umano. Non esiste nessuno che non ne abbia avuto a che fare, o quanto meno non ne abbia fatto esperienza, anche se fosse indiretta. Ci sono poi delle sofferenze più legate alla dimensione corporea della nostra vita, come le malattie o la morte stessa. E ci sono quelle che hanno più a che fare con la nostra dimensione interiore quali la noia, o la mancanza di senso, la paura dell’abbandono e la solitudine, come mancanza di comunione.

Il messaggio centrale però è quello di vedere le nostre sofferenze come possibilità: di crescita, di maturità, di diventare più sensibili, più empatici, più saggi, ma soprattutto di essere un giorno quella persona di cui noi avevamo bisogno quando ci trovavamo in una situazione di difficoltà. Siamo convinti che qualsiasi situazione di sofferenza possa portare alla crescita se è presente l’amore, sia l’amore per sé stessi che l’amore di qualcun altro che ti accompagna, che ti affianca. Non di qualcuno che ti risolve le cose, ma qualcuno che ti accompagna, che ti sostiene e che ti sta affianco. La sofferenza è qualcosa che ci accomuna tutti e che ci ricorda che non siamo soli. È anche un principio È un’occasione che ci può spingere a chiedere aiuto e a prendere consapevolezza di non essere soli, per scoprire come tante persone che ci circondano sono disposte a starci accanto. Inoltre risulta importante ricordare ai ragazzi, soprattutto nel contesto in cui ci troviamo, che non esistono sofferenze di seria A o serie B ma che ogni sofferenza è unica e come tale va ascoltata.

Molte volte per trasformare le sofferenze - soprattuto quelle relazionali - in un motivo di crescita c’è bisogno del perdono. Il perdono inteso come qualcosa che ci libera dalle catene del rancore, della rabbia, dell’odio e dalla smania di cercare un colpevole a tutti i costi. Il perdono ci da la libertà della distanza dalle proprie ferite per trasformarle in un qualcosa di bello. Così la sofferenza e la propria fragilità possono diventare una forza.

A proposito facciamo tre esempi emblematici dei nostri viaggi. Il primo è quello della perla che è una pietra preziosa nata da una ferita: un granello di sabbia ferisce la conchiglia e lei, per difendersi, avvolge questo granello con la madre perla, e nasce una pietra preziosa. Ci ricorda che ogni ferita può diventare una perla, qualcosa di prezioso. A volte si può dire che le sofferenze siano le cose più preziose che abbiamo, solo che spesso non ne prendiamo consapevolezza, o comunque chiaramente non è qualcosa di automatico. Ogni nostra ferita può diventare qualcosa di prezioso grazie all’amore, grazie a chi ci sta accanto. Un altro esempio è quello del kintsugi, l’arte giapponese per cui un vaso di ceramica rotto viene ricomposto e unito nelle sue parti rotte con dell’oro. Così si ha un pezzo unico a tutti gli effetti in cui si evidenziano le parti dove è stato rotto. Quest'arte ci ricorda che quando uno è “rotto” e “spezzato”, ognuno lo è in modo unico. Se facessimo cadere due vasi dalla stessa altezza, il modo in cui si romperebbero è unico. Una volta ricomposto il pezzo, non si nascondono i punti i cui si è rotto, ma anzi si risaltano con dell’oro, qualcosa di molto prezioso. Quasi a dirci che proprio lì dove siamo rotti, in quella unicità, diventiamo ancora più unici di quanto già siamo. Infatti non è strano trovare nella vita che le persone che hanno più sofferto hanno maggiore sensibilità e profondità e attenzione agli altri.

Un altro esempio che abbiamo ripreso dall’esperienza di quest’anno è l’episodio di una ragazza del primo gruppo che si era ferita alle braccia a causa di alcuni schizzi di cemento che, al pronto soccorso, le avevano curato, una per una, le piccole ferite. A partire da questa piccola sofferenza, lei ha imparato qualcosa che le è stata utile per un’altra sua compagna di viaggio che aveva dei piccoli tagli come lei: lei stessa, con grande cura, le ha curato le ferite e gliele ha fasciate. Come per dire che la sofferenza, non soltanto ci aiuta a maturare, a crescere, a scoprire nuovi lati di noi e a fortificarne altri, ma ci mette nella possibilità di aiutare gli altri, di essere accanto a chi soffre o a chi ha sofferto come noi.

Infine, sottolineiamo il fatto di vedere nelle sofferenze e nelle ferite una possibilità per alzare lo sguardo e chiedere aiuto, per renderci conto che non siamo mai soli, che abbiamo bisogno degli altri e che quando gli altri non bastano, non perché cattivi o incapaci ma solo perché limitati e fragili come noi, forse si fa spazio nella nostra vita anche a Dio, quale Padre amorevole.

Finita la conferenza partiamo tutti insieme e ci dividiamo nei soliti tre gruppi di lavoro. I lavori dell'aula scolastica vanno avanti: la costruzione è salita talmente tanto che i ragazzi hanno costruito e sono saliti su un altro piano di impalcature (siamo arrivati quasi alla struttura del tetto). Inoltre i ragazzi preposti alla costruzione dedicano una buona parte della giornata a scaricare dei mattoni arrivati su un camion e ad andare a prendere l’acqua (che non arriva direttamente alla scuola) ma va raccolta alle risaie che si trovano un po' distanti dalla nostra scuola.

Anche i lavori di ripittura vanno avanti: è un lavoro talmente chirurgico che quando i ragazzi sbagliano qualche disegno, gli facciamo riverniciare tutto e ricominciare da capo.

Sul fronte dell'animazione dei bambini è la solita festa per intrattenere i più piccoli con giochi, danze e matite colorate. E infine il servizio di mensa dove i bambini danno il meglio di sé in termini di tenerezza che continua a commuovere i nostri ragazzi.

Dopo mangiato si ricomincia con i lavori fino alle 16:30/17:00. Torniamo a casa, con una ventina di persone partecipiamo alla messa quotidiana e poi mangiamo alle 21:00, poco più tardi del solito visto che c’era stato un ritardo in cucina.  Finito di mangiare esce una mega torta in stile africano, non il massimo ma sicuramente il massimo che si può trovare da queste parti, per festeggiare Giovanni che oggi compie 22 anni!