0
August 6, 2025

Un tempo per fare memoria

Sveva Coda Nunziante

Dopo un viaggio lungo e stancante, ieri i ragazzi hanno finalmente messo piede in Ruanda. Gli zaini pieni, gli occhi lucidi, il cuore forse ancora un po’ in volo. Stamattina la sveglia è stata clemente, ma non abbastanza da cancellare del tutto la stanchezza: a colazione si leggeva sui volti un misto di sonno, attesa e curiosità.


La prima tappa della giornata ci ha portati dritti nel cuore della storia di questo Paese. Al Memoriale del Genocidio di Kigali l’aria si è fatta più densa, più lenta. I ragazzi hanno attraversato in silenzio le sale che raccontano uno dei momenti più bui del Ruanda. Hanno guardato immagini difficili, ascoltato testimonianze vive, camminato tra lapidi e nomi. Non è stato semplice. Ma era necessario. Perché prima di mettersi al lavoro, prima di costruire, conoscere, toccare questa terra con le mani e con il cuore, era giusto fermarsi a comprendere.

Dopo una breve pausa per il pranzo, ci siamo rimessi in cammino. Zaini caricati sul pullmino, teste che si appoggiavano ai finestrini, qualcuno si è addormentato e qualcun altro ha osservato in silenzio il paesaggio cambiare, curva dopo curva. La nostra nuova casa sarà Kibungo, il luogo che ci ospiterà per il resto del tempo qui. Un piccolo centro a una ventina di minuti da Kibaya, dove si trova la scuola in cui inizieremo a lavorare già da domani. Il viaggio non è stato lungo, ma è bastato per sentire che qualcosa stava già cambiando. Lasciavamo la capitale alle spalle e con essa il ritmo frenetico, le strade trafficate, le insegne luminose. Davanti a noi, invece, si apriva una nuova quotidianità: più semplice, più lenta, forse più autentica. E mentre arrivavamo, l’idea che questa sarà la nostra casa per un po’ ha iniziato a prendere forma.


Appena arrivati a Kibungo, abbiamo riunito i ragazzi per un primo momento di condivisione. Una piccola introduzione, semplice ma necessaria: abbiamo raccontato loro cosa li aspetta nei prossimi dodici giorni, quali saranno i lavori, i ritmi, le sfide. Ma soprattutto abbiamo provato a dare un senso più profondo a ciò che andranno a fare. Perché non è solo questione di costruire, di sistemare, di lavorare con le mani. È anche – e forse soprattutto – un cammino personale. Un’esperienza che vorremmo non restasse chiusa dentro queste due settimane, ma che si allunghi nel tempo, che continui a parlare anche una volta tornati a casa. Che lasci un segno.

E così è iniziata la prima conferenza del viaggio. Un momento pensato per fermarsi, per guardarsi dentro, per iniziare a dare un nome a tutto quello che si muove già dentro di loro. Perché accompagnarli significa anche aiutarli a leggere ciò che stanno vivendo, a mettersi in ascolto, a coltivare consapevolezza ed empatia.
L’ultimo passo della giornata è stato simbolico, ma importante: la consegna dei telefoni. Un gesto semplice, quasi scontato, ma che segna un confine chiaro. Per queste due settimane, niente notifiche, niente distrazioni. Solo presenza. Solo il qui e ora. Perché è solo quando ci si scollega da tutto il resto che si può davvero entrare in contatto con ciò che conta.