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Un amore incondizionato e che ti abbraccia così come sei
Dopo il nostro consueto inizio di giornata, ci ritroviamo insieme in auditorium per la terza conferenza del viaggio. Non una semplice tappa finale, ma un momento che vuole essere sintesi e cuore pulsante dell’intero cammino vissuto fin qui. Una conferenza che non si limita a chiudere un’esperienza, ma che prova a illuminare il filo conduttore non solo di questi giorni, ma della nostra intera esistenza: l’Amore.
A guidarci è la testimonianza di una giovane donna, moglie e madre romana, che a meno di trent’anni ha affrontato la malattia e la morte con una lucidità e una profondità disarmanti. Dal suo testamento spirituale prendiamo le parole che risuonano come un’eredità per ciascuno di noi: «Posso solo dirti che l’Amore è il centro della nostra vita, perché nasciamo da un atto d’amore, viviamo per amare e per essere amati, e moriamo per conoscere l’amore…» Ed è proprio così: amare non è una fase, un momento, un frammento. È la trama stessa della nostra storia. Ci precede, ci accompagna, ci definisce. È ciò che riempie il nostro vivere, o, nella sua assenza, ciò che lo svuota. È il principio stesso della nostra esistenza e, per chi crede, anche il suo destino ultimo.
Parliamo dell’amore non da un punto di vista morale o sociale, ma cercando di dare forma a questa parola a partire da un’esigenza profonda: quella del cuore. Perché, a mio avviso, la definizione più autentica e alta dell’amore non risponde a schemi sociali, neppure religiosi, ma risponde alla natura stessa del nostro cuore, inteso come la parte più intima e vera del nostro essere. Credo, infatti, che il cuore umano sia fatto – o forse sarebbe meglio dire assetato e affamato – di un amore che sia fedele, per sempre, incondizionato. Solo un amore con queste caratteristiche è capace di guarirci davvero, di restituirci quella pace profonda che tanto desideriamo e che spesso sentiamo smarrita, schiacciata dalla paura di restare soli, o di essere abbandonati. Naturalmente, un amore così non è facile. Ma tutto ciò che ha valore vero è anche segnato da fatica e da sfida. Se fosse semplice, sarebbe qualcosa di superficiale – e l’animo umano non si accontenta, figuriamoci saziarsi, di ciò che è piccolo o banale.
Un altro aspetto che cerco di trasmettere ai ragazzi è che l’amore autentico ci rende liberi. Ci libera perché ci accoglie così come siamo, senza maschere, senza doverci meritare nulla. Ci libera dalla vergogna, dall’anonimato, dalla paura di non essere visti o considerati. Essere amati davvero significa non sentirsi più invisibili, significa sapere di contare per qualcuno, di avere un volto, un nome, un valore. L’amore, se è vero, non ci schiaccia, ma ci eleva. Ci porta ad amare anche noi stessi, non con un amore narcisistico, ma con uno sguardo nuovo, capace di riconoscere e custodire ciò che in noi è bello, buono, vero. E proprio attraverso questo sguardo, l’amore ci guarisce: dalle ferite, dalle parti fragili e dai limiti che ci portiamo dentro. Perché non li nega, ma li abbraccia e, nell’abbracciarli, li trasforma.
Di quale amore vuoi essere amato? Con quale amore vuoi amare? Quanto ami te stesso e perché? Sono solo alcune delle domande che affidiamo ai ragazzi.
Partiamo un po’ più tardi del solito: la conferenza sull’amore si è protratta oltre il previsto, ma nessuno se ne è lamentato — ne è valsa la pena. Alle 9:40 siamo tutti sull’autobus, e verso le 10:10 arriviamo al Pozo. Poco alla volta, ogni gruppo si dirige verso la propria postazione di lavoro. Ci sono fondamenta da completare, e il lavoro richiede pazienza, attenzione, precisione. Si procede con calma e costanza almeno fino a mezzogiorno.
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Poi si passa alla struttura del pavimento, che poggia su lunghe travi solide ancorate alle fondamenta. Una volta che queste sono ben fissate, possiamo finalmente iniziare ad alzare le mura. L’obiettivo della giornata è ambizioso: completare tutte le pareti delle case, e, se ci resta tempo, cominciare con la struttura del tetto. E ce la facciamo: a fine giornata tutte le case hanno le mura alzate, e almeno 4 su 8 hanno già buona parte della struttura del tetto completata. Domani sarà forse una giornata un po’ più breve: ci aspettano solo alcune rifiniture e la fase della verniciatura.

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Una volta rientrati a casa, c’è chi partecipa alla Messa e chi si intrattiene nei corridoi in chiacchiere. Alla cena siamo un po’ meno del solito: abbiamo concesso allo staff una serata libera, mentre a rimanere con il gruppo siamo solo Ginevra e io. Dopo cena, si gioca a UNO, reinventando regole a seconda delle convenienze del momento, al classico burraco e alla briscola, e in alcuni tavoli si organizzano vere e proprie gare di poker, complete di finti premi e scommesse. C’è anche chi si dedica a una partita di Lupus in fabula. Il tutto prosegue fino alle 23, quando è il momento di spegnere le luci e mandare tutti a dormire.

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